Set 11, 2014
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Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente, M.Antollovich/16 – Dopo la Rivoluzione delle Rose. L’idea di democraticità

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By Marco Antollovich

Cap.3 della tesi Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente, di Marco Antollovich. Saakashvili e l’estremizzazione della politica georgiana

Dopo la Rivoluzione delle Rose: la presidenza Saakashvili

L’ultimo anno di presidenza Shevardnadze fu caratterizzato da una politica estera complessivamente più ambigua e sfumata rispetto agli anni precedenti: nel 2003 infatti il presidente georgiano raggiunse una serie di accordi con la Russia volti a ridurre il ruolo delle Nazioni Unite in Abcasia; veniva sancita inoltre la riapertura della ferrovia Tbilisi-Soci e rinnovato l’accordo con Gazprom, riguardo la fornitura di gas da parte russa.

I due leader stabilivano infine una riduzione dei finanziamenti statunitensi da 100 milioni di dollari (nel 2003) a 77 milioni (nel 2004).

Il riavvicinamento a Mosca turbava tuttavia la nuova generazione politica filooccidentale: il gruppo capeggiato da Saakashvili, Zhvania e Burjanaze intravedeva una via d’uscita dell’empasse georgiano solo attraverso una stretta collaborazione con la NATO, con l’Unione Europea e con gli Stati Uniti. Mosca, sebbene non potesse essere trascurata a causa delle sua vicinanza e del peso economico e politico che ancora esercitava nell’area, passava in secondo piano.

La nuova politica di Shevardnadze doveva essere bloccata per permettere alla Georgia di consolidare il processo di occidentalizzazione già avviato e per contenere le spinte centripete che avrebbero potuto rendere la repubblica caucasica un nuovo satellite del Cremlino.

Bisogna inoltre ricordare che nel 2003 il prodotto interno lordo georgiano ammontava a meno di un terzo rispetto a quello del 1990, lo stipendio medio era di circa 50$, circa un milione di persone avevano abbandonato il paese, l’Abcasia e l’Ossezia meridionale costituivano ormai, de facto, una realtà lontana da Tbilisi e la regione autonoma dell’Ajara era governata da un signore locale in conflitto con Shevradnadze (il leader ajaro, Aslan Abashidze, in un primo momento si era posto in contrasto contro Shevardnadze; in seguito grazie a un tacito accordo, Abashidze ebbe il totale controllo della propria regione, non pagando tasse allo stato georgiano e potendo controllare una milizia privata, in cambio dell’ appoggio al presidente georgiano durante le campagne elettorali. Grazie a brogli elettorali – ufficialmente denunciati da molte NGO occidentali – il leader ajaro garantiva sempre un cospicuo numero di voti a Shevardnadze. Verrà poi allontanato durante il mandato di Saakashvili).

Considerando inoltre la scarsa libertà di stampa, le accuse di brogli elettorali e la corruzione dilagante, la Georgia poteva essere considerata, nel 2003, uno Stato fallito sotto ogni punto di vista.

Unendo lo scontento popolare alle ambizioni occidentali di molti politici georgiani, l’ex ministro della difesa Mikail Saakashvili si fece promotore di una serie di proteste pacifiche, conosciute poi come “Rivoluzione delle Rose”, che avrebbero portato, il 22 novembre 2003, alla cacciata di Shevardnadze dal parlamento.

Grazie alla sua lungimiranza politica, l’ex ministro degli esteri sovietico evitò un inutile bagno di sangue, se non addirittura una guerra civile; le dimissioni dell’ex presidente resero Saakashvili il nuovo indiscusso leader georgiano, (sebbene Saakashvili fosse il leader indiscusso, la presidenza ad interim passò a Nino Burjanadze, presidente(ssa) del Parlamento) un personaggio carismatico e acculturato, che aveva studiato a Tbilisi, a Kiev, alla Columbia e alla George Washington University, parlava correttamente il georgiano, il russo, l’inglese, l’ucraino e il francese. Le cancellerie occidentali manifestarono da subito un vivo entusiasmo sia per la correttezza della figura di Shevardnadze, (in realtà la “scelta pacifica” di Shevardnadze era l’ unica scelta possibile: come afferma Lincoln Mitchell in una breve analisi della Rivoluzione delle Rose, “ In realtà Shevardnadze si dimise poiché si rese conto, in fine, della propria debolezza, essendo consapevole del fatto di non poter più controllare né l’ esercito né le forze di sicurezza interna) sia per l’avvento di una democrazia sostenuta direttamente dal popolo, sia per la scelta del nuovo presidente.

La Russia, dal canto suo, auspicava un miglioramento delle relazioni con la nuova amministrazione georgiana.

Colpo di stato o manifestazione della vox populi?

L’ipotesi che il rapido susseguirsi di eventi, culminato il 22 novembre 2003, fosse stato organizzato direttamente dalla CIA non risulta inverosimile. Sebbene manchi una prova certa della partecipazione diretta dell’agenzia americana, i “sintomi” del colpo di stato, per quanto pacifico, sono chiari ed evidenti: la nomina del nuovo ambasciatore Richard Miles a Tbilisi nel 2002 non sembra un evento “casuale”.

“Miles è stato ambasciatore statunitense in Azerbaigian, Serbia e Georgia e in ogni nazione in cui è stato nominato, si è verificato un colpo di stato” (Thomas Goltz, Georgian Diary).

Il grido di liberazione georgiano “Kmara!” sembra riprendere quasi alla lettera l’“Otpor!” serbo dei militanti anti-Milosevich (Otpor, Отпор, letteralmente “resistenza“era un movimento giovanile attivo in Serbia dal 1998 fino al 2003 nato per manifestare un’ opposizione pacifica contro il leader serbo Slobodan Milošević; Kmara, tradotto in inglese con “Enough”, in italiano indicativamente con “[ne abbiamo] abbastanza” è l’analogo movimento georgiano).

Le organizzazioni studentesche promotrici della rivoluzione “dal basso” si erano formate al Liberty Institute di Tbilisi, un’associazione che da sempre gode di cospicui finanziamenti statunitensi. Lo stesso Saakashvili aveva studiato negli stati uniti e poteva contare sull’appoggio di personalità potenti, come il senatore John McCain o George Soros; molti altri ministri, come quello della difesa o dell’energia, avevano studiato in università americane.

D’altra parte, sono molte le dichiarazioni di genuinità del movimento Kmara: lo stesso Zhvania nega una partecipazione diretta di Washington. Sembra addirittura che lo stesso Miles in una conversazione il 21 novembre avesse predetto la disfatta di Saakhasvili, meravigliandosi il giorno seguente di trovare “Misha” leader indiscusso del paese.

Quali furono tuttavia le conseguenze della “Rivoluzione delle Rose” in un’ottica internazionale e perché i rapporti con la Russia degenerarono a tal punto da rendere il conflitto armato del 2008 l’unica soluzione possibile?

Giaidz Minassian sintetizza in cinque punti il successo della rivoluzione:

– l’apparato statale comincia a funzionare

– viene riorganizzato l’esercito

– la volontà popolare viene rispettata per la prima volta

– si pone fine all’ annosa questione Adjara

– vengono normalizzate le relazioni tra Armenia e Georgia.

Sebbene effettivamente la nuova presidenza Saakashvili fosse il risultato della volontà popolare espressa nel novembre 2003, bisogna riconoscere che non vi sarà un radicale cambiamento nella politica interna per quanto riguarda i parametri “democratici”: analizzando gli anni 1999 e 2006 si riscontra un minimo miglioramento della voce “società civile”, mentre si è verificato un peggioramento sotto le voci “processo elettorale”, “indipendenza dei media”, “indipendenza del sistema giudiziario” e “ tasso di corruzione”.

Nessuno dei miglioramenti promessi per trasformare lo stato in una vera e propria democrazia troverà un riscontro pratico: nel 2005 la Georgia sarebbe stata 130° su 157 paesi nell’indice di corruzione, al pari della Cambogia.

L’idea stessa di “democraticità” era sufficiente per ottenere le simpatie dell’Occidente e poter perseguire la propria politica interna. Stando a quanto affermato una volta dal premio nobel Solzenicyn “La Georgia è un impero nano”, un impero in miniatura; la presidenza Saakashvili riportò in auge il concetto di stato forte che sarebbe stato, come lo era stato per Gamsakhurdia, uno dei cavalli di battaglia del nuovo leader. L’aumento delle riserve statali, dovuto ai progetti già avviati e ai nuovi investimenti statunitensi, consentirono di destinare alla difesa 300 milioni di lari, ovvero dieci volte la cifra stanziata dall’ultimo governo Shevardnadze.

Un ammodernamento dell’esercito risultava infatti fondamentale per evidenziare la forza del nuovo stato georgiano per due motivi: dal punto di vista interno, avrebbe reso possibile la riconquista dei territori persi e, dal punto di vista internazionale, avrebbe invece consentito alla Georgia di poter rientrare nei parametri stabiliti dalla NATO.

Marco Antollovich

Seguirà I primi anni di mandato

Il post precedente è al link Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente, M.Antollovich/15 – La questione energetica, il ruolo del Caucaso

Il logo del movimento Kmara è di Wikipedia

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