Nov 13, 2013
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Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente, M.Antollovich/2

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By Marco Antollovich

Cap.1 della tesi “Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente” (M.Antollovich)

La Georgia senza l’Unione Sovietica. Dalla caduta dell’Urss

La nuova politica di apertura di Gorbaciov, basata sulla triade uskorenie, glasnost, e Perestrojka (accelerazione, trasparenza e rinnovamento) aveva dato inizio a una serie di spinte centrifughe che il segretario generale non volle o non poté controllare: uno dei punti chiave della perestrojka era costituito infatti dalla distinzione tra ruolo del partito e ruolo dello stato, il che rendeva la struttura dell’Urss sempre più decentrata, politicamente ed economicamente.

Come analizza correttamente Hobsbawn ne “Il Secolo Breve” fu la combinazione di glasnost e perestrojka a risultare fatale per l’Unione Sovietica: la lotta alla Nomenklatura, attraverso lo smantellamento del sistema a partito unico (glasnost), unita a una radicale riforma dell’economia sovietica, distruggeva un sistema consolidato dal 1928 attraverso i piani quinquennali.

Dal 1989 in poi venne meno infatti quella che veniva definita come la “linea generale di condotta” fornita dal vertice, né ad essa seguì una nuova politica economica, com’era stato per la NEP del 1924: la costruzione di una struttura libero-mercantilistica su modello occidentale poggiava quindi su delle fondamenta deboli.

Il passo dalla decentralizzazione al caos fu pertanto breve, poiché “Il sistema direzionale del partito restava essenziale in un’economia dirigista, per quanto fosse corrotto e parassita. L’alternativa all’autorità del partito non era l’autorità democratica e costituzionale, ma, in tempi brevi, l’assenza di ogni autorità” (Eric J. Hobsbawn, Il Secolo Breve).

A ciò si venne ad aggiungere un crollo strutturale dell’apparato economico tra l’ottobre del 1989 e il maggio del 1990.

La lotta alla Nomenklatura e la riduzione del potere del PCUS ebbero tuttavia conseguenze devastanti per l’immagine dell’Unione Sovietica, andando ad attecchire dapprima al di fuori del territorio nazionale, nei cosiddetti “Stati Satellite”: durante la seconda metà del 1989, in un lasso di tempo brevissimo conosciuto come “Autunno delle Nazioni” o “Autunno delle Rivoluzioni”, una serie di proteste pacifiche pose fine all’esistenza di tutti i partiti comunisti dell’Est Europa.

L’effetto domino che ebbe inizio nella Polonia di Lech Wałęsa e Karol Wojtyła dilagò in poco tempo anche in Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, DDR e Romania, Jugoslavia ed Albania.

Quando l’ondata di manifestazioni e di proteste si estese anche alle tre vicine Repubbliche Baltiche, i moti nazionalistici arrivarono, per la prima volta, anche in territorio sovietico.

La mancanza di un’autorità centrale fece sì che i movimenti nazionali, sorti negli anni ’80, prendessero sempre più piede nelle singole repubbliche dell’Unione Sovietica: i fronti nazionalistici fondati in Lituania, Lettonia, Estonia, Armenia e Georgia avevano infatti goduto di maggiore libertà politica grazie alla glasnost e, conseguentemente, di una maggiore libertà d’azione.

Tali movimenti erano nati, in principio, come contestazione del ruolo egemone dei vari Partiti Comunisti locali, con l’obiettivo di ottenere una maggiore partecipazione alla vita politica nazionale e una primitiva forma di pluripartitismo. Fu solo dal 1988 in poi che le proteste nei Paesi Baltici assunsero una piega anti-sovietica e più marcatamente anti-comunista: sebbene infatti le tre Repubbliche Baltiche gravitassero nell’area russo-sovietica dal XVIII secolo e fossero presenti minoranze russe non trascurabili in tutti i maggiori centri urbani, esse al tempo stesso vantavano una storia, una lingua e una tradizione differenti da quella russa.

La contestazione dell’annessione forzata dei tre territori in seguito all’invasione del 1940 era il presupposto legale per confutare la liceità della presenza sovietica e proclamare unilateralmente l’indipendenza.

Come le tre Repubbliche Baltiche, anche le tre Repubbliche Caucasiche, 2.500 chilometri più a sud, vantavano le stesse mire secessioniste, ma con motivazioni alla base di tutt’altro carattere.

Il Caucaso, da sempre terra multi-etnica e complessa, avrebbe riscontrato difficoltà infinitamente maggiori a svincolarsi dal giogo di Mosca, a trovare un equilibrio interno con le minoranze e a risollevarsi da una situazione economica che l’economista georgiano Vladimer Papava ha tristemente definito come una “ necroeconomia ”, ovvero un’economia morta.

Marco Antollovich

Seguirà L’indipendenza del Caucaso

Il post precedente è al link: Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente, M.Antollovich/1

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