Gen 10, 2016
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Dove e come si addestrano i comandi dell’Alleanza Atlantica: il Nato JWC è su GQItalia con le foto del bunker

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20151228_GQ Italia_bunker Nato in Norvegia_JWCDa GQ Italia online: “In Norvegia, nel bunker della Nato – Una sala operativa sotto 70 metri di roccia. Dove e come si addestrano i comandi dell’Alleanza Atlantica”, di Paola Casoli

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È il comando Nato responsabile di tutte le esercitazioni dell’Alleanza Atlantica. Da qui passano il soldato di truppa e il top brass, indistintamente. Prima di partire per l’Afghanistan o per l’Iraq. Per fronteggiare la crisi russa o l’Isis che avanza.

Da qui si analizza tutto quello che succede nel mondo, attraverso il web conosciuto e sconosciuto, per mettere a punto strategie di addestramento al passo con i tempi.

Un centro nevralgico lontano dalle capitali dei think tank internazionali. In un ambiente che non immagineresti neppure. Non è l’MI6 di Londra, né una dependance del Pentagono: il Nato Joint Warfare Centre (JWC) – questo è il suo nome – si trova in Norvegia, a Stavanger, su un fiordo profondo 200 metri.

Ma non è esattamente quello che immagini. Niente a che vedere con i ghiacci islandesi o le cliniche austriache di memoria bondiana: il JWC è un elegante edificio nel più efficiente stile essenziale scandinavo. Mattoni rossi e vetrate che si aprono tra la roccia e il mare. Ci arrivi dopo una salita e una serie di rallentamenti pedonali, guidando a 40 all’ora tra ville in legno con le lanterne accese alle finestre.

È proprio all’ultima curva, dopo la fermata dell’autobus, che ti sorprende lo sventolio delle bandiere dei paesi Nato: benvenuto, sei nel cuore del sistema di training e formazione più avanzato di tutto il mondo occidentale.

COPYRIGHT_JWC_PAO_SIMULATIONMEDIALe barriere all’ingresso scompaiono nel pavimento appena inserisci il codice del tuo badge e quando si alza la sbarra ti trovi in un giardino ovattato, dove ogni suono è attutito dal vento del nord: dal fruscio dei pini sulla collina ai fuoristrada americani tra i rododendri dei viali d’ingresso. Che il più delle volte sono le mogli dei militari che vanno a fare la spesa nella shoppette della base, dove tra i troll formato souvenir e i tagli di carne di renna ci trovi anche i bottiglioni di gatorade da cinque litri.

Qui lavorano in 250 tra militari e civili della Nato al comando di un generale tedesco a tre stelle, Reinhard Wolski. Ma non c’è un tank né una mitragliatrice. Se pensavi a cavalli di Frisia, sacchi di sabbia e coltelli tra i denti, qui te la devi metter via. Non sei sul set di un film di guerra.

Copyright_NATO JWC (3)“Lavoriamo con il cervello, qui, non con le armi”, ti spiega il capo operazioni con un sorriso. E ti sorprende con i numeri: 4 mega esercitazioni all’anno, che coinvolgono fino a 5.000 persone ciascuna, alloggiate in parte al JWC e in parte nei comandi nazionali; 18 mesi per costruire ogni esercitazione, che va scritta esattamente come la sceneggiatura di un film; decine di ufficiali esperti di training costantemente in viaggio tra i comandi per offrire formazione e assistenza, in una rotazione su tutto l’arco dei 12 mesi. Più l’attività di intelligence per la creazione di scenari appropriati e aggiornati e tanta analisi per ricreare nella simulazione dell’esercitazione quello che poi succede per davvero nella realtà.

Un comando piccolo, ma “unico al mondo” sottolinea il generale Wolski. Uffici eleganti, pavimenti in parquet; cucine, docce e spogliatoi per ogni divisione. Sale riunioni antistress con vista sulle tuje e sul fiordo. Se non fosse che è mare penseresti a uno scorcio del Lago Maggiore.

Poi c’è lui, il bunker. Inaspettato. Silenzioso come un’auto elettrica nel centro di Stavanger. Misterioso dietro i tornelli d’acciaio. Per entrarci devi aspettare che la barriera in plexiglass si accenda di verde quando il sistema di controllo riconosce il tuo badge, lasciandoti entrare nelle viscere della collina di alberi di Natale dove un labirinto di corridoi si snoda per tre piani sotto terra.

“Abbiamo 70 metri di roccia sopra le nostre teste”, spiega il colonnello norvegese che mi fa strada mentre il sibilo della porta da caveau si richiude dietro di noi mettendo una barriera di trenta centimetri di acciaio e cemento con il mondo là fuori. “Da qui in caso di emergenza possiamo uscire percorrendo 200 scalini verso la sommità della collina, sbucando tra i ginepri del bosco. Oppure percorrendo l’altra uscita, che ti porta a valle ai piedi della struttura”. Vicino a dove vendono il gatorade in maxi formato, per capirci.

Costruito dai tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale, ultimato subito dopo dai norvegesi, il bunker è il luogo dove si pianifica, si scrive e si conduce una intera esercitazione. Quando arrivi nella sala operativa, il nucleo di tutta la struttura, ti sembra di sentire la classica richiesta di un dry-martini-stirred-not-shaked dietro le tue spalle, dove una vetrata sfaccettata si apre sospesa su una sala sottostante dalle pareti tappezzate di tre maxi schermi che neanche in piazza Duomo per la finale della Nazionale.

E’ qui che batte il cuore del JWC. Invidiabilmente cablato, con un dipartimento media che elabora telegiornali e prodotti informativi a nastro. Sia simulati sia reali. Con la possibilità di collegarsi con ogni parte del mondo, digital divide permettendo.

La Nato è arrivata qui nel 1994 e dal 2001 vi ha creato questo centro di eccellenza del training. Anche se tutto il comando è delle forze armate norvegesi, che usano il bunker per la sua peculiarità di rifugio dove vivere per un mese intero completamente isolati dal mondo in caso di necessità. Non si sa mai, siamo nel Mare del Nord e la Russia è pur sempre dietro l’angolo.

Il titolo originale è In Norvegia, nel bunker della Nato, pubblicato il 28 dicembre 2015 su GQItalia

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Fonti proprie

Foto: NATO JWC; copertina di GQItalia online

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Forze Armate · tales