By Giovanni Punzo
Una sfida nel Kurdistan è il titolo di un famoso racconto di J.J. Langendorf pubblicato in Francia nel 1969 (e tradotto in Italia nel 1981). La trama non è complicata come un political thriller di Tom Clancy, ma si impone egualmente per l’immagine che presenta dell’agitatore politico, dell’agente sul campo: nel 1941 un agente nazista è inviato appunto nel Kurdistan per attrarre nell’orbita di influenza tedesca – sottraendole a quella inglese – le popolazioni della regione.
L’agente confonde il suo ruolo con quello del rivoluzionario vero e proprio, ma – nonostante l’eliminazione diretta dell’agente inglese suo avversario faccia presagire il successo – il piano fallisce semplicemente perché l’intera operazione non viene più supportata da Berlino. Animato dalle teorie geopolitiche di Ausserhofer e allievo dello stesso istituto, ammiratore del rivoluzionario ‘totale’ Saint Just, l’agente scopre di aver sacrificato in realtà la propria giovinezza in un «grande gioco» all’interno del quale il suo ruolo è quello di una modesta pedina. Dietro questa narrazione letteraria, affascinante e ben fondata su solide basi, la questione curda resta comunque viva nei protagonisti e per la spinta che ne potrebbe derivare alla relativa instabilità della regione.
I problemi insoluti della questione curda cominciano nel momento stesso in cui si intenda delimitarne l’area o stabilire il numero della popolazione di etnia curda effettivamente coinvolta. Non esistendo confini naturali il Kurdistan diventerebbe l’area geografica all’interno della quale l’etnia è maggioritaria, dove insomma costituisce la parte predominante della popolazione. In sé un concetto quindi abbastanza labile, soprattutto dopo che un decennio di guerre nella ex Jugoslavia hanno dimostrato la scarsa consistenza di questi riferimenti.
Delimitando il Kurdistan tra la catena del monte Ararat e il margine della pianura della Mesopotamia, la prima considerazione è che quest’area coinvolge sette stati diversi.
La parte più estesa del Kurdistan si trova in Turchia (17 province turche su 67), ma la stessa presenza è negata. Resta il fatto che – secondo una statistica turca della metà degli anni Sessanta – l’analfabetismo nella zona superava l’80%, ma restava difficile distinguere se si trattasse di un vero e proprio rifiuto di frequentare le scuole turche e quindi di un gesto politico. Inoltre la stessa area era definita come la «più depressa» dell’Anatolia orientale dal punto di vista economico.
Oltre alla Turchia, altri comprimari storici sono Siria, Iraq e Iran, mentre a nord, dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica, hanno ereditato briciole tutt’altro che trascurabili di questione curda Azerbajan, la Repubblica d’Armenia e la Georgia.
La Siria, dopo un programma di ‘arabizzazione’ spinta alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso e concluso solo nel 1976, ha fatto delle concessioni formali e pare che fino a oggi, nonostante le notevoli difficoltà del regime di Damasco, l’equilibrio con la minoranza curda resista, o almeno non costituisca fonte di ulteriore preoccupazione. Nella parte siriana, a Qaratchok nella regione di Djezirè, vi sono inoltre apprezzabili giacimenti petroliferi.
Una situazione analoga si riscontra nella parte irachena dove la consistenza dei giacimenti di Mossul e Kirkuk è invece molto nota. Dopo le dure repressioni del regime di Saddam sembra che ora una relativa tranquillità sia originata dalla speranza della tripartizione dell’Iraq che vedrebbe il nascere nella parte settentrionale del paese di uno stato curdo con autonomie federali: soluzione poco gradita alla Turchia, che però ha necessità del petrolio di Mossul.
Più complessa e difficile da definire la situazione nella parte iraniana. Lo shah, dopo il ritiro delle truppe sovietiche dall’Iran, sconfisse e si annesse la piccola repubblica curda sorta durante la Seconda guerra mondiale come una sorta di protettorato russo. Il trattamento iraniano nella sostanza non fu meno duro di quello turco e, dopo la speranza accesasi alla caduta della monarchia, il regime di Khomeini non fece concessioni, mentre altrettanto rigido sembra oggi quello di Ahmadinejad. D’altra parte i curdi hanno la stessa origine degli iraniani e la lingua curda presenta maggiori affinità con il persiano che non con l’arabo o il turco. Inoltre prima della conversione all’islam essi praticavano una religione assai simile allo zoroastrismo persiano e di questa antica religione resta un gruppo molto ridotto di circa cinquantamila persone nella zona di Mossul che pratica nello stesso tempo circoncisione e digiuno come nell’islam, ma anche il battesimo e la divisione del pane come i cristiani.
Diverse le vicende delle comunità curde al di là dei confini con la ex Unione Sovietica. Nelle tre ex repubbliche sovietiche di Armenia, Azerbaijan e Georgia il numero dei curdi è sempre stato ridotto e questo ha permesso di considerarli senza difficoltà alla stregua di tante altre minoranze dell’Asia centrale sovietica. Nel 1930 sorgevano già scuole dove l’insegnamento era impartito in lingua curda e nelle università di Mosca, Leningrado, Tashkent ed Erivan esistono corsi di lingua e letteratura. Neutrale o ambigua che fosse, la politica estera sovietica non poteva permettersi tensioni con gli stati confinanti, ma assumeva volentieri l’immagine di protettrice delle minoranze, a cominciare dall’accoglienza a Mustafà Berzani nel 1946 ricercato dagli iraniani dopo la sconfitta dell’effimera repubblica curda.
Divisioni territoriali e divisioni tribali interne – ma anche ideologiche – hanno caratterizzato sino a ora la questione curda nel suo complesso e a volte stati assai diversi come regime e collocazione internazionale (ad esempio Turchia e Siria) hanno trovato un punto di contatto solo nella repressione dei movimenti autonomisti. Ovviamente si sono spesso aggiunte strumentalizzazioni o accordi parziali con settori limitati del popolo curdo che secondo una stima di una decina di anni orsono costituisce un insieme di almeno quindici milioni di persone (secondo altre stime sono invece venti). Affrontare oggi una questione curda unificata da un solo interlocutore e rappresentante di questo popolo sarebbe tuttavia un vero e proprio incubo.
Giovanni Punzo
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Mappa del Kurdistan della CIA (1992)/Wikipedia
Foto: manifestanti curdi dal blog di Roberto Spagnoli passaggioasudest