Lug 18, 2013
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Il Check Point Pasta 20 anni fa. Mogli, fidanzate, comitati volontari e bandierine italiane

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By Denise Serangelo – Articoli Staff AMD

Si sono spese tutte le parole possibili in vent’anni per descrivere la missione italiana in Somalia, molte delle quali non rendono onore all’operato dei nostri ragazzi.

Il 2 luglio 1993 un tragico evento spegne la vita a tre soldati del contingente italiano impegnato nella missione Ibis, al cui comando si trovava il generale paracadutista Bruno Loi: Andrea Millevoi, sottotenente del reggimento Lancieri di Montebello, Medaglia d’oro al valor militare (MOVM) alla memoria; Stefano Paolocchi, sergente maggiore del 9º reggimento d’assalto paracadutisti Col Moschin, Medaglia d’oro al valor militare (MOVM) alla memoria, e Pasquale Baccaro, caporale di leva al 186º reggimento paracadutisti Folgore, Medaglia d’oro al valor militare (MOVM) alla memoria.

L’attentato lascia paralizzato l’allora sottotenente Gianfranco Paglia, paracadutista, che durante l’azione fu colpito da tre pallottole mentre cercava di portare in salvo l’equipaggio di uno dei blindati immobilizzati. Gli è stata conferita la Medaglia d’oro al valor militare per l’azione compiuta. Pur avendo perso l’uso delle gambe, è rimasto in servizio.

Vengono insigniti della medaglia d’oro al valor militare anche il sergente maggiore paracadutista Francesco Trivani; il caporale Ottavio Bratta e il sergente incursore Giancarlo Cataldo Tricasi, successivamente decorato nel 1995 con l’onorificenza d’ordine al merito della Repubblica Italiana. Nello stesso attentato rimangono feriti altri 36 militari italiani.

Durante lo svolgimento dell’ Operazione Canguro 11, decisa dal Comando ITALFOR, le forze italiane divise in due colonne meccanizzate effettuarono un rastrellamento volto a ripulire l’area intorno all’ex Pastificio della Barilla, nelle vicinanze di Mogadiscio Nord, dalle armi che sarebbero potute arrivare in mano ai rivoltosi somali che ostacolavano il nostro operato e quello delle organizzazioni non governative.

I soldati di Italpar diretti verso il check point Pasta, dove si era costituita una postazione presidiata, subirono il primo vero attacco di massa da quando la missione era cominciata.

Nessuno se lo aspettava, gli italiani per i somali erano, e forse rimangono, nello stereotipo collettivo “italiani brava gente”.

Durante lo svolgimento dell’operazione, in pochi istanti concitati, i nostri ragazzi vedono crearsi e avanzare davanti a loro un muro umano composto da donne,anziani e persino bambini.

Vengono accerchiati e si scatena l’impensabile, da questa barricata vengono lanciati sassi e si levano distintamente le urla, che di accogliente hanno ben poco e le ingiurie, qualcuna scandita persino in un buon italiano.

I soldati non reagiscono, rimangono attoniti ma pensano che tutto come le altre volte si svolgerà per il meglio.

Il pericolo è però subdolo, preciso e silenzioso rimane invisibile ma perfettamente udibile.

Rumore di spari, forti e chiari, arrivano come una doccia fredda addosso ai ragazzi intenti nel rastrellamento.

Tutti dopo i primi colpi ad altezza d’uomo concordano che si tratta di un vero e proprio attacco al nostro contingente.

Dietro quei volti ammassati e scalpitanti di donne, anziani e bambini si fanno scudo uomini armati, uomini senza remora che sparano per uccidere e per ben tre volte ci riescono facendo breccia tra le fila italiane.

Le pallottole cominciano a fioccare e i militari tardano a rispondere al fuoco a causa dello scudo umano di innocenti.

Tutto diventa più complicato se non si può sparare, si rischia di colpire chi non ha colpa, e questo i ribelli, quando hanno mandato avanti donne e bambini, lo sapevano bene.

Si passa così ai tiri di precisione, si spara solo quando si è certi di colpire un nemico potenzialmente offensivo per la sicurezza del contingente, tutto è calibrato con la massima attenzione. Un piccolo gesto mal ponderato potrebbe far sfociare la situazione già grave in qualcosa di irrimediabile. In ballo, oltre alla vita dei nostri militari, ci sono quattro mesi di missione che hanno portato a risultati sorprendenti, tutto rischia di cadere come un castello di carta.

Quel 2 luglio c’erano soldati professionisti, come i carabinieri paracadutisti del Tuscania, o come gli incursori paracadutisti del Col Moschin.

Ma c’erano anche tanti soldati di leva, come i paracadutisti del 186° reggimento e quelli del 5° reggimento Lancieri di Montebello.

E tutti loro, professionisti e soldati di leva, reagirono con compostezza, dominarono la paura, agirono da soldati nel senso più alto del termine.

Si è rimesso in discussione tutto dal tragico 2 luglio, si è messa in forse l’onestà di tutto il nostro contingente che per la popolazione somala ha fatto persino più di quanto era stato deciso dagli organi di comando.

Mogli e fidanzate del nostro personale si sono riunite in comitati volontari per poter far partire carichi di beni di prima necessità per quella popolazione martoriata da fame e guerra civile, si sono aperti i nostri ospedali e il nostro personale medico ha fatto turni estenuanti per dare assistenza a tutti coloro che, presentandosi con una semplice bandierina italiana tra le mani, chiedevano aiuto per sè e per i propri cari.

L’Italia intera supportava i nostri soldati impiegati in Somalia, loro rappresentavano la nostra mano tesa a una popolazione in difficoltà.

In quei giorni di luglio, dopo l’attacco, mai quella mano fu ritratta, rimase sempre ben tesa, non ci siamo arresi (anche se avremmo voluto farlo) e abbiamo fatto la differenza per tante famiglie, per tanti bambini, donne e anziani che con la disperazione degli occhi tendevano le mani verso di noi in cerca di aiuto.

Oggi, tutti noi dell’Associazione L’Altra Metà della Divisa, desideriamo tendere la nostra di mano a chi quel giorno ha visto cambiare la vita della sua famiglia, vogliamo rimanere vicino ai parenti delle vittime e dei ragazzi rimasti feriti.

Vogliamo porgere i nostri più sentiti ringraziamenti a chi, con coraggio e determinazione, indossa ogni giorno la divisa, la stessa che ha cambiato per sempre il suo futuro.

Desideriamo che il loro ricordo non venga offuscato da nessun giudizio e che rimanga limpida la loro voglia di fare tanto e di farlo bene per tutte quelle persone che aspettavano solo che qualcuno tendesse loro una mano.

Alle loro famiglie va il nostro più caloroso abbraccio e la nostra stima più sincera.

Articolo pubblicato dall’Altra metà della Divisa il 2 luglio 2013 con il titolo “In ricordo del Check Point Pasta 20 anni dopo di Denise Serangelo”

Foto: il check point Pasta dall’alto è di eafairsoft.com

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