Ago 20, 2014
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Le nuove direttive della politica energetica: shale gas e crisi ucraina allontanano la Russia dal mercato europeo? 2.South Stream o vie alternative

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By Marco Antollovich

Come sta cambiando lo scacchiere energetico mondiale e quali le conseguenze della rivoluzione dello shale gas e della crisi ucraina per i mercati europei?

Analisi in tre puntate. Ieri, oggi e domani, in tre post su Paola Casoli il Blog, l’ultimo lavoro di Marco Antollovich sulle nuove direttive della politica energetica nello scacchiere internazionale.

#shalegas #SouthStream #TANAP #TAP #LNG #Ukraine #Anatolia

South Stream o vie alternative?

La minaccia di un isolamento energetico ha spinto l’Europa ad adottare due comportamenti diametralmente opposti: continuare con il progetto South Stream, o cercare vie alternative alle esportazioni di gas russo.

Nonostante l’opposizione statunitense e le minacce della Commissione Europea, pare che i paesi coinvolti nella costruzione del gasdotto (Russia, Bulgaria, Serbia, Ungheria, Slovenia, Croazia e Austria) siano comunque inclini a realizzare il progetto, nonostante la Bulgaria sia stata costretta a sospendere momentaneamente i lavori su pressione di Bruxelles nel giugno 2014.

Il South Stream (Южный Поток o Južnyi Potok in russo, o Flusso Meridionale in italiano) rappresenta infatti una fonte di approvvigionamento energetico sicura, poiché in grado di bypassare interamente il territorio ucraino ed evitare che un inasprimento della crisi tra Mosca e Kiev possa avere ripercussioni sui mercati europei.

I costi del progetto inoltre potrebbero risultare più contenuti in seguito alla de facto acquisizione della Crimea da parte russa e, con essa, delle acque territoriali un tempo ucraine. Tale modifica territoriale comporta un doppio vantaggio per la Russia poiché, in seguito al passaggio della penisola sotto il controllo di Mosca, il tratto di gasdotto sottomarino che attraversa il Mar Nero passa ora più vicino alla costa in acque territoriali russe, il che implica sia un abbassamento dei costi di produzione, sia l’esclusione della Turchia dal progetto, riducendo così i costi di transito del gas.

Un collegamento diretto tra la Russia e l’Europa Centrale attraverso i Balcani avrebbe considerevoli ripercussioni  sia da un punto di vista sia economico che geopolitico e la frattura che si sta creando tra sostenitori e oppositori è sintomatica: se da una parte Bruxelles pare particolarmente incline ad assecondare le velleità statunitensi a ridurre il peso di Mosca, dall’atro lato i paesi diretti beneficiari e le grandi compagnie energetiche partner (l’italiana Eni con il 20%, la  francese Edf con il 15% e la tedesca Wintershall, controllata di Basf, con il 15%) continuano a sostenere la costruzione del South Stream anche (e forse soprattutto) in seguito alla crisi ucraina.

Indicativo il voltafaccia dell’austriaca OMV, un tempo grande sostenitrice dell’ormai abbandonato progetto Nabucco, e ora partner fidato russo nella realizzazione dello Južnyi Poto, da quando il punto di arrivo del gasdotto è stato spostato da Tarvisio a Baumgarten, trasformando potenzialmente l’Austria in uno dei principali hub energetici dell’Europa Centrale.

Nel caso in cui le pressioni di Bruxelles risultassero efficaci e riuscissero a spingere i paesi favorevoli alla costruzione del South Stream ad allentare i legami con Mosca, si aprirebbero allora diverse possibilità per ridurre il peso russo sui mercati europei.

Tuttavia, bisogna considerare che si tratta di progetti di medio-lungo periodo e che l’Europa non può, ora come ora, trovare un sostituto valido agli approvvigionamenti russi. Oltre al potenziale energetico statunitense, le due aree di maggior interesse per l’ Europa sono il Nordafrica e gli stati costieri del Mar Caspio.

Data la riduzione della produzione libica in seguito alla caduta del regime di Gheddafi e l’instabilità interna che caratterizza l’Egitto degli ultimi anni  (il cui gas viene venduto soltanto a Israele e Giordania per il momento), l’Algeria sembra essere l’unico partner affidabile, fingendo di dimenticare la crisi degli ostaggi del 16 gennaio 2013. Nonostante la produzione algerina sia in declino dal 2005, si spera che la progressiva privatizzazione del settore energetico sommata all’autorizzazzione allo sfruttamento dei giacimenti di shale gas del marzo 2013 possa aumentare le esportazioni in Europa, sia tramite LNG, sia tramite il gasdotto algerino-spagnolo già in funzione.

Nonostante la mancanza di competitività del progetto Nabucco, lo scenario causasico-centro asiatico non manca di attrattività per il mercato europeo. La costruzione delle pipeline Baku-Tbilisi-Supsa, Baku-Tbilisi-Cheyan e Baku-Tbilisi-Ezerum hanno fornito un prima prima base per la costruzione di un complesso sistema in grado di fornire un approvvigionamento costante grazie allo sfruttamento del bacino gasiero dello Shah Deniz, in Azerbaigian. Tutte le compagnie occidentali del consorzio (BP, LUKoil, SOCAR, Eni, TPAO), escluse dunque LUKoil e l’iraniana NIOC (che possiede solo quote passive a causa delle sanzioni statunitensi a danni dell’Iran), hanno favorito l’esportazione del gas azero verso l’Europa attraverso la costruzioni di progetti minori volti a migliorare la resa delle tre pipeline già esistenti.

Tra questi la TANAP (Trans Anatolian Gas Pipeline), la cui costruzione è stata avviata nel 2014, dovrebbe trasportare il gas azero lungo tutto il territorio turco per poi dividersi in due rami, uno diretto in Bulgaria e uno diretto in Grecia e qui congiungersi a un secondo progetto, la TAP (Trans Adriatic Pipeline). La realizzazione del gasdotto che, partendo da Salonicco, attraversa l’Albania e il Mar Ionio per raggiungere le coste della Puglia è prevista nel 2018 e consentirebbe al gas azero di congiungersi alle già esistenti infrastrutture italiane per raggiungere il nord Europa Centrale.

Il problema maggiore, tuttavia, sta alla base: Baku da sola non può rifornire l’intero mercato europeo e le risorse azere potrebbero non essere sufficienti in una prospettiva di lungo periodo.  Per aumentare la capacità e la durata nel tempo delle pipeline che riforniscono l’Europa di gas azero sono due: la prima prevede l’utilizzo di gas iraniano nel caso in cui vi fosse un ammorbidimento delle sanzioni da parte europea e statunitense nei confronti di Teheran, cosa non del tutto inverosimile in seguito alle elezioni del presidente Rouhani e alla crisi irachena.

La seconda invece, posto che si voglia evitare il passaggio di idrocarburi centroasiatici attraverso Russia e Iran, porterebbe alla costruzione di una pipeline trans-caspica, così da congiungere i giacimenti gasieri kazaki, ma soprattutto turkmeni, al terminale azero di Sangachal.

Il progetto sembra tuttavia stridere con le nuove direttive delle politiche energetiche di Mosca, Astana e Asgabat, orientate verso un immenso mercato cinese in piena espansione.

Marco Antollovich

Seguiranno domani le Conclusioni

Foto: Limes

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