By Giuliano Da Frè
Tre considerazioni per cominciare
Nell’era della spending review, per l’Esercito Italiano è arrivato il momento di affrontare una nuova prova del fuoco: ossia una ristrutturazione che lo renda decisamente più snello ed efficiente a tutti i livelli.
Una riorganizzazione che dovrà essere radicale, diversamente da quanto accaduto negli anni ‘90, quando fu pesantemente tagliata la linea operativa (passata da 25 a 11 brigate di manovra) ma non l’area di vertice, mentre le componenti territoriale e amministrativa finivano per subire solamente un restyling.
Cercheremo qui di articolare alcune sintetiche – e per forza di cose incomplete – considerazioni, partendo da tre questioni.
Primo. In Italia in realtà esistono due eserciti: quello propriamente detto, “campale” o di proiezione; e un esercito territoriale che sono i Carabinieri, dal 2000 elevati al rango di quarta Forza Armata italiana. Negli ultimi anni è anche avvenuto un sorpasso – non soltanto simbolico – tra le due componenti terrestri delle Forze Armate: la Benemerita conta infatti quasi 119.000 effettivi, contro i 108.000 dell’EI, che non dispone di una vera riserva, poiché le Forze di Completamento restano in larga parte sulla carta, con l’eccezione della piccola ma eccellente Riserva Selezionata per ufficiali e specialisti. Va anche detto che dai 108.000 uomini e donne dell’Esercito non sono mai stati tratti più di 10.000 effettivi per partecipare in contemporanea a missioni internazionali di pace e/o stabilizzazione.
Questo ci porta ad una seconda considerazione. Se infatti guardiamo ai possibili modelli di confronto in ambito UE/NATO, ed escludendo la Francia che ha risorse, ambizioni e necessità diverse da quelle italiane (Parigi, che conta un esercito di 142.000 effettivi comunque da tagliare più i 105mila della Gendarmeria, ha ancora i resti del suo “impero” da gestire – il “caso Mali” è di questi giorni – con un forte impegno militare oltremare), non possiamo non notare che:
1)la Germania, che conta 82 milioni di abitanti (22 in più dell’Italia), e si trova ancora oggi in una posizione geostrategica chiave nel cuore dell’Europa, con “camera con vista” sulle turbolente aree dell’Est e dei Balcani – dove è arrivata a schierare 8.500 uomini, mentre in Afghanistan conta quasi 5.000 effettivi -, dispone di un Esercito di nemmeno 70.000 uomini e donne; anche se poi vanno aggiunti i 47.000 effettivi del Comando Interforze (o Streitkräftebasis, vero moltiplicatore di forze) e un’ampia riserva bene organizzata. Un apparato che però non può contare su una forza armata “interna” come Carabinieri o Gendarmeria, visto che la Germania impiega solo forze di polizia civile a livello federale e regionale.
2) La Gran Bretagna, con una popolazione paragonabile a quella italiana e un’esposizione sul piano degli impegni oltremare simile a quella francese, ma nessuna minaccia – nemmeno potenziale come nel caso della Germania – diretta ai propri confini terrestri (d’altra parte limitati all’Irlanda), schiera un Esercito di 107.000 effettivi, cui vanno aggiunti circa 32.000 uomini e donne del Territorial Army e 122.000 riservisti. Ma Londra non dispone di una struttura di polizia militare come Gendarmeria e Carabinieri; e l’Esercito regolare è destinato a calare a 95.000 effettivi entro il 2015, con la prospettiva di toccare quota 89.000 nel 2020, con però un incremento di 6.000 effettivi per la forza “territoriale”.
3) La Spagna dispone invece di una struttura simile a quella italiana, con un Esercito regolare e un corpo militare di sicurezza interna, la Guardia Civil: ma dai numeri “pesanti” di un tempo (240.000 uomini nel 1988, 136.000 nel 2001) l’Ejército è drasticamente calato a quota 80.000 effettivi (75.000 entro il 2025), più 13.000 riservisti: esattamente gli stessi numeri che caratterizzano la Guardia Civil. Questo, con una popolazione di 46 milioni di abitanti, e un territorio molto più vasto di quello italiano, comprendente un arcipelago (le Canarie) lontano 2.000 chilometri dalla Spagna continentale, e le grane confinarie tuttora aperte col Marocco per le enclave di Ceuta e Melilla.
Si potrebbe anche aggiungere che il Canada, paese non europeo ma appartenente alla NATO, con un territorio di quasi 10 milioni di chilometri quadrati, 36 milioni di abitanti e un forte impegno nelle missioni internazionali, dispone di un Esercito attivo di appena 25.500 effettivi; anche se a questi vanno aggiunti 16.000 riservisti di pronto impiego, altri 23.000 della Supplementary Reserve, e i 5.000 Canadian Ranger (la Royal Canadian Mounted Police, ossia le leggendarie “giubbe rosse” della polizia a cavallo, forte di 30.000 effettivi, anche se in parte assimilabile a Carabinieri o Gendarmeria resta una forza di polizia civile, seppure con statuto militare).
La terza considerazione discende dalle precedenti: pur non avendo più un nemico “simmetrico” ai confini, e con una partecipazione alle missioni all’estero che non ha mai superato un impegno complessivo su più fronti di 10-12.000 effettivi di tutte e quattro le Armi, la componente terrestre continua a contare – con entrambi i suoi eserciti, campale e “interno” – su quasi 230.000 effettivi; un dato di poco inferiore a quello francese.
I 108.000 uomini e donne che formano l’Esercito Italiano in effetti alimentano una strana organizzazione, che vede 11 brigate di manovra inquadrate – sotto il controllo del COMFOTER, un comando a “quattro stelle” nato nel 1997 e in parte erede delle FTASE – in ben quattro comandi di corpo d’armata operativi (contro i tre schierati all’epoca della Guerra Fredda e delle 25 brigate di manovra), più tre comandi divisionali di proiezione, quando già il comando “a tre stelle” NATO Rapid Deployable Corps-Italy (NRDC-ITA) era stato creato – con una apposita Brigata di Supporto – per svolgere questo compito, sulla scorta dell’esperienza fatta col COMFOP (ex 3° Corpo d’Armata) tra il 1997 e il 2002.
Un discorso a parte va fatto per le 9 brigate monoarma e i supporti che dal 2010 sono stati riorganizzati su quattro comandi specialistici (artiglieria, contraerei, genio, logistica di proiezione) combinati con quelli addestrativi d’arma nell’ambito del comando a “tre stelle” COMSUP, mentre altri due comandi superiori retti da generali di corpo d’armata (AVES e CoTIE, rispettivamente dedicati all’Aviazione dell’Esercito e a Trasmissioni/Informazioni) sono passati sotto il COMFOTER.
Appare chiaro da subito che – limitandoci all’area operativa inquadrata nel COMFOTER – a gestire i 18 generali di brigata al comando di una delle grandi unità di manovra o di supporto ci sono ben 8 generali di corpo d’armata (più i tre generali a due stelle delle divisioni di “proiezione/attivazione”: e senza contare i vice-comandanti).
Uno degli esempi più eclatanti è quello relativo ai reparti alpini.
Sino agli anni ‘80, dal 4° Corpo d’Armata Alpino di Bolzano dipendevano 5 brigate più alcuni reparti autonomi come la compagnia di alpini paracadutisti, un battaglione meccanizzato di Carabinieri, un gruppo squadroni corazzato, 4 gruppi d’artiglieria pesante, un raggruppamento dell’Aviazione Leggera su tre gruppi di squadroni, più una decina di unità di supporto.
Oggi due sole brigate (una delle quali è probabilmente di troppo; e spiace dirlo, perché gli Alpini restano una delle migliori forze di fanteria del mondo, e particolarmente popolari in un paese generalmente poco legato alle proprie tradizioni militari), più l’élite del piccolo 4° Reggimento Alpini Paracadutisti e il Centro Addestramento Alpino – comando generale a “una stella” comprendente anche il 6° Reggimento – non solo dipendono ancora da un generale a “tre stelle”, il Comando Truppe Alpine, ma vengono anche inquadrate in un comando divisionale di proiezione.
Di fatto, un generale di corpo d’armata e due di divisione (compreso il vice-comandante del CTA, cui almeno potrebbe venire conferito il “doppio cappello” del comando della Divisione Tridentina) gestiscono due brigate e un reggimento operativi, più supporti ridotti all’osso. Ma un discorso simile può essere fatto per il Comando Trasmissioni ed Informazioni dell’Esercito (CoTIE), con solo due brigate gestite dal suo generale a tre stelle, e il Comando Aviazione dell’Esercito, da cui dipende una sola brigata, più il centro addestrativo AVES e quattro reggimenti di sostegno.
I conti evidentemente non tornano, soprattutto se si va verso lo scioglimento di altre brigate. Proviamo quindi a formulare qualche ipotesi sul cosa si potrebbe fare per riportare equilibrio tra i “denti” e la “coda” del nostro Esercito, e nella sbilenca piramide gerarchica ereditata dal ministro della Difesa “tecnico”, l’ammiraglio Giampaolo Di Paola.
Giuliano da Frè
segue II Parte