Capitolo Secondo: Georgia, Pedina Di Un Nuovo Grande Gioco
La Nuova Russia e la politica del “Near Abroad”
La dissoluzione dell’Unione Sovietica portò, il 26 dicembre del 1991, alla nascita di quindici differenti stati (più precisamente: la Federazione Russa, erede legittima dell’ Unione Sovietica, Ucraina, Bielorussia, Moldavia, Estonia, Lettonia, Lituania, Georgia, Azerbaigian, Armenia, Kazakhstan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan; la Germania Orientale si uni alla Germania Occidentale), ciascuno animato da forti sentimenti nazionalisti, nuove mire espansionistiche e una nuova politica estera volta a creare nuovi legami e nuove alleanze.
La Federazione Russa, erede dell’ Unione Sovietica, all’alba dell’indipendenza, si trovò in una situazione nuova e difficile da amministrare: in piena crisi economica e identitaria, sembrò addirittura che potesse essere inglobata dai nuovi piani espansionistici dell’Unione Europea.
Tralasciando ora le problematiche interne (sia economiche che politiche) della neonata federazione, ci focalizzeremo invece sulla sua politica estera. Da subito risultò evidente che l’influenza nell’Est Europa sarebbe andata scemando notevolmente in tutti quegli stati appartenenti al patto di Varsavia, nei quali sarebbe stato impossibile frenare l’espansione dell’Unione Europea e della NATO.
Il problema maggiore sorse quando anche le Repubbliche Baltiche, l’Ucraina e la Georgia cominciarono a manifestare l’intenzione di entrare nell’UE e nella NATO.
La nuova politica di integrazione Europea, espressa nella Carta di Parigi, prevedeva infatti che qualsiasi nazione in regola con i parametri europei avrebbe potuto entrare nell’Unione, senza che nessuno stato (in questo caso la Russia), potesse influire sulla decisione attraverso minacce economiche o militari.
La Russia si trovava dunque schiacciata dall’Occidente nell’Est Europa, dalle mire espansionistiche del nuovo colosso cinese in Asia Centrale e dalle nuove mire espansionistiche Statunitensi in tutti i nuovi stati una volta facenti parte dell’Unione Sovietica. A fronte di queste minacce, Mosca si trovò costretta a ridefinire un sistema di alleanze e un nuovo corso nella politica di controllo sulle ex-Repubbliche.
Tale politica verrà espressa dai Ministri degli esteri Primakov e Ivanov in due famose dottrine.
Le dottrine di Primakov e Ivanov
La prima, formulata da Evangenij Primakov, prevedeva un nuovo sistema di alleanze volto a rinsaldare i rapporti nel Near Abroad, attraverso la tutela delle minoranze russe presenti in quei territori, stringere nuovi legami economici grazie alle politiche energetiche e creare solide alleanze con le neonate Repubbliche. Tale dottrina, volta a contenere l’espansionismo statunitense e le sue ambizioni egemoniche sul Rimland (il Rimland è la fascia marittima e costiera che circonda l’Eurasia, essa si divide in 3 zone: Zona della costa europea; Zona del Medio Oriente; Zona asiatica.
La teoria e stata formulata negli anni ‘30 dallo studioso statunitense Spykman come evoluzione delle teorie di MacKinder), mirava a intensificare la presenza russa anche nel Medio Oriente.
In particolare, aumentò notevolmente la cooperazione con la Repubblica Iraniana, quando Primakov e il ministro degli esteri iraniano Ali Akbar Velayati definirono “inaccettabile” la presenza di potenze straniere nel Golfo Persico. Vennero siglati allora una serie di accordi economici e militari di non trascurabile mportanza: la Russia ampliava così la sua sfera di influenza a Sud, fino al Golfo Persico, in una regione di grande interesse strategico, ricca di giacimenti di petrolio e gas naturale, che a sua volta intravedeva nella nuova alleanza con una grande potenza la possibilità di by-passare l’embargo posto dall’ Occidente (nell’ ottobre del 1987 il presidente statunitense Ronald Regan decretò l’embargo totale di esportazioni e importazioni iraniane attraverso l’Ordine Esecutivo 12613, in seguito all’ attacco iraniano ai danni dell’ Iraq).
Il secondo obiettivo russo riguardava i rapporti con la Cina: oltre alla cooperazione economica, legata soprattutto al rifornimento di idrocarburi ad una Cina in continua espansione, risultava fondamentale rafforzare la cooperazione militare, una cooperazione che venne definita da Russia e Cina come “ una partnership strategica per il XXI secolo”.
Dal 1991 l’industria bellica russa ha fornito armamenti per un totale di 2 miliardi di dollari a Pechino. Dal 1996 i due stati collaborano all’interno della Shanghai Cooperation Organization, assieme a Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan ed Uzbechistan,un’ organizzazione creata con lo scopo di rafforzare la cooperazione militare tra le Repubbliche nelle regioni di confine.
Dopo l’invito all’Iran di entrare a far parte del gruppo, non è escluso che la SCO possa trasformarsi in una vera e propria alleanza militare volta a contenere l’espansionismo statunitense dal Golfo Persico allo stretto di Taiwan.
La seconda dottrina, formulata dal Ministro degli Esteri russo Ivanov nell’ottobre del 2003, nasceva con l’intento preciso di ridurre la presenza economica-militare di altre potenze al di fuori di quella russa nelle ex-Repubbliche Sovietiche. Tale dottrina poteva essere conseguita attraverso due strumenti: politica energetica e politica militare.
La politica energetica attuata da Mosca consisteva nell’utilizzare i giganti Gazprom e Roseneft (soprattutto in Ucraina, Georgia ed Armenia) per creare una condizione di sudditanza economica. Gazprom, inoltre, ha siglato negli anni degli accordi con le società kazakhe, turkmene e uzbeke per la costruzione e il controllo dei gasdotti e degli oleodotti in Asia Centrale.
Nel 1992 la Russia fu promotrice della nascita di un trattato di sicurezza collettiva tra Federazione Russa, Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan e Armenia che sarebbe diventato effettivo soltanto nel 14 marzo 2002 con il nome di CSTO (Collective Security Treaty Organization).
I tre punti cardine dell’alleanza prevedevano la salvaguardia dell’integrità territoriale degli stati membri, una lotta comune al terrorismo e ai traffici illeciti nell’area e la salvaguardia dello status quo interno alle repubbliche, dopo le rivoluzioni colorate avvenute in Georgia, Ucraina e Kirghizistan.
Già nel dicembre del 1999 la Federazione Russa aveva cercato di ristabilire la propria egemonia economica sulle nuove repubbliche indipendenti attraverso la creazione della CSI (Commonwelth of Indipendent States), grazie alla quale era riuscita a stabilire ottimi rapporti economici con quasi tutte le neonate repubbliche.
La CSI non sarebbe riuscita tuttavia a evitare l’avvicinamento di Georgia e Ucraina rispettivamente all’Unione Europea e agli Stati Uniti.
Marco Antollovich
Il post precedente è al link Tra Russia e Stati Uniti. Storia della Georgia indipendente, M.Antollovich/7
Seguirà: La Russia nel Caucaso: il caso Georgiano
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