Mag 18, 2010
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Se avanzo trattenetemi, se indietreggio respingetemi. La politica italiana dopo l’attentato in Afghanistan

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L’ultimo attacco in cui hanno perso la vita due militari italiani – e in cui altri due sono stati seriamente feriti – ha messo in evidenza l’incontenibile leggerezza della politica italiana che, come d’uso in questi casi, si affanna a mostrare una sensibilità pelosa verso le vittime e strizza l’occhio in maniera indecente alla pubblica opinione.

L’Italia è un Paese a vocazione atlantica da ormai lunga pezza, ma evidentemente non si perde mai occasione di rimestare nel bugliolo ideologico per mostrare quanto si vuole bene a quelle persone che, mal gliene è incolto, hanno deciso di servire in armi la Patria.

Intanto quello della Patria è un concetto che fa venire l’orticaria ai radical chic di tutti gli schieramenti. Tanto per fare un esempio: il tanto sbandierato inno nazionale lo cantano solo i militari e gli scolari, forse perché i primi hanno il Comandante che li scruta e i secondi hanno il prof che li potrebbe interrogare.

Non ci sono dubbi di sorta sul fatto che la Guerra sia una cosa brutta, né vi sono dubbi che le aree di crisi siano pericolose. Qualche dubbio affiora quando si sentono dichiarazioni di pacifismo dall’odore di marijuana e richieste d’intervento per salvare questa o quella etnia/popolo/gruppo sociale minacciati dalla tirannide: sarebbe meglio chiarirsi le idee.

Non è difficile fare i pacifisti, basta raparsi la testa lasciando un codino, vestirsi di arancione e alzare le braccia al cielo dopo un veloce corso di estasi mistica che renda lo sguardo come quello di Santa Teresa.

Se la scelta non è quella di inerpicarsi su un colle per darsi all’eremitaggio, cosa assai onorevole ma che ci priverebbe dei reality show preferiti, bisognerebbe chiarire una volta per tutte che cosa il nostro Paese vuol fare da grande.

Dal Mozambico alla Somalia, dalla Bosnia al Kosovo, dalla Macedonia al Ruanda, dal Kurdistan all’Iraq , da Timor Est all’Albania. Per finire con il Libano e l’Afghanistan – più altre missioni minori come Pakistan, Cambogia, Sahara, Etiopia/Eritrea, Chad eccetera – le abbiamo fatte tutte. Ci siamo solo fatti sfuggire, per un pelo, la prima guerra del Golfo, Bellini e Cocciolone a parte.

Innumerevoli sedute del Parlamento hanno indicato le motivazioni di politica internazionale e di aiuto umanitario che imponevano di partire. Anche se per la verità non si è mai sentito dibattere il concetto di interesse nazionale che, secondo desuete teorie di buon senso, dovrebbe essere l’elemento dirimente perché si vada in un certo posto.

In ogni caso si è votato molte volte – almeno una all’anno visto che c’è da trovare la copertura finanziaria! – e le forze politiche sono sempre riuscite a fare evoluzioni ideologico-parlamentari almeno pari a quelle della Pattuglia Acrobatica Nazionale.

C’è chi sta al governo ma vota con l’opposizione per far vedere quanto è autonomo; c’è chi sta all’opposizione ma vota con il governo per far vedere quanto è responsabile; c’è chi approva e poi si pente; c’è chi si astiene per rispetto verso i soldati e, infine, chi è duro e puro contro gli impegni internazionali, a patto che non si tratti di soccorrere i compagnucci della propria ideologia.

Dopo il voto più nulla, ma dopo il morto si ricomincia. Non sia mai che la comunità internazionale avesse l’impressione che in Italia i politici si siano messi a far sul serio.

Cybergeppetto

p.s. dopo il cavallo di Caligola, bisognerebbe portare in Senato l’asino di Buridano, se non fosse già morto davanti alle greppie che potevano sfamarlo e tra le quali non ha saputo scegliere.

Foto: la Linea di Osvaldo Cavandoli in Lo spazio di Mr.palm’s73

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Inchiostro antipatico

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