Il cessate il fuoco e la “colonizzazione” marocchina
In seguito a rinnovati appelli dell’ONU, in parallelo ad un apparente disgelo delle relazioni tra Marocco e Algeria, il 6 settembre 1991 fu firmato un cessate il fuoco tra Marocco e Fronte Polisario, anche se gli scontri avevano diminuito d’intensità già da due anni.
La Missione delle Nazioni Unite per l’organizzazione di un Referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO), creato con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 690 del 29 aprile 1991, sotto la cui egida si svolsero le trattative, fu incaricata di supervisionare la messa in atto di un referendum che dovesse permettere ai Saharawi di esprimersi liberamente sul futuro del Sahara Occidentale.
A tutt’oggi il referendum – 22 anni dopo – non è stato ancora effettuato, né le trattative sembrano potersi sbloccare.
Il Marocco fa semplicemente ostruzionismo istituzionale, con ricorsi per il corpo elettorale (75.000), dichiarazioni provocatorie (a fine marzo 2006 il re marocchino Mohammed VI dichiarò che il suo paese non rinuncerà mai alla sovranità sulle sue provincie del sud) conservando de facto il controllo sul Sahara Occidentale. Sul territorio infatti è stata attuata una vera e propria politica di colonizzazione: secondo il Dipartimento di Stato Americano i marocchini che postulano per entrare in uno degli uffici statali sono pagati l’85% in più dei loro omologhi in patria, esentati da imposte sul reddito, imposte di valore aggiunto e ricevono sussidi su beni di base e servizi. Nel 2007 sono tra i 200.000 e i 300.000, il doppio dei Saharawi, e il loro numero cresce (Jacob A. Mundy, Performing the nation, pre- figuring the state: the Western Saharan Refugees, thirty years later, the Journal of Modern African Studies, vol.45 no. 2 (Jun., 2007) p. 279).
Il Marocco non riesce a sfruttare il valore delle ricchezze e ad oltrepassare l’ostilità della popolazione, quindi gli investitori stranieri non sono pronti ad assumersi il rischio di perdere soldi in una situazione di possibile instabilità.
Per quanto riguarda gli investimenti interni, oltre alle spese militari, dal 1976 il Marocco ha speso 1 miliardo di dollari per le infrastrutture sul territorio (ma qualcuno le stima a molto di più) ed ora più del 90% delle case hanno acqua potabile e più dell’80% elettricità, percentuali molto più alte della media nazionale. A livello lavorativo la situazione rispecchia i disperati tentativi del Marocco di implementare la crescita economica, senza però riuscire a liberarsi da alcune rigidità strutturali. Nella provincia di El Aiun, escludendo l’attività di pesca stagionale, il numero degli impiegati nel settore privato era di poco oltre le 2.500 persone, mentre i lavoratori nel pubblico eccedevano le 20.000 persone. E’ la mentalità del Makhzen che ritorna. I Saharawi, così come sotto la colonizzazione spagnola, sono esclusi da queste opportunità: secondo l’Associazione dei Saharawi Disoccupati l’86% – 88% dei posti di lavoro disponibili sono presi dai marocchini. La fonte di maggior impiego è l’industria di fosfati (secondo i manager il 60% dei dipendenti sono Saharawi) ma gli attivisti sostengono che non ce ne siano più di 200 su 1900 lavoratori. Un’emigrazione di massa di saharawi in cerca di migliori condizioni, quella che diversi intervistati ha chiamato la “diaspora saharawi”, alleggerisce la pressione sociale, assecondando i disegni del Marocco. La situazione interna rimane tesissima, grazie alla presenza soverchiante di forze di polizia e servizi segreti, che non lesinano interrogatori, minacce, punizioni, torture.
“Mi ricordo, nel 96, quando sono passato dai campi rifugiati, sono partito per Ginevra per testimoniare davanti alla Commissione dei Diritti dell’uomo, no nel 93, ho telefonato a mia moglie la prima volta. La seconda volta mi ha detto “sono arrivati gli sbirri, mi hanno chiesto quante altre volte ti ha telefonato e così via, e hanno detto la verità”. Vedete all’epoca tutto è controllato. Tutti i Saharawi sono controllati. Per la minima cosa, se invii una lettera rischia di cadere tra le mani delle autorità marocchine, le chiamate sono controllate soprattutto le famiglie che hanno i figli laggiù [nei campi]”( Intervista a Brahim Ballagh nei dintorni di Ledru Rollin, 11 Arrondissement, Parigi del 16-12-12)
Anche dopo la liberalizzazione e il rilascio dei prigionieri, i Saharawi potevano essere fermati e presi da agenti di una qualsiasi delle forze di polizia o di sicurezza: FAR, GR, FA, DGSN, DST, CMI o DGED [FAR (Forces Armées Royales, qui chiamate Reale Esercito Marocchino), GR (Gendarmerie Royale), FA (Forces Auxiliares), DGSN (Direction Générale Sureté Nationale), DST (Direction Surveillance du Territoire), CMI (compagnie Mobile d’Intervention) ora diventati GIR, DGED (Direction Générale des Etudes et de la Documentation].
Tutto ciò avviene nel silenzio, senza che la questione del Sahara Occidentale possa essere neanche nominata all’interno dello spazio pubblico marocchino. Secondo Reporters Sans Frontières il paese figura al 138° posto su 179 nella classifica 2011/2012. Nei primi sette mesi dell’anno 2009 le autorità marocchine hanno fatto dell’arma economica il mezzo privilegiato di rappresaglia contro i media più indipendenti. Ci sono una serie di argomenti tabù, delle “linee rosse” che non possono essere oltrepassate: la religione, il re e la monarchia, l’integrità territoriale (nello specifico, il Sahara Occidentale). I pochi giornali che hanno osato alzare la voce (TelQuel, Nichane, Al-Jarida Al-Oula, Akhbar Al-Youm, Al-Michaal, Al-Massae, Le Journal hebdomadaire) sono stati duramente colpiti attraverso sanzioni economiche stellari e incarcerazioni e minacce ai giornalisti (Rapporto Mondiale di Reporters Sans Frontières sul Marocco relativo all’anno 2009).
Se la questione resta appannaggio di un establishment che ha paura delle conseguenze politiche di un passo indietro che viene chiesto dalla comunità internazionale, la vicenda continuerà a restar irrisolta, aprendo a scenari estremamente pericolosi. Il più pericoloso di tutti è una risposta che mi è stata data da molti intervistati alla domanda “come si potrà sbloccare la situazione? La via della armi è percorribile?”: “Tutti amiamo la pace, ma quando combattevamo stavamo vincendo. Ora stiamo perdendo” (Questo commento mi è stato fatto molto spesso – ma quasi sempre a microfoni spenti – non solo da ex-combattenti, ma anche da persone che non avevano mai servito sotto l’esercito).
Luca Maiotti
Seguirà Capitolo 2 La detribalizzazione e la nascita del popolo: un esperimento sociale
Il post precedente è al link Sahara Occidentale: conflitto e identità attraverso le storie di vita dei guerrilleros saharawi, L.Maiotti/7 – La Repubblica Saharawi Democratica
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