By Giuliano da Frè
segue dalla I Parte
L’Esercito Italiano sul territorio
Partiamo da un altro particolare aspetto che caratterizza l’Esercito Italiano, ossia l’organizzazione territoriale, che sin dal 1861 è stata strutturata anche per affrontare possibili emergenze o insurrezioni interne, prima garantendo la solidità della Monarchia, poi i valori democratici della Repubblica nel nuovo quadro geopolitico creato dalla Guerra Fredda tra Est e Ovest.
Negli anni ‘50, dopo la riorganizzazione post-bellica completata seguendo i nuovi standard imposti dalla neonata Alleanza Atlantica, l’Esercito era strutturato, oltre che sui comandi operativi (due d’armata e 5 di corpo d’armata, più il Corpo di Sicurezza per la Somalia attivo dal 1950 al 1956), su una rinnovata struttura territoriale, passata dai preesistenti undici Comiliter a 6 grandi Regioni Militari, dalle quali dipendeva la capillare rete dei Comandi Militari di Zona e dei Distretti Militari.
Tra gli anni ‘60 e ‘70 una serie di nuove riorganizzazioni (come l’introduzione delle brigate nel 1975, con lo scioglimento dei comandi divisionali entro il 1986) portava a una struttura che, al momento della caduta del Muro di Berlino del 1989, comprendeva 26 brigate inquadrate in tre corpi d’armata e 7 Regioni Militari.
Con la ristrutturazione degli anni ‘90 e il Nuovo Modello di Difesa la struttura territoriale cambia nuovamente volto: in apparenza snellendosi, visto che dalle 7 Regioni Militari “a tre stelle” si passa a tre (Nord, Centro, Sud); tuttavia nascono tre comandi autonomi (Sardegna, Sicilia e Capitale) e 17 comandi regionali, retti da generali di divisione o di brigata. Più tardi i comandi generali si sono ridotti (Nord e Sud, Capitale e Sardegna), e dal 2011 quelli regionali fanno capo a una nuova organizzazione di “vertice d’area” territoriale presieduta dal Comando Militare della Capitale, con in sottordine i vari Comandi di Regione e il Comando Autonomo della Sardegna, cui si sono aggiunti il Comando Militare “Toscana”, alle cui dipendenze passeranno i comandi territoriali del Centro Italia, e il Comando Militare “Veneto” che includerà i CME del Nord Est.
Il risultato finale è che l’organizzazione territoriale resta assai complessa, quasi quanto quella che sino a un quarto di secolo fa doveva gestire la mobilitazione di centinaia di migliaia di riservisti in caso di “guerra totale” col Patto di Varsavia, e piena di quei comandi a una, due o tre stelle che la “spending review” della Difesa vorrebbe/dovrebbe andare a eliminare. Ma quali possono essere le possibili soluzioni?
Soluzioni possibili
Una prima risposta al problema si trova nel concetto “interforze”; e richiede una cura drastica. Ossia l’eliminazione di tutti gli enti territoriali delle tre Forze Armate (Regioni Militari, Regioni Aeree o Dipartimenti Militari Marittimi), che andrebbero sostituiti da tre soli “Comandi Territoriali Interforze” – Nord, Sud, Centro – da gestire a rotazione tra le tre Forze Armate come già avviene per le funzioni di Stato Maggiore Difesa. Al più si potrebbe pensare a un Comando Autonomo (ma sempre interforze) per la Capitale, magari concentrandovi anche tutte le funzioni di rappresentanza.
La cancellazione dei comandi territoriali andrebbe sicuramente a colpire in maggior misura l’Esercito: ma sarebbe davvero un problema per le funzioni di presidio del territorio? La quarta Forza Armata, ossia i quasi 120mila carabinieri che oltre ai reparti territoriali e operativi destinati alle sole funzioni di ordine pubblico comprende anche il Comando Unità Mobili e Specializzate Palidoro (retto da un generale a “tre stelle”), non è forse il nostro “secondo esercito territoriale”? Non dimentichiamo infatti che il Comando Palidoro inquadra, nella Divisione Unità Mobili, due brigate: la 1a comprende – oltre al 4° Reggimento Carabinieri a cavallo – ben undici Battaglioni Mobili e l’8° Reggimento Lazio, alcuni dei quali impiegano veicoli corazzati cingolati M-113 e blindo 4×4 e 6×6, comprese le moderne “Puma”; mezzi simili a quelli destinati ai reparti meccanizzati dell’Esercito. La 2a Brigata fornisce invece gli uomini dell’Arma destinati all’estero, presso le MSU impiegate nelle missioni internazionali, o per la tutela delle sedi diplomatiche, e comprende il 1° Reggimento carabinieri paracadutisti Tuscania e il GIS, il Gruppo di Intervento Speciale antiterrorismo (due unità d’élite delle forze speciali), e i reggimenti 7° e 13°.
Siamo quindi di fronte a una realtà che già delinea un’adeguata (ma sicuramente migliorabile) copertura delle esigenze di difesa territoriale di un paese che non ha più nemici ai confini terrestri, e che semmai deve guardarsi da minacce asimmetriche, proprio quelle che la Benemerita può fronteggiare con successo grazie alla sua particolare configurazione.
Ovviamente tutte le risorse che verrebbero recuperate dallo smantellamento dell’area territoriale dell’Esercito dovrebbero essere dirottate verso i comparti logistico e operativo, e non solo al “fare cassa” a favore del bilancio dello Stato.
Per quanto riguarda la logistica di base e infrastrutturale, in questi anni si è fatto molto per adeguarla a un Esercito più snello, professionale, e proiettato in missioni oltremare anche di lunga durata; senza però perdere di vista le eventuali esigenze territoriali, in questo caso legate a emergenze di protezione civile, dai terremoti alle alluvioni, ai disastri ambientali (come la crisi dei rifiuti a Napoli). Anche se di queste cose se ne dovrebbe occupare solo un ente come la Protezione Civile – peraltro una delle eccellenze italiane, e che andrebbe considerata anch’essa parte dell’apparato di sicurezza nazionale in chiave di “difesa civile” -, non c’è dubbio che l’apporto dei reparti logistici e operativi delle Forze Armate resta d’importanza strategica almeno nelle prime fasi di un’emergenza. Tuttavia anche qui si ci sono ancora margini per eliminare duplicazioni, attraverso nuovi accorpamenti interforze in vari settori.
D’altra parte la riorganizzazione dell’area logistica dovrà forzatamente tenere conto della nuova cura dimagrante cui sarà sottoposta la componente operativa.
Giuliano da Frè
segue III Parte