La riconferma di Omar al-Bashir alla presidenza del Sudan – un esito già dato per scontato dagli analisti – è stata sancita ieri con la comunicazione della percentuale di voti ottenuti al nord, un 68% che assicura allo stesso tempo anche il piazzamento del National Congress Party.
Le due estreme chiavi di lettura del risultato del voto, ragionando in valore assoluto senza considerare boicottaggi e accuse di brogli, sono rappresentative del diverso significato dato alla consultazione elettorale.
Secondo una dichiarazione del National Congress Party del neoeletto presidente al-Bashir, già accusato di crimini di guerra dalla Corte penale internazionale, si tratta di una conferma di innocenza. Di più: chi ora accusa il presidente riconosciuto dal popolo, in realtà muove l’accusa contro il popolo stesso che lo ha legittimato.
Ma qual è il popolo del presidente al-Bashir? Il Sudan è lo stato africano più esteso del continente: etnicamente suddiviso con una maggioranza arabo-musulmana a nord e cristiano-animista nella regione semiautonoma del sud; percorso da continui conflitti che inaspriscono non solo i confini tra settentrione e meridione, ma anche la regione occidentale del Darfur. Un paese che forse si dividerà in due, se il referendum di gennaio 2011 darà parere positivo all’indipendenza del sud Sudan dal governo di Khartoum.
Dalla parte opposta un parere occidentale, invece, legge tutto il processo elettorale come una farsa democratica: una retorica del cambiamento democratico priva di significato, è la definizione di Louise Roland-Gosselin, esperta negoziatrice e direttrice di Waging Peace, ong britannica che si batte contro il genocidio e l’abuso dei diritti umani con particolare riferimento agli stati centroafricani.
Tutto questo processo elettorale, spiega Louise in un articolo pubblicato da The Guardian, non ha fatto altro che legittimare un presidente già sotto accusa presso la Corte penale internazionale. La vittima alla fine è ancora il popolo sudanese a cui è stata lasciata una scelta democratica: il diritto di eleggere ”un uomo che ha sistematicamente assassinato le loro famiglie, gli amici e ha distrutto le loro vite”. Il tragico risultato di una farsa, secondo Louise, che accontenta e appaga solo l’opinione pubblica internazionale, tutta concentrata sul prossimo referendum di gennaio.
Articoli correlati:
Sudan in attesa dell’esito delle elezioni. Pesanti scontri al confine tra Darfur e sud Sudan (26 aprile 2010)
Sudan, elezioni prorogate: si vota fino a giovedì. Nelle liste anche i candidati di Umma e dell’Splm (14 aprile 2010)
Sudan, Ban Ki-Moon: lavorare sodo contro il rischio secessione (1° febbraio 2010)
Il Sudan a rischio guerra civile (7 gennaio 2010)
Fonti: BBC, The Guardian
Foto: Getty Images/Telegraph, Waging Peace (da una serie di disegni di bambini vittime di attacchi armati in Darfur)