Ago 6, 2014
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L’ascesa cinese in Asia Centrale/5, Mentesana – Lo Xinjiang

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By Valentina Mentesana

Cap 2 della tesi L’ascesa cinese in Asia Centrale, di Annalisa Boccalon – Valentina Mentesana – Agnese Sollero

Xinjiang: il fattore geografico

La Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang si trova nella parte nordoccidentale della Cina e da sola, con i suoi 1.660.000 km2 di estensione, rappresenta il 18% della superficie dell’intera  Repubblica Popolare Cinese.

Data la sua posizione si tratta di una regione strategicamente rilevante per Pechino, infatti, è l’area che fa sì che la Cina possa essere considerata a tutti gli effetti parte integrante dell’Asia Centrale e non come una semplice vicina. Per comprendere questa affermazione è necessario analizzare brevemente i confini territoriali dello Xinjiang. Come si può ben vedere dall’immagine riportata (Fonte: http://www.chinatouristmaps.com/chinamaps/topographyofchina/topographyofxinjiang.html), lo Xinjiang confina a nordest con la Mongolia, a nordovest con il Kazakistan, a ovest con il Kirghizistan ed il Tagikistan e a sudovest con Afghanistan, Pakistan e India.

Già dall’elenco degli Stati confinanti è intuibile la delicatezza del problema dello Xinjiang, una regione cinese che, come vedremo successivamente, è abitata da una forte comunità turcomusulmana, a stretto contatto con le instabili repubbliche centroasiatiche, con l’Afghanistan occupato dalle truppe NATO e con il Kashmir, regione amministrata da Pakistan, India e Cina.

Dal punto di vista della morfologia del territorio, lo Xinjiang è diviso sostanzialmente in due aree: la steppa arida del bacino Dzugarian a nord e il deserto solcato da oasi del bacino Tarim a sud.

Il confine tra questi due bacini è segnato dalla catena montuosa Tian Shan. Va ricordato, inoltre, che solo il 4,3% del territorio della regione è abitabile.

Xinjiang: il fattore etnico

La regione Autonoma Uigura dello Xinjiang ha una popolazione di 21.813.334 abitanti (National Bureau of Statistics of People’s Republic of China Datas, 2010).

Si tratta di una regione originariamente abitata da popolazioni di etnia uigura (Il termine “uiguri” significa alleati, uniti), turcofona e a maggioranza islamica.

La comunità uigura dello Xinjiang, assieme a quella dei vicini Kazakistan e Kirghizistan, è composta da oltre 8 milioni di individui (Dati resi noti nel 2000 dimostrano che 8.399.393 uiguri vivevano nello Xinjiang, 223.100 in Kazakistan e 49.000 in Kirghizistan. Sull’argomento rimandiamo a Yangbin C., 2006) e rappresenta il quarto gruppo turcofono più numeroso al mondo dopo quelli stanziati in Turchia (53,6 milioni di persone), in Iran (35 milioni di atzeri) ed in Uzbekistan (23 milioni di persone).

È evidente, quindi, che il gruppo turcofono stanziato in Asia Centrale ha numeri troppo elevati per non tenerlo in considerazione o, cosa ancor più grave, per neutralizzarlo attraverso politiche di assimilazione.

Data la composizione etnica storica, la regione è da sempre considerata da Pechino come potenzialmente pericolosa per l’integrità territoriale dell’intero Paese essendo ben visibile il rischio di una secessione con conseguente ricostituzione, assieme alle comunità uigure di Kazakistan e Kirghizistan, della Repubblica del Turkestan dell’Est. Pechino, come vedremo in seguito, ha deciso, quindi di agire non solo sul piano internazionale avviando rapporti amichevoli con le Repubbliche Centroasiatiche vicine, ma anche e soprattutto sul piano interno attuando una serie di politiche economiche volte a trasformare lo Xinjiang in una regione economicamente allettante.

Le politiche di Pechino a sostegno dell’economia dello Xinjiang, di pari passo con l’eliminazione dei vincoli alle migrazioni interne, hanno favorito lo spostamento di milioni di cinesi di etnia Han che, in cerca di migliori condizioni di vita, hanno scelto di cercare fortuna proprio nello Xinjiang.

Inoltre, va ricordato che nel 1965 Pechino ideò per la provincia ed attuò un programma di nuovi insediamenti con cui spinse soldati e lavoratori ad emigrare nello Xinjiang. Lo scopo principale di tale politica era quello di riequilibrare, per quanto possibile, la composizione etnica della regione e stabilizzarla.

Queste sono le ragioni per cui il rapporto numerico tra popolazione uigura e popolazione Han si è sostanzialmente rovesciato. Infatti, stando ai dati emersi dal quarto censimento nazionale avviato nel 1990, dopo le prime politiche avviate da Pechino negli anni ’80, la popolazione uigura nella regione era di 7.214.431 abitanti, mentre gli abitanti Han erano 8.602.978. Dieci anni dopo, nel 2000, la popolazione uigura era pari a 8.399.393 abitanti, mentre gli abitanti Han erano 9.816.805.

Stando ai dati fin qui riportati si può notare come il tasso di crescita della popolazione uigura (16,4% nei dieci anni) sia superiore almeno di due punti percentuali rispetto al tasso di crescita della popolazione Han (14,1% nei dieci anni).

È, quindi, credibile pensare che nel lungo periodo, date le divergenze culturali in materia di concezione della famiglia, se i tassi di crescita rimarranno costanti e non ci saranno altri incentivi alle migrazioni Han interne, si potrebbe verificare una nuova inversione nel rapporto tra popolazione uigura e popolazione Han.

Nel caso in cui questo scenario ipotetico si verificasse è possibile che le preoccupazioni di Pechino circa eventuali spinte secessioniste aumentino e che, di conseguenza, il governo centrale debba affrontare una minaccia che fin qui era riuscito a controllare approntando nuove politiche per controllare la regione.

Tuttavia, come già preannunciato, non possiamo tralasciare il fattore migratorio. Non possiamo escludere, infatti, che la massiccia migrazione volontaria Han verso lo Xinjiang continui e/o sia incrementata.

In questo caso diventerà piuttosto imprevedibile ipotizzare uno scenario futuro. Va, inoltre, ricordato che benché la popolazione uigura rappresenti numericamente meno del 50% della popolazione complessiva dello Xinjiang, se al gruppo etnico uiguro aggiungiamo anche le altre popolazioni turcomusulmane presenti nella regione (kirghizi e kazaki) il numero degli abitanti turcofoni supera il 50% e costituisce, quindi, la maggioranza della popolazione.

Fino a qualche generazione fa la comunità uigura non era riuscita a sviluppare un senso d’identità comune in quanto si trattava di persone che abitavano perlopiù le oasi sparse lungo il bacino Tarim, nel sud del Paese.

La comunità uigura, quindi, era piuttosto frammentata e ciò, secondo alcuni, rappresentava una prova della possibilità di un’assimilazione indolore. Convinzione, questa, peraltro molto simile a quella sviluppatasi circa mezzo secolo prima nell’Unione Sovietica nei confronti delle popolazioni turche dell’Asia Centrale.

In quel caso l’assimilazione contribuì, al contrario delle attese, a rafforzare l’identità delle minoranze. Così, anche nel caso della comunità uigura l’identità debole si è rafforzata notevolmente come reazione alle politiche di assimilazione poste in essere da Pechino (Un breve inciso va fatto sul significato del termine “assimilazione” e, nello specifico, sulla diversa accezione che assume in Stati come gli Stati Uniti rispetto alla connotazione assunta nella Regione dello Xinjiang. Per gli statunitensi il termine ha un’accezione assolutamente positiva in quanto riflette l’esperienza americana di Paese di immigrati, un Paese nel quale tra XIX e XX secolo l’obiettivo principale era la creazione di una nazione fondata su valori comuni in cui tutti i partecipanti potessero apportare una parte delle loro identità legate al “vecchio mondo” per amore dell’accettazione del nuovo. Si tratta del cosiddetto ideale del melting pot. Le popolazioni turcofone dello Xinjiang, invece, non credono nel progetto cinese di costruzione di una società multietnica e temono in futuro di venir assorbiti dal mondo cinese Han senza la possibilità di mantenere vivi i loro usi e costumi. In senso culturale, religioso e linguistico temono che “assimilare” significhi morire. Sull’argomento rimandiamo a Fuller G., Starr F.,2003).

Non va, inoltre, trascurato l’appeal suscitato dalla denominazione della regione imposta da Mao Tse Tung nel 1955 “Regione Autonoma Uigura dello Xinjiang”. Nel nome, quindi, si fa esplicito riferimento all’etnia allora maggioritaria della regione, una scelta all’apparenza azzardata in quanto foriera di spinte secessioniste. In realtà, dal punto di vista governativo, l’accento va posto non tanto sull’aggettivo “uiguro”, quanto sull’aggettivo “autonoma”.

La strategia adottata dalla dirigenza del Partito è figlia proprio della dialettica comunista. Il riconoscimento delle regioni autonome implicava un riconoscimento transitorio, da parte del Partito Comunista, nei confronti delle identità locali culturali indipendenti che a breve sarebbero state assimilate. Si trattava, quindi, di una mera dichiarazione di principio in quanto l’autonomia nazionale non ha senso in un regime comunista.

Il rapporto tra Han e uiguri è tendenzialmente conflittuale in quanto caratterizzato da una lotta per il dominio e dalla richiesta uigura di indipendenza. Inoltre, gli uiguri hanno sempre percepito la loro diversità rispetto agli Han. L’approfondirsi delle rivendicazioni uigure è frutto del rafforzamento dell’identità comune tanto che molti uiguri turcofoni non musulmani si sono convertiti alla religione islamica. Tuttavia, va ricordato che dopo un primo periodo di ampia tolleranza da parte di Pechino nei confronti della libertà di culto, negli anni ’90 furono imposte misure restrittive alla pratica del culto islamico.

Ricordiamo che nello Xinjiang risiede il 50% della popolazione musulmana totale della Cina. I musulmani dello Xinjiang percepiscono le differenze di trattamento a loro riservate rispetto alle altre minoranza musulmane sparse sul territorio cinese.

Pechino sta cercando di espellere l’influenza islamica dai settori chiave come l’educazione per relegarla alla mera pratica individuale presso i luoghi di culto tradizionali.

In conclusione, l’aspetto demografico del problema dello Xinjiang è riconducibile non solo alla deliberata politica demografica di “Hanizzazione” voluta da Pechino, ma anche ad una relativamente ampia libertà di movimento all’interno dei confini della Repubblica Popolare Cinese concessa ai cittadini cinesi.

Xinjiang: il fattore energetico (cenni)

Dell’importanza energetica della regione tratteremo in modo più approfondito nel prosieguo dell’elaborato. In questo paragrafo ci limiteremo a fornire alcune informazioni preliminari. Nella regione sono presenti ampie riserve di minerali, gas e petrolio che attraggono gli investimenti del governo centrale. Per quanto riguardala produzione di gas, lo Xinjiang è la prima regione cinese per i quantitativi estratti.

A dimostrazione del crescente interesse governativo nei confronti di questa regione, nel 1999 lo Xinjiang fu la regione che accolse in assoluto il più elevato quantitativo di trasferimenti da Pechino. Ovviamente, l’interesse della capitale si manifestò sotto forma di investimenti nel settore dell’industria petrolifera, del gas e nel settore delle costruzioni di infrastrutture. Si trattava di investimenti che minacciavano direttamente le aspirazioni uigure di controllo sulle risorse del proprio territorio.

Valentina Mentesana

Seguirà Le politiche di Pechino nella regione

Il post precedente è al link L’ascesa della Cina in Asia Centrale/4, Mentesana

Mappa fornita dall’autrice

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