Ago 21, 2012
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Quella della Nato in Afghanistan non si può definire “ritirata”. Ecco perché

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By L’Anacoreta

Nei manuali della “Serie Dottrinale 900” in uso tra i frequentatori della Scuola di Guerra dell’Esercito di un po’ di tempo fa, veniva spiegata e codificata la cosiddetta  “manovra in ritirata”. Nei moderni manuali operativi la manovra in ritirata non è più contemplata, in quanto rappresenta un genere di operazione propria dei conflitti condotti in modo convenzionale, su larga scala, come lasciava ipotizzare la contrapposizione tra NATO e Patto di Varsavia.

Una situazione che ai giorni nostri non è più immaginabile tenendo conto dell’evoluzione che hanno subito le operazioni nelle quali il nostro esercito è impiegato. In tutte le operazioni recenti o meno in cui abbiamo contribuito con contingenti nazionali, lo scenario operativo di riferimento prevedeva l’effettuazioni di scenari COIN (counterinsurgency), per le cui connotazioni operative, completamente differenti da uno scenario warfighting, non ha senso parlare di “manovra in ritirata” (che è il termine forbito che sta per “ritirata”).

Infatti, tecnicamente per ritirata si intende un movimento retrogrado che consente di sottrarsi al contatto con il nemico quando l’azione del nemico è superiore alla propria, o quando si vogliono creare delle condizioni più favorevoli o di vantaggio per se stessi.

Può essere condotta per cercare di creare le condizioni per riguadagnare l’iniziativa o per sottrarre al nemico le proprie unità, o per ristabilire una situazione di forza a proprio vantaggio.

In sintesi, quando non si può conseguire un successo contro l’avversario, quando non si può vincere, quando sono state esaurite le proprie possibilità di manovra, allora si effettua una manovra in ritirata, che è una operazione alla stessa stregua della “manovra di attacco”.

Questa è una manovra (cioè una azione combinata nel tempo e nello spazio che si prefigge di ottenere un determinato risultato) a tutti gli effetti, che presenta una grossa difficoltà in quanto avviene in un momento di crisi e quindi  richiede una grossa capacità di comando per essere attuata.

Quando invece l’avversario impedisce di manovrare o sovrasta a tal punto da distruggere o danneggiare gravemente il proprio sistema di comando, allora la ritirata si può trasformare in una “rotta”.

Ad esempio, dopo lo sfondamento del fronte a Caporetto, a seguito di una iniziale “rotta” di alcuni reparti in prima linea, successivamente venne organizzata e condotta (quindi si trattò di una manovra pensata e voluta) dal Comando italiano,  una manovra in ritirata volta a preservare il grosso dell’Esercito e a evitare che, a seguito della penetrazione in profondità effettuata dagli austriaci, la maggioranza dell’Esercito venisse distrutta. La manovra venne condotta con successo e fermò gli austriaci in corrispondenza del Piave.

Nel caso attuale delle nostra partecipazione alla missione ISAF, si deve parlare di “ritiro” o “ripiegamento” di unità/ contingenti / forze,  in quanto si tratta di una fase naturale determinata dalle condizioni in cui si svolgono queste missioni.

In Afghanistan, che piaccia o no, si deve ricordare che siamo andati su INVITO delle Nazioni Unite e con un mandato limitato nel tempo che scade, infatti, il 31 dicembre 2014. A quella data le nazioni devono avere ritirato i propri contingenti militari.

Ora questo non può essere fatto sic et simpliciter in una settimana o in un mese, ma richiede un tempo molto lungo in quanto si tratta di un dispositivo enorme che deve essere smontato pezzo per pezzo e che non può essere abbandonato lì dove si trova. Deve, anzi, essere preparato per poi poter essere trasferito dove può, a sua volta, essere imbarcato su una nave, su un aereo, su un treno per ritornare in patria in condizioni di efficienza.

In più, quello che non è smontabile o trasferibile, ad esempio una installazione fissa, un bunker, una serie di alloggi, dei prefabbricati o delle strutture fisse, deve essere distrutto e soprattutto trasformato in “rifiuti” da smaltire in modo ordinato e secondo quelle che sono le normative ambientali per i vari tipi di materiali.

Il ripiegamento del dispositivo italiano all’interno di quello di ISAF non è quindi una fuga con abbandono di tutti i materiali e i mezzi! Non si tratta certo di una ritirata in quanto non esistono né le premesse militari, né un nemico che ci ha spinto ad andare via o ci ha cacciato o ci ha vinto.

Come è stato affermato nel meeting di Chicago e ribadito  a Tokyo, in Afghanistan nessuno se ne va. La sola cosa che cambia è il tipo di strumento con il quale le Nazioni Unite condurranno la loro attività direttamente o indirettamente per procura come hanno quasi sempre fatto!

Quindi se cambia lo strumento da usare, quello “vecchio” lo devo ritirate, portare via, ridislocare sostituendolo con quello nuovo.

Dopo il 2014 probabilmente dispiegheremo un altro strumento – non invadiamo quindi l’Afghanistan! – dopo aver ritirato quello vecchio.

La lingua inglese, che sembra tanto semplice e semplicistica, ma che invece è precisa (anche quella italiana lo è, ma bisognerebbe conoscerla a fondo), definisce la ritirata con il termine WITHDRAWAL. Mentre il ritirare, cioè il dislocare  da un’altra parte una unità, lo definisce con il termine REDEPLOYMENT .

Questo è solo un breve cenno sul significato semantico della parola “ritirata”, che è usata spesso e con tanta facilità da molti “esperti” che non sanno neanche di cosa stiano parlando, trasmettendo così un falso concetto.

L’Anacoreta

La mappa delle tre fasi della transizione è di ISAF NATO

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Afghanistan · Forze Armate · Vicino Oriente