By Cybergeppetto
Vi ricordate la canzone di Lucio Dalla Telefonami tra vent’anni? Nel testo l’autore si scherniva dicendo “io adesso non so cosa dirti, Amore, non so risponderti e non ho voglia di capirti”. Il centro studi della CGIL ha detto che dobbiamo chiamarlo tra sessantatrè anni, tanti ce ne vorranno perché il nostro sistema economico si riprenda.
La notizia, apparentemente sgradevole, si presta a numerose interpretazioni. Innanzitutto mi rinfranca assai il fatto che un oscuro modello matematico, sul cui algoritmo non ho cuore di dissertare, predica che non falliremo molto prima, cosa che, invece, a un pessimista come me appare molto più probabile.
Ormai anche i sassi possono seguire su internet l’andamento del debito pubblico e, anche se la classe dirigente di questo paese fa finta di non saperlo, chiunque abbia un briciolo di discernimento sa bene che la macchina amministrativa frena il paese e i sindacati frenano il sistema economico impedendo la mobilità della forza lavoro. Non possiamo che fallire.
Con questi chiari di luna, sapere che un giorno saremo in grado di produrre reddito per mantenere i tanti fancazzisti che pullulano nella pubblica amministrazione, nel sindacato, nelle baronie universitarie, nel parastato e in tanti ambiti lottizzati dalla politica, mi sembra una notizia che ha del miracoloso
Nell’epoca della globalizzazione, in cui tutti sono esposti alle fluttuazioni del mercato, in cui ognuno di noi in Italia ha scoperto di doversi preoccupare se fallisce la Lehman & Brothers negli Stati Uniti, il pensiero che tra sessantatrè anni non saremo riusciti a suicidarci a furia di parlare di riforma dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori mi fa sentire più lieve, scaccia la tristezza e mi fa sentire come Ulisse sospinto dallo zefiro verso Itaca, sempreché non si rompa quel dannato otre di Eolo…
Abbiamo appena festeggiato il 67° anniversario della Repubblica, in tutti questi anni non si è rimediato a nulla degli errori commessi nella costituzione del ’46, non si è riusciti a correggere l’idiozia del bicameralismo perfetto, non si è riusciti a semplificare un sistema farraginoso e inconcludente in cui gli unici che vincono sono quelli che vogliono lasciare tutto com’è, dai costi della politica all’autoreferenza della giustizia, dall’assistenzialismo di scambio alla follia dell’intervento dello stato in economia.
In questo panorama desolante la previsione della CGIL arriva come l’allegoria della speranza, che di solito veniva rappresentata come una dama dalla veste verde con una mano che regge un’ancora, che testimoniava il lungo viaggio per raggiungere il destino positivo. Basta aggiungere un telefonino nell’altra mano, pochi spiccioli di credito e possiamo avere sessantatrè anni di autonomia.
Lo studio della CGIL è come alcuni affreschi del Settecento che celebrano l’apoteosi di questo o quel marchese del Grillo di cui sono pieni i palazzi nobiliari d’Italia. Si tratta di immagini di gloria e fortuna, ma riguardano persone che di lì a poco sarebbero presto decadute. Voglio sperare che la CGIL abbia ragione, tra sessantatrè anni saremo ancora qui e magari il suo centro studi ci racconterà ancora le meraviglie del futuro, oppure ci dirà di aspettare altri sessantatrè anni.
Cybergeppetto
p.s. “Papà, devo trovare un lavoro, cosa mi consigli di fare?”. “Hai due alternative, figliolo: o emigri all’estero dove qualcuno ti farà lavorare, se ne hai voglia, oppure aspetti sessantatrè anni che il centro studi della CGIL ti spieghi che fine faremo…”.
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