Capitolo 2 della tesi “Gli interessi statunitensi in Asia Centrale: storia recente e partnership NATO” (L.Susic)
Capitolo 2: La politica estera Statunitense in Asia Centrale
L’influenza Americana sul Turkestan Sovietico era rimasta estremamente limitata sino alla crisi Afgana del 1979, evento che segnò un punto di svolta nel coinvolgimento di Washington in quello scenario. All’invasione da parte dell’URSS, Jimmy Carter rispose fornendo la massima assistenza ai combattenti islamici, attraverso un uso combinato di aiuti militari e propaganda. Radio Liberty e Radio Free Europe iniziarono una massiccia campagna anti-sovietica diretta proprio alle repubbliche musulmane dell’Asia Centrale, che furono oggetto anche delle pressioni religiose provenienti dall’Arabia Saudita, erta a faro dell’Islam e della Shari’a minacciati, a loro dire, dal Comunismo.
La dottrina Carter, enunciata di lì a poco, aveva lo scopo di mettere un chiaro limite alle mire del Cremlino sul golfo Persico, obiettivo raggiungibile soltanto favorendo la sconfitta Sovietica.
L’energica risposta dell’apparato burocratico Sovietico, però, spense sul nascere eventuali movimenti islamici guidati da intellettuali radicali e il Turkestan tornò ad essere marginale negli interessi degli USA.
Il quadro complessivo sarebbe potuto cambiare radicalmente con l’improvvisa caduta del Regime Sovietico, senza il quale Washington, se l’avesse voluto, avrebbe potuto mettere piede in una zona che per secoli era stata off-limits.
Gli USA, invece, si sentivano sufficientemente rassicurati dal vuoto di potere creatosi che, seppur potenzialmente dannoso, spaventava molto meno dell’ex monopolio Russo e non richiedeva un impegno costante.
In ogni caso l’amministrazione Clinton nel 1994 favorì l’ingresso delle neonate Repubbliche all’interno del PfP (Partnership for Peace) al fine di favorire la stabilità regionale e di dare agli eserciti locali gli strumenti per rafforzarsi e ridurre la dipendenza da Mosca. Comunque, nel periodo immediatamente successivo all’implosione dell’Unione Sovietica, l’immenso spazio fino ad allora occupato da Mosca venne ritenuto moderatamente importante e l’impegno dell’amministrazione statunitense fu contenuto, anche perché la crisi profonda che stava attraversando la Russia, alle prese con un’economia disastrata e una politica estera tutta orientata alle relazioni con l’Occidente, faceva sì che Mosca guardasse all’Asia Centrale come:
“a sort of appendix, without which the process of reforming the Russian economy and aligning Russia with Western economic and military-political systems would proceed more easily and quickly”.
In definitiva, le valutazioni di Washington e del Cremlino sull’importanza dell’area erano coincidenti. Nella primissima fase seguente il 26 dicembre 1991, le iniziative intraprese dall’amministrazione americana riguardarono l’imposizione di chiare clausole per l’instaurazione di relazioni diplomatiche con le nascenti repubbliche: accettazione di tutti i precedenti accordi USA-URSS, specialmente di quelli riguardanti le armi nucleari, rispetto per i diritti umani, libero mercato, elezioni democratiche e sistema politico multipartitico funzionante.
Ben presto, però, rendendosi conto della difficile realizzabilità di quanto richiesto, gli USA fecero in modo che i requisiti divenissero più mitigati e che fosse sufficiente mostrare un qualche progresso verso gli obiettivi per ottenere il riconoscimento Statunitense.
In questa fase iniziale i leader locali si dimostravano abbastanza aperti alle istanze americane, che risultavano essere fondamentali anche per ottenere l’accesso ad organizzazioni internazionali fondamentali, quali l’FMI, la Banca Mondiale, l’OSCE e l’ONU.
Sistemata la parte istituzionale, nella seconda metà del 1992 l’Amministrazione USA si dedicò a promuovere una serie di leggi specifiche per sanzionare i rapporti con i nuovi Stati: fra queste le più importanti sono il FREEDOM Support Act, promosso dall’Amministrazione Bush
“to help the people and governments of these newly independent states navigate the difficult transition from communism to democracy and market-based economies”,
e il Nunn-Lugar Cooperative Threat Reduction Act del 1992, iniziativa promossa da due Senatori (da cui il nome della legge) al fine di compiere
“remarkable strides towards eliminating WMD and delivery systems and securing WMD-materials in Former Soviet Union States”.
Nel periodo ’93-’94 si verificò una serie di fatti che rischiò di indebolire la già non straordinaria influenza regionale di cui era dotata Washington:
- l’attacco al World Trade Center di New York il 26 febbraio 1993, evento sfruttato come espediente da Islam Karimov per difendere il proprio operato in Uzbekistan e procedere ad una stretta autoritaria, ufficialmente per combattere il terrorismo islamico;
- la decisione di Niyazov di procedere ad una forma particolare di non allineamento del Turkmenistan;
- il referendum organizzato da Nazarbaev in Kazakistan per estendere il proprio mandato sino a data da destinarsi – nonostante le proteste occidentali;
- la gravissima guerra civile Tajika, che causò oltre 50.000 morti e 1,2 milioni di sfollati. Si trattò di uno scontro fra frazioni armate seguito allo stallo causato dalle prime elezioni democratiche del paese, tenutesi nel 1992. I due contendenti principali88 erano i Governativi, che sostenevano il Partito comunista ed erano affiancati dai Kulobi (abitati della regione meridionale del Kulob), e gruppi di esponenti islamici integralisti e democratici laici. Le forze al potere riuscirono a gestire la grave situazione grazie alla presenza in loco delle forze militari della CSI, schierate dalla loro parte. Nel 1994 Rahmon promulgò una Costituzione di tipo presidenziale e l’anno dopo indisse le elezioni politiche, nonostante la contrarietà di OSCE, ONU e UE che ne avevano richiesto il rinvio. Nel 1997, infine, il Presidente Tajiko e il leader dell’opposizione armata, Abdullah Nuri, siglarono a Mosca un accordo di pace promosso dalle Nazioni Unite, l’OSCE e, soprattutto, Russia e Iran.
A tale scenario poco roseo si aggiunse il progressivo deteriorarsi delle relazioni con la Russia, ulteriore spinta per il Washington a cambiare politica in loco.
L’elaborazione di una strategia più organica avvenne grazie a James Collins, che nel 1996 ne suggerì i punti principali, subito fatti propri dall’Amministrazione USA:
- sovranità e sicurezza degli Stati dell’Asia Centrale; assistenza alla creazione di un mercato libero e di una democrazia funzionante;
- integrazione di questi paesi all’interno del contesto globale e appoggio all’istituzione di relazioni funzionali fra di essi.
Le preoccupazioni Americane erano in parte alimentate anche dalla nascita del Gruppo dei Cinque, noto anche come Shanghai Cooperation Organization, conferenza nata allo scopo di favorire il dialogo fra Cina, Russia, Kazakistan, Kyrgyzistan e Tajikistan e permettere una riduzione della presenza di forze armate lungo i confini comuni. In conseguenza di ciò le grandi compagnie petrolifere statunitensi accelerarono i propri movimenti per ottenere lo sfruttamento di una serie di giacimenti in Kazakistan e Turkmenistan e, soprattutto, costruire un sistema alternativo di oleodotti che avrebbero dovuto seguire una direzione est-ovest, bypassando così sia la Russia sia l’Iran. Questo avrebbe portato un doppio risultato positivo: si sarebbe danneggiata la Russia, favorendo, contemporaneamente, le Repubbliche di cui si cercava l’amicizia.
A ciò si aggiunse l’idea che fosse possibile realizzare una rotta orientale per il gas che, partendo dal Turkmenistan, arrivasse sino in India: si trattava del progetto TAP (Trans-Afghan Pipeline), caldamente appoggiato dall’amministrazione Clinton, che però si scontrò con l’irrigidimento del regime dei Talebani e venne pertanto abbandonato nel 1998.
La ratio del progetto non fu dimenticata, perché reputata troppo importante ai fini politici ed economici e, pertanto, l’obiettivo venne riformulato nel cosiddetto Silk Road Strategy Act, sottoposto al Congresso nel marzo 1999. Anch’esso avrebbe dovuto favorire lo sviluppo economico e politico degli Stati del Caucaso e dell’Asia Centrale, reputati storici amici degli USA. Con tale documento il Congresso attribuiva al Presidente la possibilità di intraprendere azioni atte a fornire supporto di svariati tipi agli Stati individuati, con l’espressa possibilità di estendere questo diritto anche ai governi che, pur non rispettando i parametri base stabiliti in materia di armamenti, diritti umani, etc., si dimostrassero fondamentali per la sicurezza dell’America. L’anno successivo vennero anche normalizzati i rapporti commerciali con il Kyrgyzistan, elemento che rese non più necessaria l’applicazione dell’emendamento Jackson-Vanik nei confronti di Bishkek.
La prima conseguenza della nuova politica della via della Seta fu la stipula ad Istanbul di un accordo fra Georgia, Azerbaijan, Turkmenistan e Turchia per la costruzione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan (BTC), che avrebbe dovuto portare il greggio dai giacimenti del Mar Caspio alla Turchia Mediterranea.
Il progetto venne caldamente appoggiato da Washington, poiché:
“if such a pipeline could be constructed, it would provide the newly independent states of the Caucasus and Central Asia a degree of control over the export of their most valuable commodity that they would not otherwise have. The alternative was to leave this vital export in the sole hands of the successor to the USSR, the Russian Republic, and its state-controlled monopoly, Transneft”.
Si trattava, quindi, di un’altra ottima occasione sia per limitare ulteriormente il ruolo russo sia per sfruttare le incredibili risorse del giacimento di Kashagan, scoperto proprio nel 2000 e che si contava di collegare a Baku o via mare o tramite un oleodotto sottomarino, cosa realmente avvenuta a partire dal 2006, grazie ad una pipeline lunga oltre 800 km. Riassumendo, il BTC può essere considerato un grandissimo successo diplomatico nella lotta preventiva contro un potenziale monopolio energetico russo, trionfo reso ancor più eclatante dalla capacità di alcune società statunitensi ed europee di guadagnarsi l’accesso alle risorse Kazakhe, sia in termini di esplorazione che di raffinazione.
Un’interpretazione molto chiara di quello che doveva essere, invece, l’obiettivo politico Americano nel contesto centro-asiatico alla fine degli anni ’90 è quella fornita da Michael P. Croissant, secondo cui:
“Le rôle des Etats-Unis en Asie centrale est de renforcer la résistance des nouvelles républiques aux pression russe set ainsi de fournir à la politique américaine le moyen de aire hanger d’attitude la Russie. En Eurasie, il n’existe pas de zone d’influence américaine traditionnelle où les Etats-Unis puissent disposer d’un tel « levier »”.
Lo stesso autore evidenziava poi come le pressioni americane per far ricevere aiuti al Tajikistan dalla Banca Mondiale e dall’ONU avessero contribuito ad eliminare l’ultimo conflitto armato dell’Asia Centrale. Nel contempo, però, egli metteva in guardia Washington dall’appoggiare eccessivamente quei governi locali che, con la giustificazione della lotta al terrorismo, attuavano politiche repressive nei confronti della religione, senza considerare che così facendo l’integralismo avrebbe assunto maggior peso e influenza tra i fedeli.
Luca Susic
Seguirà Cap 2.1: L’eccezione alla regola: l’Uzbekistan
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Foto: bandiera statunitense di Times Live