Lug 14, 2014
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Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente, M.Antollovich/11

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By Marco Antollovich

Capitolo Secondo: Georgia, Pedina Di Un Nuovo Grande Gioco. L’allargamento oltre il Mar Nero: gli Stati Uniti in Georgia.

Dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica gli Stati Uniti cominciarono a intravedere nel caos che caratterizzò i primi anni ’90 nel Caucaso e nelle neonate Repubbliche Centro-asiatiche la possibilità di creare un nuovo ordine, rimescolando le carte del “Grande gioco”.

La politica di penetrazione statunitense nell’area fu un processo progressivo e calcolato: partendo dal riconoscimento delle repubbliche indipendenti, si passò a una cooperazione economica, politica e infine militare.

Considerando l’iniziale debolezza russa, impegnata in una ridefinizione della propria politica interna, gli Stati Uniti non ebbero difficoltà a ergersi come salvatori delle traballanti economie caucasiche.

Già sotto la presidenza Bush, nel 1992 vennero firmati la “Joint Declaration Relation” e l’“Agreement on Promotion of Invesments” tra Stati Uniti e Georgia.

Durante l’anno seguente, tuttavia, quando il testimone passò a Bill Clinton, il Caucaso cominciò ad acquistare per Washington un peso sempre maggiore.

Bisogna riconoscere, in parte, che le scelte statunitensi si adattarono complessivamente alle scelte già effettuate da Mosca nei rapporti con le Repubbliche Caucasiche: come già analizzato precedentemente, la Federazione Russa aveva garantito un appoggio maggiore all’Armenia durante il conflitto con il vicino Azerbaigian e aveva sostenuto le mire secessionistiche di Abcasia e Ossezia del sud per contrastare il nazionalismo georgiano. Ciò detto, risultò facile per l’amministrazione Clinton creare legami più saldi con l’Azerbaigian e soprattutto con la Georgia, “salvandole” da un isolamento pericoloso.

Pertanto, nel dicembre del 1993 venne ratificato l’“Agreement Concerning the Provision of Training Under the United State International Military education and Training” che diede inizio a una serie di accordi volti a fornire al partner georgiano un aiuto sempre più tecnico e meno umanitario.

L’aiuto statunitense alla democrazia georgiana

La nuova dottrina Clinton, detta anche dell’“Allargamento democratico”, prevedeva il rafforzamento di istituzioni democratiche in stati in processo di formazione, creando conseguentemente le condizioni per la nascita di un sistema di libero mercato su modello occidentale; in questo caso inoltre “la promozione della democrazia” si unisce qui a una volontà affermata di ingrandire la sfera NATO e inglobarvi i paesi provenienti dall’ex blocco comunista”.

A ciò va aggiunta una dichiarazione ancora più esaustiva della posizione statunitense nelle Repubbliche Caucasiche: come affermò Strobe Talbott i punti cardine della nuova dottrina consistevano nel:

sostenere le riforme politiche ed economiche […], operare nell’interesse della sicurezza energetica e favorire l’accesso delle imprese americane ai mercati del Sud Caucaso

La stabilità del Caucaso appare dunque strumentale all’instaurazione di aziende americane in loco e volta a rassicurare gli investitori internazionali della fondatezza dei loro investimenti.

[Va detto che] L’ utilizzo del “soft power” statunitense in Georgia prevedeva un considerevole impegno economico nell’area, anche tramite investitori privati. In questo capitolo, analizzando la tipologia di intervento da parte russa e da parte statunitense, vi è una certa eterogeneità nella descrizione dei metodi utilizzati dalle due potenze. Tale eterogeneità dell’ analisi è dovuta sia a una scelta nella selezione del materiale reperito, sia a un’ effettiva diversità nella metodologia di intervento. Grazie alla trasparenza delle pubblicazioni statunitensi, è stato possibile inserire maggiori dati (prevalentemente di carattere economico) rispetto al paragrafo dedicato alla Russia. Nel suddetto paragrafo le informazioni sono più generiche e meno “statistiche” a causa delle differente modalità d’ azione da parte russa, di carattere politico-militare, piuttosto che economica.

Dopo la Rivoluzione delle Rose, non a caso, gli investimenti stranieri in Georgia aumenteranno considerevolmente, consentendo a Tbilisi di raggiungere tassi di crescita fino al 12% annuo.

La logica che sta alla base di tutto ciò è complessivamente semplice e lineare: gli USA stanziano prima dei fondi con scopi umanitari, poi ne stanziano degli altri volti a un miglioramento dell’economia locale; a questi si aggiungono dei contributi per la difesa e la riforma dell’esercito.

Un investitore occidentale può presumere che, considerando l’ampia portata delle riforme statunitensi in Georgia, sia conveniente investire nel paese. Il fatto che dal 2003 un presidente democraticamente eletto considerasse l’avvicinamento alla NATO e all’Occidente e la lotta alla corruzione obiettivi primari della propria politica in una regione che veniva considerata ancora all’interno dall’Unione Sovietica dall’investitore medio, faceva presumere una potenziale stabilità interna.

Gli investimenti ottenuti consentirono la realizzazione di progetti faraonici (vedi BTC, BTS, BTE) volti a risollevare ulteriormente l’economia georgiana e a favorire gli interessi di Stati Uniti e Unione Europea nell’area. Considerando la mancanza di giacimenti di idrocarburi o di risorse naturali rilevanti, la Georgia poteva offrirsi ai mercati occidentali in due modi: come “corridoio” e come “cuscinetto”.

Entrambe le alternative destavano l’interesse statunitense: come “corridoio”, poiché passaggio forzato del petrolio del Caspio in Europa via Turchia, e come “cuscinetto”, per contenere il neo-espansionismo russo e l’altrettanto pericoloso espansionismo (principalmente economico e culturale) iraniano.

Considerate queste premesse, tra la fine degli anni ’90 e i primi anni del 2000 il contributo economico statunitense alla Georgia avrebbe raggiunto i 180 milioni di dollari all’anno, per un totale di 3,37 miliardi di dollari. Tali fondi venivano stanziati attraverso l’USAID, tutelato dal Freedom Support Act del 1992, e poi grazie alla Millennium Challenge Corporation. La MCC, nata durante l’amministrazione Bush, aveva come obiettivo principale quello di ridurre la povertà attraverso interventi mirati in quei paesi che “già avevano avviato delle politiche volte a favorire la crescita e che rendessero pertanto l’assistenza efficace”.

La Georgia, che aveva dato il via a molte riforme in campo economico e aveva precedentemente ottenuto fondi da altri istituti di credito americani, ricevette dunque un pacchetto “compatto” di 395 milioni di dollari per il miglioramento del sistema stradale, la riabilitazione del gasdotto Nord-Sud, la redistribuzione delle risorse idriche nel territorio e l’agricoltura. Tali fondi saranno accompagnati nel corso degli anni a ulteriori contributi per le spese militari al fine di una possibile candidatura Georgiana alla NATO.

Non si deve inoltre trascurare il fatto che la Georgia assumerà un ruolo sempre più importante per la politica statunitense nel post-11 settembre. La repubblica caucasica avrebbe potuto costituire una vera e propria testa di ponte per la missione ISAF (International Security Assistance Force) fornendo basi militari, piste di atterraggio e porti sul mar Nero.

Tbilisi costituirà, durante la presidenza Saakashvili, il più valido e fedele alleato statunitense nel Caucaso, grazie a un’intensa cooperazione, sia per quanto concerne le tematiche di sicurezza energetica che per quanto concerne la partecipazione militare in Iraq e Afghanistan.

Significativo il fatto che gli Stati Uniti, i quali non vollero o non poterono intervenire durante la “guerra dei cinque giorni” tra Georgia e Russia, stanziarono l’esorbitante cifra di un miliardo di dollari dilazionato in soli due anni alla repubblica caucasica indirizzato alla ricostruzione nelle zone distrutte dall’attacco russo.

Marco Antollovich

Seguirà : Il “soft power” statunitense

Il post precedente è al link  Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente, M.Antollovich/10

Foto: Bill Clinton (foto d’archivio) è di The Fab Empire

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