Capitolo 1.2 della tesi “Sahara Occidentale: conflitto e identità attraverso le storie di vita dei guerrilleros saharawi”, di Luca Maiotti
La posta in gioco: introduzione geografico-economica del territorio
Noto anche come Sahara spagnolo, il Sahara Occidentale è un territorio del Nord Africa, compreso tra il 20° e il 30° parallelo, che si estende per una superficie di 266.000 km quadrati (circa la metà della Francia) secondo la tesi più attestata. Confina con il Marocco a nord, con l’Algeria ad est, con la Mauritania ad est e a sud e con l’Oceano Atlantico ad ovest. Queste frontiere sono il risultato di una serie di trattati tra le potenze coloniali francese e spagnola firmati tra il 1900 e il 1912. È diviso in due zone principali: la prima è la regione del Saquiat El-Hamra (letteralmente “fiume rosso” per via della composizione argillosa del suo letto) la cui città principale è la capitale El Aiun; la seconda è la regione del Rio de Oro, il cui capoluogo è Dakhla (ex Villa Cisneros).
La zona più a nord è occupata dalla hammāda (parola che trae la sua etimologia da morto, estinto), un tipo di deserto caratterizzato da altopiani rocciosi e brulli, con presenza di pietrisco. Scendendo verso sud si entra nella zona dei fiumi, ma questi sono in realtà da considerarsi più come delle depressioni in cui l’acqua scorre nelle stagioni di pioggia e rapidamente evapora ancor prima di arrivare al mare. Sugli argini e sul fondo sabbioso si può praticare l’allevamento. La terza zona è quella interna, costituita da ʿirq (sabbia di-sposta a dune) dove l’acqua si accumula nel sottosuolo consentendo la creazione e lo sfruttamento di numerosi pozzi. È facile capire come un tale tipo di terreno abbia condizionato le attività umane, dirette essenzialmente verso l’allevamento e la pastorizia di tipo nomadico (cammelli e capre). Un tale interesse da parte di almeno tre paesi per questo territorio non può essere giustificato dal suolo tutt’altro che ospitale o dal numero dei capi di bestiame. Lo sguardo va diretto più in profondità.
I dati sono ancora limitati – lo stesso sottosuolo marocchino è stato mappato solo per il 20% della sua interezza – vista anche la storia recente del territorio, ma l’indubbia ricchezza in rapporto all’esiguo numero di abitanti ha portato qualche studioso a definire un Sahara Occidentale indipendente come un potenziale “Kuwait del Maghreb”
Questo territorio infatti può vantare due e forse più risorse fondamentali che lo rendono estremamente “desiderabile” dal punto di vista economico. La prima risorsa presente in grande quantità sono i fosfati, scoperti dal governo spagnolo negli anni ‘50 e sfruttati già a partire dagli anni ‘70. I fosfati sono un componente cruciale dei fertilizzanti e dei detergenti attualmente in commercio. Includendo il Sahara Occidentale, il Marocco ha prodotto nel 2000 circa 21,5 milioni di tonnellate di fosfati, destinandone circa la metà alle esportazioni, in cui ricoprono una voce tutt’altro che marginale. I giacimenti maggiori si trovano a Bou Craa, dove un insieme colossale di scavatrici, camion e draghe è continuamente all’opera. La miniera è la più vasta al mondo, e copre 250 chilometri quadrati. Da qui parte un nastro trasportatore lungo più di 100 km, uno dei bersagli preferiti del Polisario, che conduce quanto estratto ad El-Ayun, dove è stato costruito un molo apposito per navi di enorme stazzatura. Si calcola che la produzione annuale media sia di circa di tre milioni di tonnellate di fosfati lavorati per anno.
Secondo la stima di una missione ONU del 1975, un Sahara occidentale indipendente sarebbe diventato il secondo maggior esportatore di fosfati dopo il Marocco, con il suo 34% di quota. Al prezzo del tempo, Bou Craa avrebbe generato 680 milioni di ricavi dall’esportazione e avrebbe garantito al Sahara Occidentale un reddito pro capite simile a quello di alcuni paesi europei. Il sogno di Ḥassan II di un monopolio dei fosfati fu infranto, dopo un aumento spettacolare delle entrate all’inizio degli anni ‘70, dall’aggiustamento della domanda che portò a dimezzare i ricavi alla stessa velocità di quanto cresciuti.
La seconda grande risorsa territoriale deriva dai 1110 chilometri di coste del Sahara Occidentale. La zona di mare che bagna le sue rive è tra le più pescose al mondo, e la Spagna, dalle sue basi nelle Canarie, ha cercato di sfruttarlo fin dal XVI secolo. Vi si trovano più di 190 specie di pesci e diverse dozzine di crostacei, cefalopodi e molluschi. Distinguendo una pesca artigianale e una industriale, la Spagna praticava soprattutto la prima, mentre la seconda era appannaggio di immense navi-officine battenti bandiera giapponese, sovietica e sud-africana che riuscivano a trattare il pescato immediatamente. Come per quanto riguarda i fosfati, negli accordi di Madrid siglati al momento di lasciare il territorio nel 1975, la Spagna si assicurò una quota importante delle risorse ittiche. La negoziazione è poi proseguita nel 1988 firmando il primo accordo di pesca Unione Europea-Marocco, con il quale 800 licenze venivano garantite al costo di 282 milioni di euro. L’accordo, che non faceva riferimento a delimitazioni territoriali definitive, fu rinnovato fino al 1999 a costi sempre più alti, fino al momento in cui le richieste economiche del Marocco divennero sproporzionate e si decise perciò di non perpetuarlo.
Le zone di pesca del Sahara Occidentale hanno contribuito in maniera notevole per quanto riguarda il mercato del pesce: in totale nel 2000 vennero portate a riva 896.000 tonnellate di pesce e 317.000 furono destinate all’esportazione. Questo settore è a tutt’oggi oggetto di investimento da parte del Marocco: per esempio le banchine di El Aiun nel 2002 hanno subito il loro terzo intervento di ampliamento dalla loro apertura nel 1986, raddoppiando la capacità dell’intero porto. Nonostante l’istituzione di periodi di chiusura della pesca e di quote di tonnellaggio però, il totale dei banchi sta rapidamente decrescendo a causa della pesca illegale. Nel 2002 un’associazione di piccoli proprietari di navi di Dakhla ha sostenuto che ci fossero più imbarcazioni non registrate che imbarcazioni con licenza, con il beneplacito delle autorità locali evidentemente implicate in connivenze e corruzione.
Altre risorse del sottosuolo sahariano, meno importanti di fosfati e pescato solo per il momento, sono il petrolio e altri minerali. La ricerca del petrolio rappresenta un’istanza primaria per il Marocco, secondo importatore africano dopo il Sud Africa. Negli anni 70, mentre si facevano importanti scoperte sulle coste della Guinea Bissau e della Mauritania, qualunque prospettiva per i giacimenti offshore si era rivelata troppo rischiosa a causa della situazione di instabilità sul territorio e degli elevati costi della tecnologia necessaria.
Dieci anni dopo il cessate il fuoco il Marocco sembra però ora disponibile a riaprire i canali per investimenti stranieri, in quanto il conflitto è stato congelato e l’expertise raggiunta nel campo delle trivellazioni in alto mare ha abbattuto i costi delle ricerche. Così nel 2000 una nuova legge sul petrolio ha abbassato al 25% la quota statale sulle concessioni di esplorazione e sviluppo, abbattuto le royalties di produzione ed esentato dalle tasse le compagnie una volta avviata la produzione.
Nell’autunno 2001 il governo di Rabat ha firmato accordi con TotalFinaElf, major petrolifera francese e la texana Kerr-McGee. Gli accordi avevano diviso l’intera massa delle acque del Sahara Occidentale coprendo un’area di 150.000 chilometri quadrati. Alcuni analisti avevano visto nella nazionalità degli attori economici una presa di posizione, soprattutto da parte degli Stati Uniti, per un Sahara Occidentale come regione autonoma sotto sovranità marocchina. Gli Stati Uniti, in presenza di giacimenti rilevanti, avrebbero potuto svincolarsi dalla loro dipendenza dai paesi del Golfo Persico, permettendo una diversificazione del rischio e un abbassamento dei prezzi. Ciò tuttavia non è avvenuto. Secondo il sito Western Sahara Resource Watch, la Kerr-McGee si è ritirata dopo che il Fondo Pensioni Governativo Norvegese, seguito da altre società norvegesi, aveva venduto tutte le proprie quote detenute nella società per ragioni morali – letteralmente per la “violazione particolarmente seria di fondamentali norme etiche” – spingendo la compagnia petrolifera a non rinnovare il contratto con il Marocco.
Il Marocco comunque non è l’unico attore a condurre negoziati: recentemente altri soggetti sono intervenuti nello scenario. La multinazionale petrolifera australiana Fusion ha annunciato nel 2002 di aver raggiunto un accordo con il Fronte Polisario. Non avendo accesso ad altri dati, essa si incaricò di un’operazione di studio di 12-16 mesi e della presentazione di un report; in cambio il Polisario si impegnava a garantire il diritto di opzione sui contratti alla Fusion di tre blocchi da 20.000 chilometri quadrati, a partire dal momento in cui la RASD sarebbe stata ammessa alle Nazioni Unite.
Altri minerali estraibili si trovano in grandi quantità nel sottosuolo del Sahara Occidentale. Primo tra tutti è il ferro (2,4 miliardi di tonnellate di ottima qualità stimate dal 1970), seguito dal titanio (stimato a 270 milioni di tonnellate) e si ipotizza che il territorio nasconderebbe uno dei più ricchi giacimenti di vanadio, materiale usato per irrobustire il titanio nei motori dei jet e nelle strutture di volo ad alta velocità. Ci sarebbero 23 milioni di tonnellate di vanadio, quando le riserve globali conosciute ammontano in totale a 63 milioni, quota che garantirebbe se non il monopolio, almeno la quota maggioritaria del mercato.
Questa breve panoramica sulle risorse del Sahara Occidentale deve servire come una premessa ai fatti storici e come un dato da tener presente nell’interpretazione degli avvenimenti, soprattutto recenti. In più, viene a cadere uno dei tradizionali argomenti contro la nascita della Repubblica Saharawi Araba Democratica, ovvero la sua incapacità di sostenersi economicamente. Quanto visto fin qui dimostra la parzialità di questa tesi e sembra avvalorare piuttosto la teoria della resource curse. Secondo questo paradosso, i paesi e le regioni con un’abbondanza di risorse naturali, in particolare di risorse non rinnovabili come minerali e combustibile, tendono ad avere minore crescita economica e peggiore sviluppo rispetto ai paesi con meno risorse naturali.
La popolazione sul territorio
Gli abitanti autoctoni del Sahara Occidentale sono chiamati Saharawi (in diversa grafia Sahraui). Il termine è genericamente un aggettivo relativo al Sahara, ma negli anni ha comunemente assunto un deciso significato politico. In questo scritto si farà riferimento al popolo del Sahara Occidentale chiamandolo Saharawi, parola che è presente nella stessa costituzione della RASD (Repubblica Araba Saharawi Democratica, appunto). Il dialetto dell’arabo che viene usato ancora oggi è l’hassaniya, che accomunava tutte le tribù principali che abitavano il Sahara Occidentale prima della colonizzazione spagnola. Era stato introdotto dagli arabi Maquil, arrivati in Maghreb nel corso del XIII secolo, il cui gruppo principale era chiamato “figli di Ḥassan”, e si compone di un 80% di termini arabi e un 20% di termini mauri. Il Sahara Occidentale era infatti popolato anticamente da berberi (soprattutto Sanhaja e Zeneti), Mauri e Ebrei. Con il VII secolo erano arrivate le prime ondate di arabi, a cui seguì quella degli arabi Maquil provenienti dallo Yemen all’inizio del XIII secolo.
Tutte queste tribù, pur conservando molte differenze tra di loro, erano accomunate da alcuni elementi: in primo luogo la struttura patriarcale e patrilineare (dove però la donna aveva una certa importanza); ogni tribù era poi divisa in frazioni e sub-frazioni, a cui corrispondevano un certo numero di tende (khaima) e un certo numero di famiglie . Vigeva una gerarchia tra le tribù (guerriere, shorfa , tributarie), ma tutte erano musulmane e parlavano, con leggerissime varianti, l’hassaniya. Si contavano una ventina di tribù nel Sahara Occidentale, ma le principali erano otto, divise in 45 frazioni. Queste tribù si distinguevano in maniera piuttosto netta da quelle vicine del Marocco o dell’Algeria, mentre intrattenevano legami abbastanza stretti con quelle della Mauritania. Non è corretto parlare di un popolo all’inizio della colonizzazione spagnola (fine XIX secolo), ma si può parlare di un insieme di tribù omogeneo per tradizione, lingua, religione e costumi.
Luca Maiotti
Seguirà 1.3 Introduzione storica Gli “anni di piombo” marocchini: l’esercito
Il post precedente è al link Sahara Occidentale: conflitto e identità attraverso le storie di vita dei guerrilleros saharawi, L.Maiotti/2
Foto: Alkemia