Gen 27, 2017
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NATO: ex ufficiali turchi chiedono asilo in Europa. Un’intervista per GQ Italia magazine online

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Da GQ Italia online (pubblicato il 25 gennaio 2017)

(Link  articolo:  http://www.gqitalia.it/news/2017/01/25/noi-in-fuga-da-erdogan-il-racconto-di-due-ex-ufficiali-turchi/)

«Noi, in fuga da Erdogan». Il racconto di due ex ufficiali turchi

(Paola Casoli)

Due ex militari in servizio alla Nato raccontano come sono sfuggiti all’epurazione dopo il tentato golpe del 15 luglio 2016. E svelano una caccia alle streghe condotta dalla polizia segreta del presidente turco

Sono sfuggiti tutti e due all’epurazione di Erdogan per una botta di fortuna, o dillo con parole tue se preferisci dato che questa non è propriamente una fiaba da mille e una notte. Ora si trovano in un paese del Nord Europa con le loro famiglie, senza più lavoro, conto corrente né auto. Gli amici e colleghi sotto tortura – se ancora vivi – in qualche carcere turco e i parenti divisi tra sospetto e pena. “Ma siamo vivi, qui, con mogli e figli”.

Chiedono l’anonimato e il perché lo spiegano subito, presentandosi con una occidentalissima stretta di mano: «Siamo ‘terroristi’, – affermano i due, entrambi ex ufficiali turchi della Nato richiedenti asilo in Europa dopo il golpe in Turchia del 15 luglio – i nostri nomi sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale turca, ritenuti responsabili del colpo di stato e accusati di far passare notizie dalla Nato al Pkk cospirando contro il presidente Tayyip Erdogan».

Esatto, proprio quel colpo di stato di cui si è parlato tanto e si è saputo poco.

Loro dicono che il golpe lo hanno visto dagli smartphone mentre erano in vacanza a Londra e Stoccolma e assistevano increduli a quello che aveva l’aria di essere una bufala del web: all’ora di punta della sera, nella caotica Istanbul, i tank dei militari stavano bloccando una carreggiata del trafficatissimo Ponte sul Bosforo, ora ribattezzato da Erdogan “Ponte dei Martiri del 15 luglio”. Chi diede ai militari l’ordine?

Osman (ma non è il suo vero nome) spiega che quel 15 luglio il ponte che tutti abbiamo visto inquadrato dal poco di attività mediatica possibile quella notte in realtà «non rappresentava un obiettivo strategico: non si sa neppure da chi sia arrivato l’ordine di ostruire la carreggiata con i mezzi militari», e, quel che più alimenta il sospetto, «poi Erdogan ha invitato la popolazione a scendere in strada per bloccare i militari e difendere la patria contro il golpe in atto».

Quanto successo dopo, a Londra e Stoccolma, è stato un rapido impacchettamento dei bagagli e il precipitoso ritorno nelle sedi di lavoro Nato nel Nord Europa, dove i due ufficiali stavano prestando servizio. «Tempo qualche ora e siamo stati raggiunti da una telefonata sui cellulari di un nostro superiore presso il comando statunitense in Virginia che ci ordinava di non presentarci più negli uffici dell’Alleanza Atlantica, saremmo invece dovuti rientrare immediatamente con il primo volo in Turchia».

All’ordine verbale non è seguito mai nulla di scritto. Sono stati invece invalidati da subito i passaporti, reso inaccessibile il conto corrente e annullati tutti i brevetti militari, le security clearance e i titoli di studio non solo dei due ufficiali, ma anche delle loro mogli, una docente universitaria e una insegnante di liceo.

Come ti sentiresti se il tuo PhD venisse improvvisamente annullato e disconosciuto? Aggiungici una accusa di terrorismo e cospirazione insaporita con un ordine di cattura internazionale, senza più i tuoi soldi in banca, l’assenza di futuro per i tuoi figli e ottieni più o meno lo smarrimento e l’impotenza di questi ex ufficiali che hanno perso tutto.

«Sono stato dismesso dal mio ruolo di militare, ero un ufficiale di staff turco e lavoravo in un quartier generale della Nato: ho perso la pensione, la copertura sanitaria mia e dei miei famigliari, tutti i miei averi sono stati confiscati. È la morte civile. Ho perso il mio passato, 25 anni di esperienza al servizio del mio paese e dell’Alleanza …». Comincia così il lungo testamento che Kemal (altro nome di fantasia) mi lascia tra le mani mentre scorre da youtube i filmati dei colleghi e amici che sono finiti sotto custodia della polizia direttamente all’aeroporto, obbedienti all’ordine di rientro.

Volti tumefatti, sguardi fieri e camicie inzuppate di sangue. Sono capi di stato maggiore, military attaché, comandanti, piloti. La maggior parte di loro ha un PhD negli States. Tutti hanno un’educazione occidentale e un inglese scioltissimo.

Molti di loro che si trovavano in Turchia al momento del golpe sono stati irretiti con un abile stratagemma che sa di dramma teatrale contemporaneo: la notte del golpe un whatsapp con l’ordine di rientrare subito nelle loro caserme li ha riuniti tutti nei loro comandi, dove poi si è presentata la polizia che li ha arrestati contestandone la presenza in un orario inusuale e dunque correlato al golpe. Ecco pronta l’accusa: risultavano coinvolti direttamente nel putsch.

Gli ufficiali arrestati erano a cerimonie di nozze, a feste estive o a casa loro quando hanno ricevuto l’ordine via whatsapp. «Il comandante del corpo d’armata di reazione rapida della Nato in Turchia – continuano a spiegare i due – quando ha capito cosa stava succedendo si è chiuso nella caserma con i suoi uomini, telefonando alla CNN turca per dichiarare l’estraneità di tutto il suo comando. Lo hanno arrestato e di lui e della sua famiglia non abbiamo più notizie».

«È chiaro che l’azione era stata ben architettata, con la lista dei militari da eliminare redatta in anticipo», sottolineano i due ‘terroristi’. Dietro questa rete di numeri di telefono personali dei cellulari degli ufficiali c’è lo spettro del Sadat, l’istituto di consulenza internazionale e di informazione di Erdogan: «tipo una polizia segreta» lo definisce una delle due mogli. Se lo cerchi nel web trovi un sito che ti fa pensare subito a un think tank serio e competentissimo, con una grafica accattivante ma essenziale».

Ma quali erano i militari da eliminare? «Ci arriviamo subito, intanto segui bene il ragionamento perché tutto quello che stai leggendo in giro in questo periodo ti starà depistando – mette in guardia Osman – a partire dal dossier che identifica come responsabile del golpe quel capro espiatorio di Fethullah Gülen, esule negli Stati Uniti – una lectio facilior, per così dire, fino alle presunte insuperabili ostilità dei militari nei confronti del supporto al Pkk in favore della lotta all’Isis. Qui in realtà la parola chiave è ‘radicalizzazione’».

Come spiega bene l’ufficiale, che in fatto di analisi tradisce tutta la sua preparazione militare di alto livello.In Turchia, dove esistono solo bianco e nero, o sei con Erdogan o sei contro e se sei contro di lui sei un terrorista. «Tayyip ha radicalizzato la società, ecco perché la popolazione si sente intrisa di patriottismo ed è avversa ai militari», inizia a chiarire Osman anticipando una valutazione molto lucida.

«Nel 2012 Erdogan ha iniziato a lavorare sodo in ogni settore: istruzione, economia, giustizia, società. Grandi investimenti e una progressiva sostituzione dei vertici di ogni dicastero e istituzione, un piano che non ha avuto altrettanto successo nelle forze armate».

Ma «non puoi controllare la Turchia se non controlli i militari» e in più in Turchia, spiegano i due ‘terroristi’, il settore militare è bipartito: una fazione atlantica si contrappone a quella sino-asiatica. «Erdogan voleva sbarazzarsi della prima, costituita da ufficiali educati in accademie statunitensi, con PhD occidentali e una laicità universalmente riconosciuta in quanto ispirati allo storico padre della Turchia Mustafa Kemal Atatürk”. Ecco perché la notte del golpe sono stati i colleghi ‘atlantici’ a ricevere il whatsapp. Si era creata l’occasione per incolparli e allontanarli dai piani del Presidente. Quelli che oggi si incominciano a intravedere con la riforma alla Costituzione, se non ti sono sfuggite le ultime news sulla Turchia.

Tayyip ha dunque abilmente creato il nemico contro cui scatenare la furia del popolo, ora i ‘traditori’ – non solo i militari, ma anche gli insegnanti, i giudici, gli avvocati, i giornalisti, i portalettere (sic!), gli avvocati e i cittadini che hanno aperto un conto corrente in una banca ritenuta gülista – i ‘traditori’, dicevamo, e le loro famiglie vengono allontanati da tutti. Costretti a vivere per strada senza lavoro né soldi né scuola, «proprio come i profughi siriani» fa sapere una delle due signore riferendo una triste realtà.

I loro corpi vengono sepolti in una fossa comune alla periferia est di Istanbul: la tomba dei traditori, sul terreno offerto dal sindaco animato dallo spirito patriottico acceso da Erdogan.

Come vedi la Turchia di smeraldo dove vai a fare le vacanze in caicco, quella culla di civiltà da cui ti porti a casa spezie sottovuoto e tappeti in seta, non è solo hüzün e simit, melancolia e ciambelle di pane al sesamo, ma imprevedibilità asiatica e laicità tradita.

Le atrocità degli stati maggiori ottomani sono in fondo ancora lì, pronte a riemergere dal profondo della storia in tutto il loro anacronismo: la Turchia è un membro della Nato dal 1949, ovvero dall’anno della fondazione dell’Alleanza. Ma il suo ultimo califfo non tollera più l’atlantismo che promuove la democrazia, per questo mette in discussione la stessa tradizione laica iniziata oltre un secolo fa da Atatürk, ritenuto il padre della moderna Turchia.

All’ultimo sorso di tè, che nelle case turche si beve nel bicchierino così come avrai fatto anche tu nei baretti del bazar o tra i sofà lussuosi del Divan di Istanbul, Kemal e Osman confermano di essere ricercati dall’Interpol. Sono ‘terroristi’. Come me che ho scritto di loro. Come te che hai letto questo articolo. È la radicalizzazione, bellezza.

Fonte e foto: GQ Italia

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