Giu 16, 2008
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Kosovo: internazionali in pericolo nell’ovest

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“Abbiamo bisogno di aiuto, abbiamo bisogno di una forza armata forte che ci difenda”. La notizia dell’aggressione al Rappresentante regionale di Unmik che vive e lavora a Dečani, regione di Peć, nel Kosovo occidentale, il venezuelano Luis Perez-Segnini, è l’occasione per denunciare lo stato di insicurezza in cui molti funzionari internazionali vivono e lavorano ogni giorno nell’ex provincia serba dichiaratasi indipendente lo scorso 17 febbraio 2008.

“Luis è stato aggredito da tre sconosciuti nascosti nell’ombra della sera – ha spiegato al telefono un funzionario internazionale– ed è riuscito a reagire ed evitare il peggio grazie al fatto che si è difeso”.

Giovedì sera Perez, che già l’anno scorso era stato pubblicamente giudicato dagli albanesi “persona non grata” a causa della sua imparzialità e obiettività professionale, è rientrato a casa dopo le 22. L’aggressione ha avuto luogo nel condominio della piazza centrale di Dečani dove Luis vive da otto anni.

Il Rappresentante regionale, che ha riportato una piccola ferita alla testa, fino a sabato non era ancora rientrato nel suo appartamento “ma conta di farlo al più presto”, ha confermato la fonte sottolineando che “Luis ha denunciato il fatto alla polizia mentre nell’altro caso le minacce hanno avuto la meglio”.

“L’altro caso” risale a poco tempo fa ed è immediatamente conseguente alla decisione di Joachim Ruecker, capo missione Unmik in Kosovo, di far restituire dalla municipalità di Dečani 24 ettari di terreno al monastero ortodosso serbo Visoki Dečani. Un terreno che nel 2001 è stato inserito nella proprietà municipale “a causa della manipolazione del catasto operata dalla stessa municipalità di Decani ai danni del monastero”, fa sapere un funzionario internazionale che da anni segue le problematiche relative al rientro nelle proprietà delle minoranze.

L’altro caso di aggressione riferito riguarda un collega di Luis Perez, il tedesco Patrick Buse che vive con la propria famiglia a Pristina ma lavora a Dečani e “che ha subito minacce direttamente dal numero uno della mafia locale, Abdyl Mushkolaj, con l’intimazione di non restituire il terreno al monastero e di non consentire il rientro dei serbi a Dečani”, riferisce la fonte che sottolinea l’importanza di denunciare questi fatti “perché si venga a sapere in quale clima stiamo lavorando”.

Impossibile per questi internazionali che operano nel settore delle minoranze fare affidamento sulla polizia locale ormai quasi completamente monoetnica, composta cioè dall’etnia albanese che è in netta maggioranza.

“Ma la colpa è nostra – prosegue il funzionario internazionale – è nostra come Unmik perché questo sarebbe il caso di rimuovere sindaco e municipalità di Dečani per mettere in atto la decisione: non lo facciamo e così lasciamo passare il messaggio che la legge di Unmik non vale niente. Inoltre fra breve Ruecker non sarà più a capo di Unmik e questo consente un ulteriore scarico di responsabilità sul suo successore e così via. Abbiamo bisogno di persone che affrontino i problemi e che non girino la testa dall’altra parte di fronte all’impossibilità per noi di lavorare serenamente e per i monaci di Dečani di vivere nella legalità”.

La missione Unmik dovrebbe cedere i propri poteri a quella europea Eulex entro l’anno in corso. Il trasferimento di autorità è delicato e richiede adeguamenti progressivi. “Ma i kosovari albanesi hanno fretta di cacciare Unmik – continua la fonte – e far insediare Eulex. Alcuni pensano che la missione delle Nazioni Unite è un appoggio per l’attuale primo ministro (Hashim Thaci, ndr) mentre quella europea è invece il sostegno per l’ex primo ministro (Ramush Haradinaj, ndr)”.

Da quando è tornato con la patente di innocente dal tribunale dell’Aja, Ramush Haradinaj non perde occasione di attaccare con piccole stilettate rilanciate dalla stampa locale il suo rivale attuale primo ministro Hashim Thaci. Due pedine sulla scacchiera utili ai grandi attori internazionali che muovono con estrema attenzione in uno scenario altamente strategico al centro dei Balcani.

“Intanto noi siamo in mezzo – conclude il funzionario internazionale – e viviamo nell’incertezza: questa di Ramush Haradinaj e del monastero di Dečani è l‘area di responsabilità dei soldati italiani. A molti sembra che i militari siano più interessati a fare bella figura come benefattori con il sorriso sulle labbra piuttosto che a garantire un ambiente sicuro. Noi internazionali ci battiamo per far tornare i serbi nell’area, anche contro organizzazioni non governative che invece li scoraggiano come il Danish Refugee Council che a Peć ha solo albanesi tra i suoi impiegati. E avremmo proprio bisogno di una forza armata forte che ci difenda. Magari con il sorriso sulle labbra, ma che manifesti la capacità e la determinazione a difenderci”.

(Intervista del 15 giugno 2008).

Fonti: B92, Kosovo.net, Unmik

 
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Forze Armate · Kosovo