Feb 17, 2015
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Ucraina, una crisi da “maneggiare con cura”

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Proteste Kiev UcrainaBy Filippo Malinverno

Di conflitti l’Europa ne ha visti tanti nel corso della sua millenaria storia e le ferite della Seconda Guerra Mondiale, l’ultimo di questa lunga lista, hanno impiegato anni per rimarginarsi, senza mai giungere ad una guarigione completa.

Dopo il 1945, quando i “tre grandi” [Unione Sovietica, Stati Uniti e Gran Bretagna, ndr] si riunirono prima a Yalta e poi a Potsdam per ridisegnare i confini di un continente devastato dalle bombe e dalla fame, si era venuto a creare un equilibrio più o meno stabile tra il blocco atlantico, USA-dipendente, e l’elefantiaco blocco sovietico, assoggettato alle paranoie di Stalin e dei suoi successori.

Per anni, il Vecchio Mondo ha potuto godere di un lungo periodo di pace, messo in pericolo soltanto negli anni Novanta con le guerre in ex-Jugoslavia e in Kosovo che, nonostante la gravità e l’efferatezza del loro svolgimento, furono comunque risolte da un’azione congiunta degli Stati Uniti, allora non più in possesso del loro status di superpotenza globale, dell’Europa, alla ricerca di una politica comune, e della Russia post-sovietica, impegnata nella sua ricostruzione radicale dopo il crollo del muro.

Gradualmente, trattati, dichiarazioni, convenzioni e proclami di vario genere hanno condannato e demonizzato la parola “guerra”, nel tentativo di impedire la rinascita delle rivalità interstatali e dell’ardore bellicoso tipico delle nazioni europee fino alla metà del Novecento. Una battaglia condotta da uomini e donne che la guerra vera l’avevano vissuta sulla propria pelle non molto tempo prima e che ancora provavano un dolore indelebile verso quegli innumerevoli orrori; una battaglia pacifica e pacifista che è stata tramandata alle generazioni più giovani, creando un sentimento comune di repulsione verso la violenza che non si era mai visto prima.

Ora che l’equilibrio può dirsi completamente raggiunto nell’Europa occidentale, quella orientale rischia di essere travolta nuovamente da una guerra lunga, logorante e colma di scenari agghiaccianti per il mondo intero.

A dire il vero, questa guerra, in Ucraina, esiste già da più di un anno: è una realtà cruda e apparentemente senza soluzione, che coinvolge un’intera nazione, divisa in due da sentimenti e identità nazionali opposti. Era il 18 marzo 2014 quando la Russia annetté ufficialmente la penisola di Crimea al proprio territorio: questa astuta mossa di Putin sconcertò non poco l’opinione pubblica mondiale, ma dato che la decisione finale era stata confermata da un referendum popolare palesemente a favore, l’iniziativa dell’Occidente per appoggiare Kiev dovette limitarsi a un supporto per così dire morale.

Poco dopo, nella parte orientale dell’Ucraina, sarebbe esploso un conflitto che avrebbe portato alla creazione delle repubbliche autonome di Lugansk e Donetsk, supportate militarmente da Mosca tramite aiuti materiali e insospettabili milizie senza mostrine sulle divise (forse sbucate dalle sabbie del prosciugato Lago d’Aral?). Questa volta la risposta occidentale è stata severa e inamovibile: sanzioni economiche pesantissime hanno messo in ginocchio l’economia russa, raffreddando ulteriormente i già precari rapporti con il Cremlino.

Nonostante la gravità dello scenario, poco tempo fa in molti erano fiduciosi in una fine rapida e positiva della guerra civile ucraina, senza ipotizzare alcuna escalation di violenza tale da compromettere addirittura la pace mondiale. Oggi, invece, le carte in tavola sono sensibilmente cambiate: la Russia, irritata dalle sanzioni, dal crollo del prezzo del petrolio e sempre più costretta a indebitarsi con il dragone cinese, sembra meno disposta a trattare, mentre gli Stati Uniti, forti dell’esponenziale crescita del loro PIL e gioiosi di vedere i russi allo stremo, non hanno alcuna intenzione di fare un passo indietro.

In mezzo, come al solito, c’è l’Europa, principale palcoscenico del conflitto americano-sovietico fino agli anni Sessanta e ora nuovamente in auge come campo di una possibile battaglia, non solo verbale, tra Washington e Mosca, rispettivamente a difesa di due metà diverse dell’Ucraina.

Le parole di Obama, pronto, se necessario, a fornire aiuti militari a Kiev, e di Putin, che minaccia ritorsioni belliche in caso di intromissione statunitense nella guerra civile, fanno capire che questa volta le due eterne rivali fanno sul serio.

Ciò che più spaventa nell’ambito della questione ucraina tuttavia non sono le velate minacce di guerra del Cremlino o l’utilizzo della forza da parte della Casa Bianca (non sarebbe di certo il primo esempio di scontro verbale e mediatico tra i due), bensì l’intransigenza che entrambi i leader sembrano voler manifestare con le loro dichiarazioni: per la prima volta in cinquant’anni i due interlocutori più potenti del pianeta sembrano non volersi capire ed appaiono estremamente restii ad aprire un dialogo costruttivo, volendo risultare come vincitori in questo braccio di ferro dalle prospettive inquietanti.

Con una situazione ucraina gravemente compromessa, l’Europa e i suoi più influenti rappresentanti, Germania e Francia, hanno l’occasione e il dovere di farsi mediatori tra le parti per evitare l’aggravarsi di una crisi internazionale che pare alle porte, ma questo compito si sta rivelando più difficile del previsto.

20150212_Vertice di Minsk su Ucraina_Putin_Merkel_Hollande_PoroshenkoIl lunghissimo ed estenuante incontro di Minsk tra Hollande, Merkel, Putin e Poroshenko, come dimostrano le stesse dichiarazioni dei protagonisti, ha condotto a un risultato precario e insoddisfacente: un coprifuoco totale ma non immediato, seguito dal ritiro progressivo degli armamenti pesanti dal campo di battaglia. Certo, considerando che le vittime fino ad oggi sono state più di 5.000 l’esito non va sottovalutato, anche se tutti i leader coinvolti nella trattativa sanno bene che questa è solamente una soluzione di compromesso che lascia all’Ucraina il tempo di respirare, forse per un’ultima volta, prima di soccombere alla probabile disgregazione territoriale.

Nel frattempo, pare che 50 carri armati russi abbiano varcato il confine sud-orientale dell’Ucraina per supportare le ultime azioni militari dei ribelli: cosa avrà mai in mente di fare Putin? Queste truppe, se veramente si sono mosse, non staranno di certo facendo un giro di ricognizione e le diverse ore di combattimento rimanenti prima dell’inizio della tregua hanno dato la possibilità ai due eserciti di consolidare le proprie conquiste territoriali prima che il conflitto venisse congelato.

In molti potrebbero obiettare che una vera e propria scissione delle repubbliche orientali filo-russe da Kiev non avverrà a breve perché Poroshenko, supportato dall’Occidente (statunitense, soprattutto), non cederà alle minacce di Putin; tuttavia, la prospettiva di una trasformazione dell’Ucraina in Stato federale e la concessione di una maggiore autonomia a Donetsk e Lugansk, due soluzioni che caldeggiate dal nuovo zar, fungerebbero molto probabilmente da prologo per una futura annessione al territorio nazionale russo.

In questo senso, l’esperienza della Crimea dovrebbe averci insegnato come trattare con Mosca e averci aiutato ad intuire, almeno in parte, gli obiettivi extraterritoriali del Cremlino, casualmente corrispondenti ai vecchi confini dell’ex-Unione Sovietica. Forse la volontà della NATO di voler integrare nel proprio organico anche un paese dalla tradizione russofila come l’Ucraina ha contribuito ad acuire la rivalità con il mondo post-sovietico, varcando un confine fisico che per la politica estera russa è sempre stato la linea di demarcazione che separava l’Est dall’Occidente: dopo la Polonia e i paesi baltici, nei quali sono presenti forti minoranze russofone, perdere un altro tassello fondamentale come l’Ucraina non sarebbe tollerabile.

Kiev, in età medievale, fu il nucleo dal quale si sarebbero poi sviluppati il Principato di Mosca e il futuro impero zarista, culla delle popolazioni slave; avvicinandosi all’Ucraina, la NATO e l’Europa hanno pericolosamente irritato il grande orso russo, che la storia insegna essere particolarmente aggressivo se minacciato nel suo spazio di influenza vitale: ecco perché questo paese funge da protezione verso il pericoloso mondo occidentale, svolgendo lo stesso ruolo che fino al 1989 svolsero i paesi del Blocco comunista, “Stati cuscinetto” utili a mantenere salda la cortina di ferro.

La Russia, nonostante un rinnovato contatto con l’Europa a partire dagli anni Novanta, necessario per portare al termine la propria ricostruzione dopo la crisi del comunismo, ha avuto, ha e avrà sempre bisogno di mantenere un certo distacco dall’Occidente e un’Ucraina integrata nell’Alleanza Atlantica guidata dagli Stati Uniti non potrebbe essere un incubo peggiore.

Non è un’esigenza solamente politica, ma anche e soprattutto culturale e storica: forti del proprio glorioso passato, i russi non sono disposti a considerarsi una potenza emergente, bensì una grande potenza, ruolo che il destino gli ha sempre riservato. Di conseguenza, a differenza di quanto implicherebbe lo status di potenza in via di sviluppo, il ritenersi grande potenza presuppone un confronto attivo e talvolta esasperato con la controparte occidentale, nel tentativo di raggiungere quella supremazia mondiale sfuggita sia agli zar che al colosso sovietico.

Inoltre, non bisogna sottovalutare il fatto che, mostrando i muscoli alla Russia, Europa e NATO non fanno altro che creare un nemico esterno utile a Putin per cementare ulteriormente il suo fronte interno e acquisire più consenso, ora sensibilmente in calo a causa delle difficoltà economiche scaturite dalle sanzioni.

Un dialogo tra le parti è senza dubbio possibile, ma la cautela dovrà essere una costante imprescindibile: il compromesso a cui si giungerà, diverso da questa effimera tregua, dovrà mantenere intatta l’Ucraina, accrescere il peso internazionale dei principali paesi europei ed evitare un eccessivo rafforzamento di Putin. Più facile a dirsi che a farsi, poiché probabilmente ci troviamo di fronte alla crisi più delicata degli ultimi quarant’anni.

Filippo Malinverno

Foto: radiocittàfujiko.it e Repubblica

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