Mar 28, 2011
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Mare Gallicum

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By L’Anacoreta

Al verificarsi della crisi in Libia, la Francia ha immediatamente dichiarato di essere pronta ad azioni militari; successivamente ha supportato con enfasi la risoluzione che ha sancito l’attuazione della no-fly zone; quindi ha ostacolato in ogni modo il passaggio della responsabilità delle operazioni alla NATO rivendicando tale ruolo per sè (abbiamo più aerei impiegati); adesso sta adottando una azione di frenaggio dichiarando che, anche se le operazioni militari saranno gestite dalla NATO, la conduzione politica dell’azione deve essere assunta da un consiglio politico di cui facciano parte anche Paesi esterni all’Alleanza.

Il vigore guerriero con il quale la Francia ha affrontato la questione libica e la determinazione dimostrata nel voler favorire il ricambio della leadership politica, detronizzando il Colonnello Gheddafi e ponendo termine al suo regime, sembra essere una linea di condotta alquanto estemporanea che può lasciare perplessi. Ma è realmente così?

Ritengo che una rivisitazione di alcuni momenti cardine nella storia del nostro illustre vicino possano servire a fornire una possibile chiave di lettura per comprendere l’attivismo di M.Sarkozy e gentile consorte (a fianco di un grande uomo c’è sempre una grande donna si dice, ma considerando la Carlà Brunì c’è da chiedersi se l’attribuzione di una grande donna non sia un po’ troppo eccessivo, di conseguenza M.Sarkozy lo possiamo definire davvero un grande uomo o forse non è che una specie di Asterixxe de no’altri!).

Ritorniamo a noi. La Francia ha sempre avuto una spiccata vocazione coloniale, ha costruito un impero estesissimo, insomma ha dimostrato che in trasferta è vincente! Il vizio di occupare territori altrui, da Guglielmo il Bastardo in poi, lo ha sempre avuto. L’applicazione del concetto forte con i deboli è stato adattato alla perfezione al suo espandersi coloniale. In più ha sempre cercato, con rara modestia e senso della misura, di dare un velato senso di grandeur a tutto quello che faceva, tanto che il Bastardo è divenuto il Conquistatore.

Colonizzare e portare la liberté l’égalité e la fraternité a popolazioni distanti anni luce per mezzi e tecnologia è risultato abbastanza facile, il difficile è stato quando l’osso doveva essere conteso con altri paesi Europei, anche loro in cerca di posti al sole. L’Inghilterra ad esempio è sempre stata una spina nel fianco a partire dal Nord America, passando per il Medio Oriente, per arrivare all’Africa, privando la Francia spesso dei bocconi più ghiotti. La parabola coloniale della Francia si è definitivamente esaurita dopo l’incauta esperienza della crisi di Suez, dove una furbesca preparazione diplomatica e una operazione militare di successo sono stati vanificati con un sonoro ceffone degli USA. Poco importa che i nostri cugini fossero in buona compagnia della Gran Bretagna, il ceffone lo hanno sentito eccome!

Ma in casa loro come sono andate le cose?

Qui la questione è diversa, la Francia non è riuscita a sfruttare a fondo il fattore campo a meno di un paio di occasioni: Luigi XIV, più noto, con la consueta ed elegante modestia, come il Re Sole; e poi lui in assoluto, l’IMPERATORE, il genio indiscusso che ha conferito vigore e orgoglio a una Nazione, che ha creato la grandeur la cui luce riflessa ancora dopo secoli acceca i Francesi impedendo loro di vedere che le cose sono ormai cambiate e il loro Paese è uno dei tanti Paesi europei, arbitro di se stesso ma non del destino del mondo.

A parte questi due fuoriclasse che hanno infiammato l’arena, poi in casa la Francia non si può dire che abbia avuto un tabellino particolarmente di successo.

Lasciamo da parte il periodo romano sul quale sarebbe troppo facile infierire. Nel tentativo di trovare qualche elemento di consolazione, da inguaribili entusiasti, oltre a erigere una statua del loro eroe simbolo del tempo (Vergingetorige, che comunque finì in ginocchio davanti a Cesare) hanno dovuto inventarsi Asterix e Obelix, ma soprattutto la bevanda magica!

Dopo l’esperienza del Conquistatore, per qualche secolo la casa regnante di Inghilterra aveva possedimenti più estesi in terra di Francia che al di là della Manica. Alla fine, dopo che il fior fiore della cavalleria francese era stato randellato e malmenato a più riprese da contadini inglesi e gallesi che maneggiavano l’arco meglio della zappa (Crécy, Poitiers, Azincourt ecc.ecc.) l’intervento della Pulzella consente di liberare quasi del tutto il sacro suolo della patria (anche qui al posto del druido che prepara la bevanda magica c’è Nostro Signore che sponsorizza la ragazzuola).

Se ci spostiamo in avanti il buon Francesco I si ruppe i denti contro Carlo V finendo male la sua impresa di colonizzazione in Italia, proprio a Pavia, facendosi catturare dallo spagnolo al termine di una battaglia che possiamo definire, senza esagerare, una vera disfatta per le armi francesi.

Quando poi lo stallo politico spinge i Paesi europei a trasferte in giro per il mondo le cose migliorano.

Abbiamo già tributato gli onori che competono al Re Sole e all’Imperatore (il vero e l’unico) e quindi andiamo a esaminare avvenimenti più vicini a noi. Dopo lo spiacevole episodio di un armistizio – negoziato in modo autonomo e separato dai propri alleati – con un nemico comune (Villafranca) che la dice lunga sullo squisito rispetto delle regole e sulla serietà delle alleanze (difetto spesso imputato agli Italiani, ma condiviso da moltissimi altri), ha inizio una striscia di incontri sul terreno di casa che definire come insuccessi è un eufemismo.

Francia-Prussia 1870. Sconfitta secca con disastro militare a Sedan e occupazione di Parigi.

Prima Guerra Mondiale 1914-1918. Cominciata in un modo disastroso con i Tedeschi che avanzano dando esecuzione al piano Schlieffen – che come tutte le cose semplici e poco originali riesce benissimo – sino quasi alle porte di Parigi, fermati solo dalla combinazione della straordinaria tenuta del corpo di spedizione inglese (che la guerra preferisce farla sempre a casa degli altri per questioni di praticità e senso di ospitalità) e dalla scarsa visione strategica tedesca generata dal loro innato immenso senso di superiorità, di aprire contemporaneamente un altro fronte con la Russia. Guerra condotta ancora peggio e vinta sul filo di lana per la combinazione di differenti fattori (lo strapotere economico-industriale americano, l’apertura del fronte italiano, il collasso del fronte interno della Germania, la determinazione anglosassone), cause messe in secondo piano dalla persistente patologica riesumazione della grandeur francese. Guerra conclusa con un trattato di pace rancoroso e privo di visione politica, volto a vendicarsi dei precedenti affronti subiti dalla Germania, il cui unico risultato fu quello di avvelenare gli animi, favorire i nazionalismi più biechi e violenti e creare le premesse per un secondo devastante conflitto.

Seconda Guerra Mondiale 1939-1945. Dopo una politica internazionale fallimentare tesa a soddisfare le richieste tedesche (come a un bambino al quale dai una caramella sperando che poi la finisca di dare fastidio e il bambino invece ti accoltella perché vuole tutto il sacchetto di caramelle) si passa all’azione. Ingurgitata la Polonia i Tedeschi riapplicano tale e quale il piano Schlieffen di cui sopra (tanto era andato bene prima mò lo rifamo) e in un mese arrivano di nuovo a Parigi. Poi la Francia di Vichy, la collaborazione con i Giapponesi nelle colonie della Cocincina, l’affondamento della flotta a Orano, l’ambiguità del comportamento dei possedimenti coloniali in Medio Oriente, insomma una indecisione cronica a quale cavallo stare aggrappati.

Alla fine della guerra hanno scoperto di essere dalla parte dei vincitori o almeno così hanno creduto. Sì, perché gli anglosassoni quando gli conviene ti fanno credere qualsiasi cosa: anche di aver vinto la guerra pure se la hai chiaramente persa e di brutto. La ragion di stato solleticando l’amor proprio e l’orgoglio francese (la grandeur tanto per essere chiari) ha dato un posto alla Francia tra i vincitori. Il Generale De Gaulle (che era la Francia del tempo), probabilmente frastornato dalla vittoria e dal ritrovato senso di grandeur, non ha immediatamente compreso quale fosse il ruolo ritagliato per il suo Paese (contrappeso continentale per evitare una ripresa della Germania, quinto al tavolo da bridge dell’ONU tanto per movimentare il gioco ed evitare l’impasse di un due a due nella votazione, fine delle aspirazioni di grande potenza e dismissione dell’impero coloniale – tralasciamo la brillantissima esecuzione di quest’ultimo, esemplare per il modo in cui è stato fatto e per l’enorme successo che ha avuto, di peggio non si poteva concepire), ma niente di più. Concetto rimarcato dal già citato episodio della crisi di Suez.

Il preambolo è stato un po’ lungo ma necessario per interpretare l’attuale proattività della Francia.

Per gran parte del secondo dopoguerra la Francia si è impegnata soprattutto a marcare stretta la Germania imbrigliandola con iniziative economiche (la C.E.C.A. l’Euratom, la C.E.E.), joint venture militari (la Brigata franco-tedesca), nel tentativo di controllare il pericoloso vicino ed evitare una nuova visita in massa a Parigi (la terza in meno di un secolo!)

Nella partecipazione a programmi di difesa comune contro l’Orso Russo, il solito rigurgito di grandeur le ha fatto fare le bizze da primadonna ponendosi a margine della NATO e costruendosi la propria autonomia nucleare (la famosa force de frappe) molto pretestuosa ma poco efficace e per nulla credibile se consideriamo il contesto complesso e delicato della Guerra Fredda in Europa.

Anche se ormai declassata a potenza di secondo rango e limitata a scenari meno di prestigio, al di fuori dei confini europei la Francia ha mantenuto un’attenzione particolare al mondo africano con la scusa delle ex-colonie, intervenendo ora politicamente, ora economicamente, ora militarmente in piccoli focolai di crisi (come il Chad ad esempio) ma senza assumere ruoli determinanti. Estromessa dal palcoscenico del grande teatro mediorientale non ha avuto alcun ruolo, neanche come comparsa, nella gestione delle numerose crisi che hanno interessato o ancora affliggono il Vicino Oriente (benché abbia venduto armi e tecnologia nucleare un po’ a tutti, in base al principio di égalité presente nei suoi cromosomi rivoluzionari). Israele, Palestina, Iraq, Afghanistan, guerra del Golfo sono tutte aree di crisi dove la Francia non compare (ad eccezione di una presenza nel Libano meridionale che oserei dire non proprio determinante).

L’impegno forte è stato invece nei Balcani dove il ruolo militare è stato determinante anche se quello politico/diplomatico un po’ meno, in quanto alla fine la quadratura politica del cerchio l’hanno trovata due anglosassoni.

Con il quadro di situazione attuale dove nuovi scenari di crisi si manifestano quotidianamente in tutta l’area che va dal Marocco all’Afghanistan (il così detto Grande Medio Oriente), la scelta operata dalla Francia è stata dettata dalla valutazione comparativa delle reali capacità geopolitico-strategiche dal Paese in relazione ai risultati che possono essere acquisiti intervenendo nei vari scenari. Il risultato di questa analisi ha indirizzato la condotta della Francia verso il bacino del Mediterraneo e sulla costa meridionale dello stesso.

Infatti ciò che sta avvenendo in Yemen, Siria, Barhain, non ha prodotto alcuna presa di posizione da parte francese, se non le rituali comunicazioni diplomatiche. Mentre il Marocco, la Tunisia, l’Algeria e la Libia hanno visto una escalation della partecipazione attiva della Francia con l’assunzione di prese di posizione forti e con la volontà di giocare un ruolo determinante a livello diplomatico politico (e soprattutto economico) assumendo di fatto la posizione di nazione leader nel Mediterraneo.

In Algeria si è vociferato che la rivolta fosse stata innescata o perlomeno pilotata da una iniziativa di Mme Carlà (forse è una survalutazione troppo azzardata delle capacità politiche dalla bella ex-mannequin, ma la Francia è abituata a favorite e cortigiane con il pallino della politica – Mme de Pompadour è l’esempio più noto – e poi, si sa, vox populi vox dei); la Tunisia è sempre stata un po’ la colonia più legata alla madrepatria e quindi ci si può giocare di sponda.

La Libia invece rappresenta la possibilità di esportare ancora una volta il famoso concetto rivoluzionario di liberté, égalité e fraternité abbattendo un altro odiato tiranno malvagio e corrotto. Nello stesso tempo è il trampolino di lancio per acquisire di fatto una leadership mediterranea che consentirebbe alla Francia di creare una propria zona di influenza ritagliandosi il ruolo di potenza regionale e facendo diventare il Mediterraneo un Mare Gallicum.

Non sarà come far rivivere lo splendore dell’Impero, ma meglio di niente! Soprattutto consentirà alla Francia di piazzarsi in pole position nella ridefinizione dei rapporti di forza per l’uso e lo sfruttamento delle risorse energetiche della regione.

L’Africa settentrionale è sempre stato teatro di guerre combattute da altri Paesi europei che hanno avuto il vezzo di assegnare curiosi soprannomi ai loro condottieri di successo, da Scipione l’Africano di romana memoria ai Desert Rats inglesi, al mitico Wüstenfuchs tedesco (la volpe del deserto).

Forse se la Francia avrà successo in questa corsa al controllo di questa nuova quarta sponda probabilmente M.Sarkozy sarà ricordato come le Poulet du désert!

L’Anacoreta

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Foto: M.Sarkozy e Mme Bruni da srbijanet.rs

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