Set 26, 2013
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Gli interessi statunitensi in Asia Centrale: storia recente e partnership NATO, L.Susic/5

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By Luca Susic

Capitolo 1.2.2 della tesi “Gli interessi statunitensi in Asia Centrale: storia recente e partnership NATO” (L.Susic)

1.2.2 Petrolio e Gas

Reputo necessario dedicare uno spazio ampio a queste due importanti riserve, che accomunano le tre repubbliche più ricche e che ne influenzano maggiormente non solo lo sviluppo, ma anche l’importanza a livello internazionale. E’ attorno agli idrocarburi che si sta sviluppando un confronto fra grandi Potenze che ricorda da vicino il cosiddetto Grande Gioco, ma da cui differisce per la presenza di tre contendenti che non si affrontano per un dominio territoriale ma per quello puramente energetico.

Di conseguenza, i singoli Stati dell’Asia Centrale si trovano a dover agire in un contesto politico sempre più orientato a controllare le loro risorse e ad impedire che queste finiscano nelle mani di potenze straniere impegnate nella stessa attività.

Dal punto di vista economico, il Kazakistan si pone al vertice della produzione locale di petrolio, con oltre 1.6 milioni di barili al giorno, classificandosi al diciottesimo posto nella graduatoria mondiale, mentre è in continua espansione nel settore del gas naturale, le cui riserve stimate dal governo locale sarebbero l’1,7% del totale disponibile al mondo. Mentre l’oro nero è destinato in buona percentuale all’esportazione, il gas rappresenta il tallone d’Achille del grande Stato centroasiatico, che si è posto come obiettivo di medio periodo quello di poter raggiungere l’autosufficienza energetica in questo campo.

Fino al 2008, infatti, il consumo interno superava la produzione, ma il problema dei rifornimenti persiste poiché le infrastrutture necessarie al trasporto del gas non sono sufficienti a collegare in maniera adeguata i centri di produzione con quelli di consumo. Inoltre il 75% della produzione viene re-iniettata nel suolo per favorire l’estrazione di petrolio.

Al secondo posto di questa classifica, troviamo il Turkmenistan che, nonostante la fame di idrocarburi, riesce ad avere un export in crescita per entrambe le materie di cui sopra, ma che deve risolvere una importante disputa con l’Azerbaijan per il controllo di importanti giacimenti nel Mar Caspio, senza i quali vedrebbe notevolmente ridursi le proprie scorte.

Il paese con le riserve minori è l’Uzbekistan, che non riesce ogni anno ad essere autosufficiente per quanto riguarda il petrolio, ma che è nelle prime venti posizioni al mondo per produzione e vendita di gas naturale. I diversi tassi di crescita ottenuti grazie alla ricchezza del sottosuolo sono anche imputabili alle diverse politiche intraprese dai Presidenti dei vari Stati, che hanno sempre esercitato il monopolio sul settore energetico.

Da un lato Niyazov, che si faceva chiamare Turkmenbashi (padre di tutti i Turkmeni), stabilì un rigido controllo sulle risorse, poiché riteneva di essere il “comandante e capo dei giacimenti di gas del [suo] paese”: egli, diffidando di tutte le compagnie straniere e cercando di ostacolare in qualsiasi modo la loro penetrazione autonoma nel paese, ha autorizzato solo joint ventures fra il Ministero del Petrolio e del Gas e società personalmente selezionate. Nonostante i prestiti concessi da vari enti, come la Japan Export-Import Bank, questa linea non è cambiata sino alla morte del leader, che ha lasciato il Paese con il minor tasso regionale di PIL derivante da attività private.

La situazione è leggermente cambiata a partire dal 2008 quando sono state prese delle misure atte a garantire maggiore trasparenza all’interno del settore estrattivo, apprezzate anche dai mercati esteri che hanno iniziato timidamente ad investire in Turkmenistan, seppur ostacolati dal potere centrale.

Simile è la storia dell’Uzbekistan, anch’esso saldamente in mano ad un leader che non ha mai voluto delegare la gestione degli idrocarburi, nonostante una legislazione teoricamente molto aperta al libero mercato. Islam Karimov ha sempre deciso in maniera discrezionale le sorti delle multinazionali che bussavano alla sue porte: “He made deals at will” ebbe modo di dichiarare un rappresentante della Agip intervistato da Luong e Weinthal.

Il suo comportamento, comunque, ha iniziato a cambiare agli inizi degli anni 2000, con una serie di iniziative volte a rendere meno arbitrario l’accesso alle collaborazioni e permettere un maggiore afflusso di capitali stranieri, essenziali per poter procedere a nuove esplorazioni e a modernizzare strutture altrimenti obsolete. Mentre ciò ha funzionato nel settore del gas che, escludendo il 2009-2010, è in costante crescita per produzione, export e attrazione di investimenti, le cose sono andate diversamente con il petrolio per il quale, a fronte di una richiesta interna costante, la produzione è a livelli inferiori a quelli del 1992.

Migliore è la situazione in Kazakistan, paese che ha saputo attrarre capitale straniero a partire dall’indipendenza, senza però rinunciare al proprio peso negoziale, difeso dalla compagnia di stato KazMunayGaz (KMG), colosso creato nel 2002 che possiede una serie di società controllate impegnate in tutte le fasi dello sfruttamento del sottosuolo, dalla ricerca di nuove riserve alla raffinazione. L’apertura verso l’esterno ha permesso di iniziare l’uso di bacini di recente scoperta, come quello di Tengiz, attualmente gestito dalla TengizChevrOil , che produce da solo 550.000 barili di petrolio al giorno (quasi due volte e mezzo l’output giornaliero del Turkmenistan). La realtà energetica di questo paese è particolarmente rilevante per l’Italia, che risulta essere il primo importatore di oro nero kazako, e rappresenta da sola il 25% del suo mercato estero.

L’elemento comune a tutte queste realtà è la difficoltà che esse incontrano ad esportare i propri idrocarburi, motivo per cui sono costrette a sfruttare pipelines straniere, di solito russe, come è evidente nelle due cartine realizzate dall’EIA (tabella gasdotti, tabella oleodotti; le cartine in questione possono essere facilmente trovate all’indirizzo web: http://www.eia.gov/countries/cab.cfm?fips=TX).

Dalla cartina degli oleodotti è facile notare come tutti i paesi sfruttino prevalentemente oleodotti russi, indispensabili per far arrivare il greggio in Europa. L’alternativa principale è rappresentata dal porto di Baku, utilizzabile come hub energetico da cui far arrivare i prodotti in Turchia. E’ al vaglio anche un sistema di trasporto diretto sotto le acque del Mar Caspio (linea rossa tratteggiata) per collegare direttamente Kazakistan e Azerbaijan.

Maggiormente in difficoltà resta comunque l’Uzbekistan, che può contare solamente su un tratto che collega il Turkmenistan con le linee controllate dal governo di Astana.

Per quanto riguarda il gas (figura gasdotti), invece, il percorso principale è quello del CAC (Central Asia Center Pipeline), che dall’Uzbekistan si dirige a nord verso Orsk, in Russia, e appartiene a Gazprom (compagnia di Stato del Cremlino), che sfrutta tale sistema per trasportare anche gran parte della produzione Kazaka.

Diversa è la situazione del Turkmenistan, che può vantare collegamenti diretti con Iran e Cina, che permettono allo Stato di diversificare maggiormente la propria esportazione. Al fine di aumentare la capacità di vendita, il governo di Ashgabat ha iniziato a progettare una condotta che dovrebbe arrivare sino in India seguendo due possibili varianti, entrambe passanti per Afghanistan e Pakistan. L’irrealizzabilità del piano è dovuta alla scarsa stabilità politica che i due paesi hanno al momento.

Luca Susic

Seguirà 1.2.3 L’Uranio

Il post precedente è al link Gli interessi statunitensi in Asia Centrale: storia recente e partnership NATO, L.Susic/4

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