Dopo l’attacco di ieri a Parigi al quotidiano satirico Charlie Hebdo la Francia è attonita e il mondo è sdegnato. Il livello di allerta è ora massimo anche in Italia, dove il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha convocato già ieri pomeriggio il Comitato di analisi strategica Antiterrorismo, composto da esperti di antiterrorismo di forze dell’ordine e intelligence.
“Non siamo la Francia, la situazione nel nostro Paese è più tranquilla, ma è evidente che non possiamo sentirci fuori pericolo”, è stato il commento riportato dall’Ansa degli esperti di intelligence e antiterrorismo che ieri hanno seguito le notizie provenienti da Parigi rimanendo in contatto con i servizi dei paesi alleati. L’onorevole Alfano conferma: “Abbiamo pronta una legge per contrastare meglio i foreign fighters”.
Ora ci sentiamo tutti più tranquilli: l’allarme c’è e non c’è, insomma!
Intanto è chiaro che non siamo la Francia, non c’è dubbio. È sicuro che da noi non esistono segni di un probabile attacco, non ce n’è proprio ragione infatti! Da noi non servono attacchi sanguinari contro la libertà di espressione perché da noi, in Italia, la situazione è davvero più tranquilla. Non ci sono intemperanze da colpire. Noi siamo un popolo mite che è pronto a spogliarsi anche dell’intera propria storia in nome dell’accondiscendenza.
Noi la nostra identità l’abbiamo già messa in discussione tutte le volte in cui abbiamo rimosso il presepe dalla scuola elementare, in vista di una ipocrita uguaglianza. Tutte le volte in cui abbiamo sostituito la parola immigrato con migrante, disconoscendo la ricchezza della lingua italiana per compiacere l’illuminismo lessicale della Carta di Roma.
Ai nostri valori abbiamo abiurato nel momento in cui abbiamo acconsentito a togliere il crocifisso dalla camera dell’ospedale per non arrecare disturbo a chi è musulmano, con tanto di disposizioni da parte del direttore sanitario. E persino nel momento in cui alla scuola media del paesino del profondo nord è stato attivato il corso di lingua e letteratura araba per soli figli di arabi, alla faccia della ghettizzazione.
Questo è lo squilibrio di cui siamo testimoni in Italia da anni. L’impoverimento a cui ci siamo assoggettati a furia di disconoscere i nostri valori in nome dell’uguaglianza, che poi in realtà è risultata essere una profonda disuguaglianza con vignette satiriche – questo è oggi l’argomento sotto i riflettori – che se non hanno colpito il Santo Padre hanno bersagliato il presidente Silvio Berlusconi, per non mettersi troppo in gioco insomma.
Noi in Italia non abbiamo nulla da temere. Sul serio. L’opinione pubblica benpensante, rafforzata e nutrita da tutti i nostri vertici istituzionali, sempre squisitamente scevra di equilibrio in nome di chissà quale senso di colpa o anelito di opportunismo, ha già provveduto a ritagliare la nostra fetta di immunità.
Esiliando Oriana Fallaci o imbavagliando Magdi Cristiano Allam, tanto per ricordare i nomi di punta di una azione raffinata e cesellatrice operata anche attraverso le azioni disciplinari impartite dall’ordine dei giornalisti. Ravvisare e punire una presunta intemperanza culturale è stato da sempre lo sforzo di questo italianissimo revisionismo del dopoguerra che include le sferzate dotte dell’onorevole Cécile Kyenge e le comparsate in elegante hijab alla preghiera musulmana del venerdì a Roma della presidente della Camera, onorevole Laura Boldrini.
Niente paura, dunque. Qui in Italia siamo tutti tranquilli e al sicuro. Siamo il paese delle convergenze parallele, dove tutto si fa e non si fa allo stesso tempo: i militari in teatro operativo non fanno la guerra e se sparano (per carità!) lo fanno perché stanno portando la pace; se si addestrano, superando le opposizioni benpensanti, devono poi giustificare l’uso del poligono con una contropartita ambientale a favore della regione ospitante. Come minimo. Si spara e non si spara allo stesso tempo, ecco.
Noi accogliamo chi scende dai barconi con mediatori culturali in grado di non offendere la sensibilità dell’ospite, umilmente pronti a riempire sacchi di spazzatura del cibo offerto e non gradito.
Quando ci siamo ritrovati tra le mani Abdullah Ocalan, e poi Abu Omar e poi ancora Mehmet Ali Agca, ne siamo stati infastiditi, quasi che fossimo stati chiamati a prendere delle decisioni: li avevamo ma non li avevamo, insomma.
Noi ci siamo già spogliati della nostra identità e non rappresentiamo un pericolo. Sappiamo scandalizzarci per l’irriverente business sui centri di accoglienza dei “migranti” così come con altrettanta nonchalance sfoggiamo al bavero delle grandi occasioni il nastrino giallo, in segno di ipocrita solidarietà nei confronti dei due militari italiani abbandonati in India.
Allo stesso modo oggi possiamo sentirci parte di questa emozione corale al cospetto dell’attacco di ieri ammantandoci dell’hashtag #JeSuisCharlie o #NotAfraid: allarmati ma tranquilli.
Paola Casoli
Foto: Ansa
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