By Vincenzo Ciaraffa
Stamattina, 3 dicembre, nella Sala Conferenze della Provincia di Varese, il Comandante Regionale Esercito della Lombardia, Generale Antonio Pennino, ha presentato il calendario dell’Esercito 2013 in ambito provinciale nel corso di una conferenza alla quale sono intervenuti vari personaggi di rilievo, tra i quali il Comandante del Corpo d’Armata di Reazione Rapida della NATO, Generale Giorgio Battisti, il direttore del quotidiano “Il Giorno”, tre assessori provenienti rispettivamente dalla Regione Lombardia, dalla Provincia e dal Comune di Milano. Oltre, naturalmente, ai padroni di casa della Provincia di Varese, il Prefetto, i giornalisti e perfino lo scultore Eduardo Brocca Toletti che dedicò una sua opera all’Unità d’Italia in occasione della visita a Varese del Presidente della Repubblica, il 17 marzo 2011.
Tanti personaggi per la presentazione di un calendario potrebbero sembrare eccessivi soltanto se non si conosce la tradizione (un po’ da rivedere in verità…) degli Almanacchi militari.
Secondo tale tradizione, infatti, essi nascono dai settecenteschi “Lunari” piemontesi, così chiamati perché, oltre alle immaginette sacre, riportavano le varie fasi della luna, la cui conoscenza era ritenuta molto importante da contadini, allevatori, mescitori di vino e perfino dalle donne in estro. In verità gli almanacchi militari non hanno una storia facilmente individuabile e se l’hanno è diversa e più antica di quello che non dica la tradizione di un esercito dove, fino all’altro ieri, tutto ciò che funzionava passabilmente, doveva essere per forza di estrazione piemontese.
E, invece, chi scrive ha visto con i propri occhi, nel corso di alcune ricerche fatte presso la Biblioteca Nazionale di Napoli, tutta una serie di edizioni de “L’Almanacco Reale” che si stampava a Napoli già ai tempi di Carlo III e che, per i contenuti e la ricchezza delle immagini, non avevano nulla da invidiare sia ai “Lunari” piemontesi, sia ai successivi Almanacchi militari veri e propri.
D’altronde, la supposta “piemontesità” di queste pubblicazioni è smentita anche da Giacomo Leopardi, come ben ricordano gli studenti della nostra generazione che dovettero imparare quasi a memoria “Il dialogo di un venditore di Almanacchi e di un passeggere” che il grande recanatese scrisse nel 1832. Fu soltanto dopo l’Unità d’Italia che prese definitivamente piede nei Reparti dell’Esercito la tradizione degli Almanacchi di Corpo che, fino a una quindicina d’anni fa, erano tanti quanti erano i Reparti militari. Alcuni di essi erano di pregevole impostazione grafica, di grande e documentato rigore storico, di facile impatto sentimentale perché tramandavano in modo orgoglioso le vicissitudini, le tradizioni e le glorie del Reparto. Sopraggiunte le prime avvisaglie della crisi economica, e i successivi tagli di bilancio alle Forze Armate, lo Stato Maggiore dell’Esercito decise di produrre un unico calendario che, “erga omnes”, fosse valido per tutti i Reparti Militari e che, detto con sincerità, si distingue soltanto perché l’ultima edizione è sempre più brutta di quello precedente.
Fatta, speriamo, un po’ di giustizia storica, veniamo a stamattina.
Il calendario dell’Esercito presentato dal Generale Pennino, presso la sede (per quanto ancora?) della Provincia di Varese, aveva quale filo conduttore “Il cuore delle missioni” perché intende ricordare i trent’anni dell’inizio delle missioni militari italiane all’estero – che in realtà sono iniziate oltre un secolo fa, con la rivolta dei Boxer in Cina – per la gestione delle crisi internazionali e che sono generalmente definite dai media di peacekeeping. Anche se una tale definizione è impropria perché il peacekeeping è soltanto una delle azioni appartenenti alla categoria delle Peace support operation (Pso), termine che ingloba le forme d’intervento finalizzate alla prevenzione, gestione e risoluzione di situazioni di crisi esterne al territorio nazionale e non incidenti sugli interessi vitali del nostro Paese.
Chi scrive conosce bene il Generale Pennino per aver servito il Paese ai suoi ordini in anni non molto lontani e, perciò, è certo che egli a Varese non intendesse presentare semplicemente un Almanacco militare: voleva rendere omaggio alla memoria di tutti i nostri soldati che hanno donato la propria vita per consentire che altri, degli sconosciuti, potessero vivere la propria. Grazie dell’iniziativa Comandante, gliene saranno grati, in modo particolare, i familiari dei nostri ultimi cinquantadue caduti in terra afgana, ai quali, ne siamo certi, invierà una copia del Calendario Esercito 2013 che, a ben vedere, è stato scritto anche col sangue dei loro figli, padri o mariti.
Vincenzo Ciaraffa
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