Gen 14, 2014
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Sahara Occidentale: conflitto e identità attraverso le storie di vita dei guerrilleros saharawi, L.Maiotti/1

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By Luca Maiotti

Introduzione della tesi “Sahara Occidentale: conflitto e identità attraverso le storie di vita dei guerrilleros saharawi”, di Luca Maiotti

L’obiettivo di questo elaborato è approfondire la categoria dell’identità saharawi, utilizzando quando necessario brani di interviste a guerrilleros che ho realizzato durante un periodo di Mobilità Internazionale a Parigi. L’esistenza di un’identità saharawi è in effetti il punto focale attorno al quale si è sviluppato il conflitto – prima armato, poi diminuito in intensità bellica – tra Marocco e Mauritania da una parte e Sahara Occidentale dall’altra: mi sembra quindi di capitale importanza riuscire a definire con esattezza que-sta categoria. Una volta raggiunta una definizione operazionale di identità – in riferimento alla situazione socio-politica dei Saharawi – il passo successivo è individuare i fattori e gli elementi di questa identità.

In effetti il concetto di identità saharawi – e da qui identità nazionale saharawi – è particolarmente interessante perché esso ha subito un radicale e improvviso mutamento, passando nell’arco di pochi anni da un modello identitario tribale nomadico ad un modello identitario di stampo europeo – con contaminazioni arabo-islamiche.

L’argomento centrale di questa tesi è la ricerca delle condizioni materiali e ideologiche che hanno potuto realizzare il passaggio da un piano ideale – le dichiarazioni, le proposte per una società nuova – a uno effettuale storico.

La questione dell’identità saharawi rimane il punto più dibattuto perché il capitolo Sahara Occidentale è forse l’ostacolo maggiore al percorso di integrazione a livello regionale nel Maghreb, avviato, ma mai proseguito, anche e soprattutto per l’affaire sahariano.

L’Algeria – sponsor in primis diplomatico del Polisario e paese da cui dipende la sopravvivenza dei rifugiati – ha interessi egemonici in conflitto con il vicino Marocco, potenza che si propone come Stato musulmano “stabile”, in linea con le aspettative di Unione Europea e Stati Uniti. L’esistenza di un potenziale stato saharawi significherebbe avere un altro attore – economicamente molto più rilevante del suo territorio o della sua demografia – seduto al tavolo delle decisioni e quasi certamente in appoggio dell’Algeria. La posta in gioco è molteplice: partenariato NATO, peso politico-diplomatico sulla scena mondiale, accordi economici, negoziazioni commerciali con l’Unione Europea, tutto sacrificato alla volontà di non risolvere una situazione che rimane sospesa da oltre vent’anni.

La particolarità e l’originalità di questo scritto può risiedere nella scelta di portare sul testo la voce di alcuni dei protagonisti. Questa scelta nasce nel desiderio di approfondire un lavoro bibliografico precedente che è apparso ai miei occhi in qualche modo “arido” – non perché quanto da me consultato fosse poco esaustivo o impreciso, ma in quanto ho avvertito che limitarsi a materiale bibliografico non disponesse di quell’ “umanità” necessaria quando si tratta di antropologia.

La scelta del titolo è stata fatta in funzione delle caratteristiche della tesi. Come detto prima, l’obiettivo di questo elaborato è vagliare la particolarissima esperienza storica e antropologica della popolazione saharawi attraverso la lente delle categorie di conflitto ed identità. Il lavoro si è arricchito grazie alle voci in prima persona dei soggetti di questa storia, che ho avuto la fortuna di poter incontrare.

Il termine guerrilleros si riferisce in primis a una definizione che loro stessi si sono dati – dal punto di vista linguistico la colonizzazione spagnola ha lasciato tracce evidenti – ma fa riferimento latu sensu anche a coloro che non hanno partecipato alla guerra ma si sono impegnati attivamente per la causa dell’autodeterminazione del Sahara Occidentale: donne, bambini e tutti coloro che sono nati dopo la sospensione delle ostilità. Se la categoria di conflitto non racchiude soltanto la tipologia di conflitto armato, il termine guerrillero qui indica proprio coloro che hanno partecipato al conflitto marocchino-saharawi, prima e dopo la guerra, prima e dopo il cessate il fuoco.

Contesto e metodo di ricerca sul campo

Per procedere alla stesura di questo elaborato si è proceduto alla raccolta di materiale attraverso due procedimenti principali: la ricerca bibliografica e la ricerca sul campo.

Nella scelta delle fonti bibliografiche si è preferito utilizzare quelle che non riducessero l’intera questione a un ennesimo capitolo della rivalità tra Marocco e Algeria per il ruolo di potenza trainante nello scacchiere maghrebino; analogamente, sono state scartate quelle che accantonavano semplicemente la questione negando qualsiasi legame tra Algeria, Fronte Polisario e Repubblica Araba Saharawi Democratica (RASD), dando prova di ristrette, o peggio, erronee vedute. Le valutazioni strategiche di ogni Stato – in riferimento a Marocco, Algeria, RASD e Mauritania – devono essere analizzate senza parzialità o filtri ideologici, anche se non sono il punto centrale di questa tesi.

Poiché l’approccio utilizzato per questo scritto è di tipo storico-antropologico, da un esame dell’identità saharawi si muoverà a un’analisi degli effetti – diretti e indiretti – che il conflitto ha prodotto sul consolidamento e sulla realizzazione dell’identità saharawi. Eliminare la questione omettendo qualsiasi riferimento all’identità cancellerebbe la ragione di essere di questo scritto, così come non esplorarne le sfaccettature e le radici potrebbe essere scorretto.

Per quanto riguarda la ricerca sul campo, questo studio è il frutto di un lavoro fatto soprattutto tra i membri dell’Association des Sahraouis de France, nata nei primi Anni ‘70 nella periferia parigina dell’Yvelines (Les Mureaux, Mantes la Jolie) dove era emigrata la maggior parte dei Saharawi di Francia – soprattutto per la presenza delle fabbriche di automobili di Poissy.

Una volta presi i contatti, si è proceduto a un’enquête de terrain di tipo antropologico, utilizzando la tecnica dell’osservazione partecipante. Il metodo da me seguito è stato quello di cercare di tener conto principalmente di due fattori:

“L’insieme dei dati esterni e delle determinazioni socio-politiche globali che agiscono su un gruppo dato, a meno che non si voglia rischiare una percezione residuale e folklorica dell’oggetto; il rapporto fra l’antropologo e la popolazione presso cui lavora, e il suo ruolo nell’informazione e nella conoscenza a cui può avere accesso.” Così, le osservazioni e le analisi del ricercatore scaturiscono anche dalla dinamica del dialogo che si instaura con i suoi informatori.

Dopo un lavoro bibliografico preliminare ho elaborato un questionario che si componesse di domande aperte, perché l’intervistato potesse spaziare liberamente; solo in un secondo momento avrei interpretato attraverso un confronto trasversale le risposte e gli atteggiamenti. Una volta contattate alcune associazioni di rifugiati saharawi in Francia, ho cercato di cogliere ogni occasione per realizzare delle interviste.

Come si vedrà dalle note, ho partecipato a momenti comuni della vita di alcuni Saharawi emigrati e rifugiati in Francia – si trovassero essi in casa propria, sul luogo di lavoro o ad una manifestazione per i diritti dell’uomo. Sono stato accolto come un ospite gradito, ho mangiato e passato del tempo con loro, in modo da poter approfondire un rapporto che non si riducesse a un mero interrogatorio – cercando di scrivere di storie di vita e non soltanto di storia. Questo aspetto – che forse non sempre risulterà dalle interviste – mi pare di capitale importanza: lasciare la parola all’oggetto di studio perché ne diventi soggetto.

Le difficoltà materiali sono state svariate, di cui forse la più importante è stata la lingua. I Saharawi che sono emigrati in Francia da me intervistati si sono stabiliti nell’area periferica di Parigi – a circa 50 minuti di treno dal centro – secondo una lenta emorragia che ha finito per riunirli in un unico punto. In questo contesto hanno potuto ricreare una comunità – anche attorno a iniziative di un’associazione di rifugiati saharawi – che era integrata con il resto del tessuto sociale solo quando necessario e principalmente attra-verso persone che se ne occupassero – tessuto sociale che peraltro era formato quasi esclusivamente da altre minoranze nordafricane. Questo spiega perché la maggior parte delle interviste mi siano state rese in spagnolo – lingua studiata alle elementari e nel collegio – piuttosto che in francese – lingua del luogo in cui risiedevano in molti casi da più di dieci anni. La mia conoscenza dell’arabo ancora non mi ha permesso di sostenere un’intervista, ma la comunicazione è stata abbastanza chiara e – nonostante i rumori di fondo, le ripetizioni e i ronzii – a tutti gli effetti riuscita.

Ciò che ho raccolto in totale è risultato essere una dozzina di interviste dirette e semidirette in spagnolo, francese, inglese e – in qualche caso – un misto delle tre. Il materiale è stato interamente trascritto e successivamente tradotto in italiano.

Il numero non è alto, ma il lavoro che mi sono proposto di portare a termine non è di tipo statistico. Come specificato nel titolo, qui ho preferito la tecnica delle storie di vita, per arricchire quanto riportato e facilitare una comprensione più generale della cultura.

Le persone da me intervistate sono state quasi esclusivamente maschi saharawi che avevano trascorso una parte della loro vita in Sahara Occidentale, nei Territori Liberati o nei campi durante la guerra o dopo il cessate il fuoco. Ho intervistato solo una donna, ma per la brevità e per la rilevanza non ho ritenuto opportuno inserire dei brani da quella intervista. In più, non ho avuto altre occasioni di intervistare altre donne saharawi. E’ evidente che è per me un grande dispiacere mancare di completezza trascurando le voci di una parte fondamentale – nel senso di fondante – della società saharawi quale è l’universo femminile, ma ho cercato di sopperire a questa mancanza attraverso un’attenta lettura di alcuni testi molto esaustivi sull’argomento, quali quelli di Sophie Caratini e Christiane Perregaux. Resta comunque il rimpianto di non aver potuto raccogliere più materiale, ma ciò è stato dettato dal fatto che nelle interviste domestiche le donne erano sempre piuttosto defilate – non che questo getti ombra sull’autonomia o sul ruolo importantissimo della figura della donna – perché appartenenti a uno spazio più “privato”, interno, familiare. Spazio che non ho voluto invadere – forse eccedendo nella cautela. Nonostante queste difficoltà, ho cercato di esplorare l’argomento nel modo più esaustivo possibile nel terzo capitolo.

Il primo capitolo è un’introduzione necessaria per una facilitare la comprensione delle argomentazioni del secondo e del terzo capitolo. Dopo una definizione delle categorie di conflitto e identità, si passa alla presentazione geografica del territorio – in modo da poter individuare in modo chiaro l’importanza economica del territorio, mettendo in luce le ricchezze del sottosuolo e del mare del Sahara Occidentale. Successivamente si entra nella parte storica, iniziando con un excursus sugli “anni di piombo marocchini” e le condizioni politico-sociali del Regno del Marocco. Si prosegue con la storia del Sahara Occidentale, soffermandosi in particolare sugli Anni ’70, sulla nascita del Polisario e sulle concitate fasi di politica internazionale che si sono risolte con l’esilio nei campi di Tindouf. Il capitolo si conclude con il cessate il fuoco bilaterale dopo la guerra e una breve panoramica della colonizzazione marocchina del territorio.

Il secondo capitolo si concentra sul passaggio identitario compiuto dalla popolazione saharawi, illustrando le tappe del movimento che ha portato un insieme omogeneo di tribù a diventare popolo – analizzandole attraverso il confronto incrociato di cinque interviste. Successivamente si passa alla fase della guerra, il momento storico in cui la nuova identità fu messa alla prova nello sforzo bellico, distinguendo per tutta la durata dello scontro le tattiche e i cambiamenti di strategia dalla parte saharawi e dalla parte marocchina fino alla costruzione del Muro e al cessate il fuoco. Il paragrafo finale di questo capitolo si sofferma sulla sostituzione dei miti tribali con i nuovi riferimenti: quelli istituzionalizzati – come la figura di El Wali – e quelli “spontanei” – ovvero i racconti in prima persona dei guerrilleros.

Il terzo capitolo mira ad approfondire anch’esso il fenomeno della detribalizzazione, ponendo l’accento sulla vita “civile” nei campi dei rifugiati e sui cambiamenti intercorsi nel tempo. Il secondo paragrafo si concentra sul ruolo della donna saharawi, indagandone la figura attraverso le figura del matrimonio, del divorzio, della matrilocalità e concentrandosi sul processo di responsabilizzazione avvenuto a partire degli Anni Settanta. Il terzo capitolo si conclude con la pars construens dell’identità saharawi: il percorso educativo all’interno e al di fuori del Sahara Occidentale.

Nella panoramica storica si è dato molto più spazio al Marocco piuttosto che alla Mauritania o all’Algeria. Questo perché, se è vero che da un lato le somiglianze culturali su cui è stato impostato il discorso sono molto più evidenti, dall’altro la Mauritania è uscita dalla questione molto presto, preda delle sue fragilità strutturali, mentre il Marocco perdura nell’occupazione e nelle rivendicazioni.

Una notazione semantica è qui necessaria: per Territori Occupati qui si intende il territorio del Sahara Occidentale vero e proprio, sotto controllo del Marocco. Per Territori Liberati si intende la striscia desertica che il Polisario di fatto controlla e su cui esercita la sovranità la Repubblica Araba Saharawi Democratica. I campi – luogo di accoglienza dell’esilio saharawi – si trovano invece in territorio algerino, nei pressi di Tindouf.

Luca Maiotti

Seguirà Gli strumenti teorici per l’analisi: le definizioni di conflitto e di identità

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