Mar 18, 2014
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Transnistria: un conflitto congelato da vent’anni nell’interesse delle grandi potenze e delle élite russe e ucraine

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By Marco Antollovich

Transnistria: un nome poco conosciuto ai più, di cui poco si sa e poco si parla. Si tratta di un cosiddetto territorio (o stato) non riconosciuto, un’entità secessionista autoproclamatasi indipendente durante la dissoluzione del colosso sovietico agli albori degli anni ’90, ma che nessun altro stato riconosce. I conflitti congelati scaturiti dalla frammentazione dell’allora Unione delle Repubbliche Socialistiche Sovietiche sono quattro: il Nagorno Karabakh, conteso tra Armenia e Azerbaigian, le due repubbliche di Abcasia e Ossezia del Sud, dichiaratesi indipendenti dalla Georgia, e la Transnistria.

La questione transnistra non si può definire, a oggi, ancora risolta: i negoziati, intrapresi già a partire dal 1993, avrebbero visto due “blocchi” contrapposti dove l’OSCE, prima, e l’Unione Europea, poi, si sarebbero erti a difensori della causa moldava, mentre la Federazione Russa avrebbe difeso il separatismo transnistro. Ancora una volta, come in altre occasioni, gli interessi della popolazione sarebbero stati trascurati in favore delle élites locali, russe e ucraine, e degli interessi di grandi potenze. Come negli altri conflitti dell’area, la Russia sembra essere intenzionata a mantenere il controllo politico ed economico sulle ex-repubbliche sovietiche sfruttando l’autonomia degli Oblast’autonomi come leva, mentre l’espansionismo dell’Unione Europea a Oriente si pone in diretto contrasto con le mire egemoniche del Cremlino. Uno scontro tra Est e Ovest che investe anche la Repubblica Moldava, una nazione piccola, ma fortemente divisa tra il mondo rumeno-latino e quello russo-slavo.

Introduzione storica

Facente parte della RSS di Ucraina fino al patto Ribbentropp – Molotov del 13 agosto del 1939, la Transnistria (in russo: Приднестрóвская Молдáвская Респýблика) venne annessa alla Bessarabia, territorio storicamente rumeno, formando ufficialmente la RSS Moldava il 2 agosto 1940. Riconquistata dai Rumeni durante la Seconda Guerra Mondiale, la RSS di Moldavia venne rioccupata dall’Armata Rossa durante gli ultimi mesi del 1944. Nella Repubblica Sovietica riuscirono a convivere, per quasi cinquant’anni, una maggioranza rumena e minoranze russe, ucraine, turcofone (i Gagauzi) e bulgare. Le differenze all’interno della repubblica risultavano tuttavia marcate e potenzialmente foriere di conflitti: la maggioranza della popolazione moldava era infatti storicamente romena e soltanto la Transnistria, una fascia di terra tra il fiume Nistru/Dniestr e l’Ucraina (equivalente ad un decimo del territorio moldavo) risultava a maggioranza russo-ucraina (39% Moldavo/Rumeni, 28.3% Ucraini, 25.4% Russi e 1.9% Bulgari). La Transnistria godeva inoltre dell’appoggio di Mosca, il che le aveva permesso di perseguire con successo una politica di industrializzazione di gran lunga maggiore rispetto al resto della Moldavia: nel 1990, più del 30% delle industrie moldave ed il 90% della produzione energetica facevano capo a Tiraspol (capoluogo della Transnistria) e l’economia transnistra rappresentava il 40% del PIL nazionale.

La Perestrojka, come in altre Repubbliche Sovietiche, contribuì a far sì che il nazionalismo dilagasse anche nella RSS di Moldavia; i Moldavi, uniti sotto il Frontul Popular, richiedevano il riconoscimento del moldavo/rumeno (e l’ utilizzo dei caratteri latini e non del cirillico) come lingua ufficiale, un’autonomia sempre maggiore, e una possibile riannessione alla Romania. Ancor prima che la Repubblica Moldava dichiarasse la propria indipendenza, i due territori a minoranza moldava, Transistria (2 settembre 1990) e Gaguzia, dichiararono la loro, cercando il riconoscimento come repubbliche sovietiche indipendenti, ma sempre all’interno dell’ URSS. La causa principale di tale scelta era la paura di una possibile riunificazione romeno-moldava, nella quale le minoranze russe ed ucraine avrebbero avuto un ruolo defilato e marginale, sia politicamente, che in senso prettamente geografico.

A seguito della dichiarazione d’indipendenza della Repubblica Moldava, il 24 agosto 1991, Chisinau riaffermava la piena autorità sulla Transnistria. Il giorno seguente, il Soviet di Tiraspol annunciava l’indipendenza assoluta della regione, la Repubblica Moldava di Pridnestrovia.

Grazie ad aiuti economici e tecnici rumeni, la Moldavia organizzò un proprio esercito e, dopo aver dichiarato lo stato di emergenza, marciò su Tiraspol il 1° marzo 1992. I secessionisti transnistri, grazie all’ aiuto di “volontari” russi ed ucraini e della XIV Armata dell’ ex Armata Rossa del generale Lebed’, respinsero l’esercito moldavo e conquistarono Bender/ Tighina, città etnicamente mista, ma geograficamente ad ovest del Dnestr. Si stima che le truppe regolari dell’ esercito moldavo fossero circa 30.000, contro 14.000 soldati russi della XIV Armata, 9.000 miliziani transnistri addestrati dalla Russia e circa 5.000 volontari provenienti dall’Ucraina e dalla regione del Don. Il 21 luglio 1992, il presidente russo Eltsin e quello moldavo Snegur stabilirono il cessate il fuoco.

Le nazioni coinvolte

Sin dalla tregua del luglio 1992 si sono susseguite una serie di trattative ed accordi volti a normalizzare la situazione in Transnistria. La complessità della questione transnistra è dovuta a svariate ragioni di tipo culturale, linguistico, geopolitico, geostrategico ed economico e sono molti gli attori ad avere forti interessi nell’area. In primis, ovviamente, Moldavia e Transnistria e, a seguire, la Federazione Russa, la quale manifesta la sua presenza all’interno della repubblica secessionista controllandone l’apparato militare, i rifornimenti energetici, le industrie e la politica. L’Unione Europea, dal canto suo, riconosce l’incontrovertibile necessità di una pacificazione tra le due parti volta intensificare il processo di allargamento ad Est, in particolare della Moldavia e, in secondo luogo, dell’Ucraina. Kiev pare essere il giocatore con la posizione forse meno chiara e più sfumata, incerta sulla posizione da prendere, restia ad assecondare appieno sia le velleità russe, sia un’inferenza forse indebita dell’Unione Europea, combattuta tra la linea ufficiale di Kiev e le volontà dei potentati di Odessa e del Sud del Pese.

Gli interessi russi

Terminato il conflitto e pacificata la zona di Bender, la Russia si è posta in principio come unico mediatore tra le due parti ( coadiuvata sin dal 1993 da Ucraina e CSCE/OSCE) ed unica forza di peacekeeping internazionale, più per far valere i propri interessi in Transnistria, che per trovare effettivamente una soluzione al problema. La Federazione Russa risulta infatti fortemente vincolata a Tiraspol per diverse ragioni:

1) Nel suo ruolo di peacekeeper ha attivamente aiutato i secessionisti transnistri nell’attacco alla città di Bender, fornendo armi, munizioni ed equipaggiamento a quasi 10.000 miliziani transnistri, servendosi dei depositi sovietici presenti in loco, giocando un ruolo fondamentale nel piegare e far retrocedere il neonato esercito moldavo. Ciò che resta dell’ex XIV armata è tuttora di stanza in Transnistria con circa 1.200 uomini, ed un totale di 42.000 tonnellate di munizioni nei depositi di Colbasna. Secondo la missione OSCE in Transnistria, solo il 39% delle munizioni era stato riportato in Russia alla vigilia del 2003; in seguito, vi è stato un progressivo rallentamento nel processo di trasporto e smaltimento delle munizioni da parte della Russia. Pertanto, si stima che circa 22.000 tonnellate di munizioni siano ancora presenti in loco.

2) La Transnistria può essere considerata una “leva” grazie alla quale Mosca esercita pressione su Chisinau. Una delle maggiori paure del Cremlino risulta infatti essere un avvicinamento sempre più marcato della Moldavia all’ Occidente. Non a caso, il processo di allargamento ad Est dell’Unione Europea (Eastern Partnership) mira a stringere legami sempre più forti con l’ex repubblica sovietica in tempi relativamente brevi, il che implicherebbe la perdita di un partner commerciale da parte russa, ma anche un’Unione Europea sempre più vicina all’ Ucraina. Tuttavia, il processo di integrazione non sembra essere la questione che più sta a cuore a Mosca: la Moldavia deve rimanere una nazione neutrale ed un possibile allargamento della NATO priverebbe la Russia di una posizione egemonica nell’area. Sebbene sembri improbabile che la Pridnestrovskajia Respublica possa trasformarsi in una seconda Kaliningrad, il Cremlino sembra tutto fuorché incline a vedere ridotta la presenza russa nell’area. I 1.200 soldati russi rappresentano infatti una tutela per Tiraspol ed un deterrente contro una possibile revanche militare moldava, ma legano indissolubilmente la politica delle élites transnistre al placet di Mosca.

3) Tiraspol e Mosca non risultano reciprocamente vincolate soltanto da un punto di vista politico- militare, ma anche, e soprattutto, da un punto di vista economico: la sudditanza transnistra nei confronti della Russia è tale da rendere impossibile una politica indipendente.

Sudditanza economica: Gazprom e gli oligarchi

La Russia si fa carico delle pensioni dei cittadini della repubblica secessionista, concede prestiti ad interessi bassissimi e sovvenziona le campagne elettorali dell’ ex-leader transnistro ( in carica dal 2 settembre del 1990 al 30 dicembre 2011), Igor Smirnov, suo protégé. I tre fattori economici più importanti tuttavia, sono legati alla “shadow economy” (l’economia sommersa), alla privatizzazione e all’approvvigionamento energetico. Più precisamente, una parte dell’élite russa ritiene che un territorio non riconosciuto e dipendente da Mosca possa essere un ottimo canale di sfogo per il riciclaggio di denaro o per traffici illeciti di qualsiasi tipo, dal contrabbando di carni bovine a quello di droga a quello d’armi. Infatti, la missione OSCE in Moldavia dichiara di poter dimostrare che l’assemblaggio di armi in Transnistria avviene per conto delle compagnia russa Rozobronexport, società statale russa che funge da intermediario tra la Federazione Russa ed i paesi compratori nel mercato degli armamenti.

Gli imprenditori russi hanno inoltre investito molto nella Pridnestrovskaija Respublica, diventando sovrani indiscussi nel settore energetico, tessile e dell’industria pesante. Agli albori dell’indipendenza infatti, a causa di una mancanza quasi totale di liquidità, il presidente Igor Smirnov ha dato il via ad una campagna di privatizzazione, a causa della quale ora circa l’ 80% delle industrie risultano essere di proprietà russa. Un esempio emblematico è legato all’ impianto di Rîbniţa, dove ha sede la MMZ (Молдавский металлургический завод o Moldova Steel Works,) la più grande industria del paese, il cui fatturato costituisce circa il 60% del budget statale transnistro, che è detenuta da Alisher Usmanov, un oligarca russo facente parte dell’ entourage di Putin.

L’ultimo elemento, di certo non meno importante, che deve essere preso in considerazione è il ruolo di Gazprom, il colosso energetico russo: la Russia rifornisce la Transnistria di gas senza richiedere in cambio un pagamento diretto. Gazprom infatti vende direttamente alle industrie in mano agli oligarchi russi, che “rigirano” il debito contratto allo stato; così facendo non sono obbligate a fornire un compenso immediato, ma aumentano il debito pubblico statale nei confronti di Gazprom, il che le rende più competitive nei mercati europei. Poiché la Transnistria non ha mai pagato alcuna fornitura di gas sin dal 1992, il debito statale nei confronti di Gazprom ammonta oggi a circa 3,8 miliardi di dollari (sebbene le stime siano contrastanti); considerando che nel 2007 le autorità di Tiraspol hanno dichiarato che il Prodotto Interno Lordo statale non superava gli 800 milioni di dollari, risulta chiaro che Gazprom (quindi indirettamente il Cremlino), potrebbe far crollare l’intera struttura economica, e dunque anche politica, transnistra. Pertanto, risulta palese il fatto che qualsiasi iniziativa presa “direttamente” dalle élites di Tiraspol nasconde invero la mano di Mosca, poiché una presa di posizione in disaccordo con il Cremlino sarebbe impossibile. Inoltre, il debito nei confronti del colosso russo sembra essere un ostacolo insormontabile nel processo di riunificazione: se tale processo dovesse avere atto, i quasi quattro miliardi di dollari da versare a Gazprom diventerebbero un onere di Chisinau, un peso al quale la Moldavia sarebbe impossibilitata a far fronte.

Segue: Proposte per risoluzione del conflitto, post-rivoluzioni colorate e conclusioni dell’autore

Proposte e piani per la risoluzione del conflitto

Dal cessate il fuoco, stabilito nel 1992, si sono susseguite sei differenti proposte volte a normalizzare la questione transnistra. Di queste nessuna, compresa quella russa, ha mai preso in considerazione l’idea di riconoscere la Repubblica Moldava di Transnistria quale entità indipendente fino alla rottura delle trattative nel 2006; in seguito, la minaccia del riconoscimento è stata usata dalla Federazione Russa come risposta alle dichiarazioni filo- europeiste della coalizione al governo in Moldavia e delle dichiarazioni pro- unificazione con la Romania da parte di gruppi nazionalisti all’interno della coalizione stessa. Un’escalation militare che porti al ripetersi di uno scenario abcaso e sud-osseto sembra tuttavia poco probabile.

Nel tentativo di pacificare la situazione, la Russia è stata affiancata nel suo ruolo di mediatrice da Ucraina e Osce (allora CSCE), già nel 1993; va sottolineato infatti l’iniziale volontà di Mosca di affidarsi, in un primo momento, all’OSCE nel tentativo di non esacerbare la situazione. La cooperazione russa con l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa sembrava, durante la prima metà degli anni novanta, un sincero tentativo di pacificazione nell’area. In seguito al lento declino del ruolo dell’ OSCE e alla sua progressiva sostituzione nel tavolo delle trattative da parte dell’ Unione Europea, la ricerca di un compromesso al conflitto moldavo-transnistro si sarebbe trasformata in una polarizzazione dicotomica tra Russia ed Unione Europea. In questo modo il format negoziale, detto 3+2, prevedeva tre mediatori più le due parti in causa (Moldavia e Transnistria). Nel 2005 Unione Europea e Stati Uniti si sono uniti al gruppo dei mediatori per cercare di riequilibrare i giochi di forza: non bisogna dimenticare infatti che l’ Ucraina risultava spesso incline ad assecondare le istanze russe e sia l’Ucraina che la Federazione Russa rivestivano il ruolo di attori singoli e, al tempo stesso, membri della Csce/Osce.

Il primo piano venne proposto nel 1993 dalla CSCE, conosciuto con il nome di “Report numero 13 della Missione della CSCE in Moldavia”: la Transnistria, la città di Bender (considerata entità separata da Tiraspol) e la Gagauzia avrebbero ottenuto uno status speciale all’interno di una Moldavia unita, ma con una forte de-centralizzazione regionale. Le altre clausole del piano prevedevano una rappresentanza proporzionale in parlamento, il ritiro delle truppe russe e la possibilità di recesso da parte della Transnistria in caso di unificazione con la Romania. Sebbene il progetto redatto dall’Osce non fosse stato accettato dalle parti in causa, aveva dato vita ad un dialogo costante e diretto nel quale Transnistria e Moldavia agivano come pari. Il problema di fondo è dovuto al fatto che Chisinau non è disposta a perdere la Transnistria né la propria sovranità e Tiraspol non sembra particolarmente interessata ad essere reintegrata nello stato moldavo in una posizione di inferiorità.

Il secondo piano, proposto dalla Federazione Russa nel 2003, risultava complessivamente differente dal precedente, volendo attribuire un potere eccessivo a Tiraspol. Il Memorandum Kozak infatti, prevedeva che Moldavia e Transnistria fossero due entità di pari livello all’ interno di una Federazione Moldavo-Transnistra con la Gagauzia come “soggetto della federazione”. Il fatto che le competenze governative fossero suddivise tra “statali/esclusive”, “federali” e “condivise” dava a Tiraspol un’autonomia residuale notevole ed una rappresentanza parlamentare sproporzionate rispetto alla popolazione, in grado di bloccare qualsiasi emendamento alla costituzione moldava che necessitasse di una maggioranza qualificata. Pertanto, una minoranza all’interno del parlamento avrebbe potuto causare un’impasse legislativa ogniqualvolta fosse stato necessario, oppure ogniqualvolta Mosca l’avesse richiesto. In ultimo, come clausola accessoria, la Federazione Russa si riservava il diritto di mantenere operativi 2000 uomini in territorio moldavo/transnistro fino al 2020 in qualità di garante dell’ attuazione del Memorandum durante il periodo di transizione. Poiché la costituzione moldava sanciva la neutralità e dello stato, l’allora presidente Voronin, su pressione dell’ Unione Europea, rifiutò il Piano Kozak.

I restanti quattro piani di risoluzione (Mediator Proposal, 2004, Yushchenko Plan, 2005, Moldovan Framework Law, 2005, e Moldovan Package Proposals, 2007), con modeste variazioni, riprendevano i contenuti del piano formulato dalla CSCE nel 1993. Più precisamente, soltanto il primo dei quattro prevedeva la possibilità di una Federazione, mentre i restanti tre parlavano di uno “statuto speciale” per la Transnistria, una sorta di regionalizzazione ispiratasi quasi perfettamente a quella della Crimea in Ucraina. Bisogna inoltre aggiungere che il piano proposto da Victor Yushchenko, allora presidente ucraino, auspicava un cambiamento nella missione di peacekeeping, ormai da più di dieci anni “monopolio” russo: a Mosca si sarebbe dovuto aggiungere un contingente internazionale, con tecnici ucraini, proposta simile al piano di internazionalizzazione delle missioni di pace in Ossezia del Sud ed Abcasia. Il tutto era volto a ridurre in parte il ruolo della Federazione Russa nel “Near Abroad”, ovvero nelle ex repubbliche sovietiche. Le cosiddette “Rivoluzioni Colorate”, ed in particolare la “Rivoluzione Arancione” in Ucraina, avevano spinto infatti il gruppo di stati conosciuto come “GUAM” (Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldavia ) a porsi in marcato contrasto con la politica del Cremlino; in questo frangente dunque, la politiche di Moldavia ed Ucraina si allineavano con quelle azere e georgiane, già distanti da Mosca, ed agivano assieme, appoggiate dall’Unione Europea, per ridurre il potere e l’influenza russa nell’area. Il Piano Yushchenko venne recepito sfavorevolmente da Tiraspol che, su pressione di Mosca, rifiutò la proposta.

Il cambio di rotta post- “rivoluzioni colorate”

Tra il 2005 e il 2006 i rapporti tra le parti in causa cambiarono radicalmente, in linea con la nuova presa di posizione ucraina e il ruolo sempre più preponderante dell’Unione Europea a discapito dell’Osce. Più precisamente, Ucraina e Moldavia aderirono ad un progetto della Commissione Europea, l’EUBAM (European Union Border Assistance Mission to Moldova and Ukraine), che prevedeva un monitoraggio costante delle frontiere moldavo-ucraine, volto a ridurre drasticamente il contrabbando nell’area. Interamente sovvenzionato dall’Unione Europea, l’EUBAM era in grado fornire una copertura adeguata lungo i 1.222 km di confine moldavo-ucraino, compresi i 476 km di frontiera transnistro-ucraina. Per tutelare le imprese transnistre che operavano legalmente, venne stabilito che soltanto i prodotti transnistri con bolli e regolare documentazione moldava potessero uscire dalla Repubblica di Pridnestrovia. Il che implicava una sorta di riconoscimento transnistro indiretto dell’ autorità di Chisinau. Tuttavia, tale risoluzione andava ad intaccare gli interessi di Tiraspol, dei signori locali e le lobby russe ed ucraine, che sfruttavano la permeabilità della frontiera transnistra per qualsivoglia forma di contrabbando.

Le conseguenze del drastico aumento dei controlli doganali furono due:

– Una parte delle aziende transnistre cedette alle pressioni, stabilendo la propria sede legale a Chisinau e continuando i propri commerci sotto la stretta vigilanza dell’ EUBAM.

– Le èlites di Tiraspol e la Federazione Russa denunciarono “l’inizio di un blocco economico totale ai danni della Transnistria da parte di Moldavia ed Ucraina”.

Conseguentemente alla scarsa cooperazione transnistra, gli incontri svoltisi all’inizio del 2006 non portarono a nessun risultato tangibile e il 27 febbraio 2006 la delegazione moldava abbandonò i negoziati. Per sancire la rottura in modo definitivo, il 17 settembre 2006 si tenne in Transnistria un referendum a due quesiti:

– Rinuncia all’indipendenza e riannessione alla Moldavia.

– Rinuncia all’indipendenza e conseguente annessione alla Federazione Russa.

La stragrande maggioranza dei cittadini transnistri si espresse in favore di un’unificazione con la Russia, ma, considerando che soltanto il 3.39% (contrari il 96.61 ) dei votanti si espresse favorevolmente al primo quesito, contro il 98.07% dei favorevoli al secondo, sorgono dei dubbi circa la validità del processo, poiché più di un terzo della popolazione in Transnistria è di etnia moldava. Sin dal 1993 inoltre, La CSCE/OSCE ha denunciato la presenza di brogli nella Pridnestovskaija Respublica: emblematiche le elezioni presidenziali del 2001, vinte da Smirnov con l’81.9% dei voti ed un picco inverosimilmente “bulgaro” del 103% nella regione di Kamenka, nel Nord del paese.

Soltanto la Russia ha riconosciuto l’esito del referendum del 2006, asserendo la totale assenza di brogli elettorali. Per contro, Moldavia (e l’ intero gruppo GUAM), l’ UE e l’ OSCE hanno sostenuto l’integrità della Repubblica Moldava e l’invalidità del referendum, asserendo la presenza di brogli, confermati dal Comitato di Helsinki per i Diritti Umani in Moldavia. L’inasprirsi dei rapporti moldavo-transnistri e, di conseguenza, russo- moldavi ha portato inoltre la Federazione Russa ad adottare una vera e propria lex talionis in risposta all’ EUBAM, decretando un embargo nei confronti dei vini moldavi destinati al mercato russo.

Conclusioni

Sebbene già a partire dal 18 settembre del 2006 il Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov abbia auspicato una ripresa dei negoziati tra Chisinau e Tiraspol, la Transnistria ha dimostrato uno scarso interesse nel cercare una soluzione di compromesso tra le due parti. Come conseguenza diretta della rottura dei rapporti tra il presidente moldavo Voronin e Smirnov, la forma negoziale del 5 + 2 è stata sospesa per ben 5 anni, prima di essere ripresa l’11 settembre del 2011 grazie al ruolo mediatore della Lituania durante la presidenza dell’OSCE. Si è verificato invece un incremento dei dialoghi diretti russo-moldavi e una proposta di riapertura delle trattative da parte Moldava nel 2007 (Piano Voronin). Le elezioni del 2009 hanno inoltre sancito la fine dell’era Voronin e la vittoria di una coalizione, l’Alleanza per l’Integrazione Europea. Il leader della nuova coalizione, Vlad Filat, guarda all’Unione Europea e non alla Russia come primo partner economico e politico. Il che potrebbe portare ad una scelta drastica: cercare di attuare le riforme necessarie per l’ingresso nell’UE “abbandonando” la Transnistria. Tale soluzione era già stata proposta dagli autori Nicu Popescu e Leonid Litra nell’articolo “Transnistria: a Bottom Up Solution”.

Considerando infatti che l’Unione Europea è il primo partner commerciale della Moldavia (54% degli scambi), l’Ucraina il secondo (15%) e la Russia soltanto il terzo (12%), un ipotetico riconoscimento dell’indipendenza transistra da parte moldava potrebbe portare vantaggi notevoli, o quantomeno evitare gli svantaggi conseguenti dalla riunificazione. Non va dimenticato che, sebbene ad est del Dnestr siano presenti fabbriche ed impianti industriali, questi appartengono quasi interamente ad oligarchi russi e la Transnistria risulta indissolubilmente legata alla Russia. Sebbene il 30 dicembre 2011 abbia segnato un cambio radicale nella storia della Repubblica di Pridnestrovia con le elezioni del nuovo presidente, Yevgeny Vasylovych Shevchuk, dopo un ventennio di presidenza Smirnov, il processo di riunificazione resta in una situazione di stallo simile a quella del 1992. Il cambio ai vertici nelle due repubbliche sembra aver favorito i “rapporti di buon vicinato”, ma non bisogna dimenticare le profonde divergenze e le problematiche ancora esistenti:

– Differenze culturali, etniche e linguistiche; una Moldavia filo-europeista ed una Transnistria filo-russa.

– Mancanza di una percezione del “problema” e scarso desiderio di una riunificazione da parte della popolazione.

– Sospensione a partire dal 2006 del format negoziale 5 + 2 per cinque anni (fino al settembre del 2011) nonostante il tentativo da parte tedesca di riapertura del tavolo delle trattative durante il meeting di Meseberg ( 4-5 giugno 2010 ) tra Angela Merkel e Dimitri Medvedev.

– Esistenza di un debito di 3,8 miliardi di dollari da parte transnistra nei confronti di Gazprom ; debito che la Moldavia sarebbe impossibilitata ad estinguere in caso riunificazione con la regione ad est del Dnestr.

Questi elementi nel loro complesso rendono impossibile stabilire quale possa essere il futuro di Moldavia e Transnistria; l’unica cosa certa è che il processo di riunificazione sembra essere, dopo vent’anni dalla fine del conflitto, paradossalmente ancora all’inizio del suo lungo percorso.

Marco Antollovich

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