Ogni domenica mattina il quartier generale della missione a guida NATO ISAF, a Kabul, capitale dell’Afghanistan, commemora tutti i caduti della settimana, “che siano appartenuti a una delle 50 nazioni della Coalizione o siano stati figli dell’Afghanistan”, ci spiega il comunicato stampa che arriva dal tenente colonnello Stefano Sbaccanti, portavoce del capo di stato maggiore di ISAF, generale Giorgio Battisti.
Pubblichiamo qui integralmente il comunicato ricevuto, dal titolo Il nome del Capitano:
La morte di un collega ci segna dentro. Noi tutti siamo consapevoli dei rischi e avendo scelto questa vita abbiamo messo in preventivo il sacrificio per valori come lealtà, senso delle istituzioni, cameratismo, onore, fedeltà alla Patria. Nonostante ciò, quando uno di noi cade lascia un vuoto tangibile. A prescindere dalla nazionalità.
E’ per queste ragioni che ogni domenica mattina al Comando della missione Isaf si tiene una cerimonia di commemorazione per tutti i caduti della settimana, che siano appartenuti a una delle 50 nazioni della Coalizione o siano stati figli dell’Afghanistan, tutti comunque accomunati dal destino di aver dato la vita affinché questo martoriato Paese possa avere un futuro migliore.
Al memorial service di stamattina noi italiani avevamo un motivo in più: salutare e onorare il Capitano dei Bersaglieri Giuseppe La Rosa, caduto a Farah nell’adempimento del dovere. Il momento è stato molto sentito e la cornamusa suonata da un soldato del contingente inglese ha aggiunto una nota musicale alle parole di cordoglio pronunciate dal cappellano americano Jesse Staunton, cui spetta il compito di officiare questa triste cerimonia domenicale.
A turno, i nomi dei caduti vengono scanditi da un rappresentante nazionale. Pronunciare quello di Giuseppe è spettato al Colonnello dei Bersaglieri Cosimo Orlando. Il Tricolore sullo sfondo ad abbracciare idealmente tutti i presenti.
Benché sia successo solo ieri, sulla morte di Giuseppe sono stati scritti tanti articoli e pronunciate tante parole. Ci piace ricordare quelle di Toni Capuozzo, grande giornalista, dotato di una straordinaria chiarezza e umanità, con cui sa andare al cuore delle cose.
“Fa male veder morire così un giovane uomo in divisa, a Farah. Della sua umanità, si capisce leggendo i commenti dei suoi amici, anche qui su FB. Delle sue scelte, basta conoscere tanti come lui, spesso dimenticati da un paese ingrato, e così miope da cercare spiegazione nei soldi della trasferta, perché non sa più bene cosa siano i valori.”
Ha ragione Toni, fa male …
Aggiungiamo il nostro cordoglio e la nostra convinzione che i soldati, oggi, non siano tanto vittime di un disorientamento di valori sic et simpliciter, ma siano piuttosto afflitti da una flessione nella consapevolezza degli stessi determinata dalla sfiducia nelle istituzioni, che hanno dato prova – soprattutto nell’ultimo anno e mezzo con la vicenda dei marò in India, ma anche con il decrescente investimento sul personale – di non saper supportare i propri militari e di non saperli adeguatamente tutelare nel loro lavoro e nella loro persona, quando dispiegati e quando in patria.
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Ogni domenica mattina il quartier generale della missione a guida NATO ISAF, a Kabul, capitale dell’Afghanistan, commemora tutti i caduti della settimana, “che siano appartenuti a una delle 50 nazioni della Coalizione o siano stati figli dell’Afghanistan”, ci spiega il comunicato stampa che arriva dal tenente colonnello Stefano Sbaccanti, portavoce del capo di stato maggiore di ISAF, generale Giorgio Battisti.
Pubblichiamo qui integralmente il comunicato ricevuto, dal titolo Il nome del Capitano:
Aggiungiamo il nostro cordoglio e la nostra convinzione che i soldati, oggi, non siano tanto vittime di un disorientamento di valori sic et simpliciter, ma siano piuttosto afflitti da una flessione nella consapevolezza degli stessi determinata dalla sfiducia nelle istituzioni, che hanno dato prova – soprattutto nell’ultimo anno e mezzo con la vicenda dei marò in India, ma anche con il decrescente investimento sul personale – di non saper supportare i propri militari e di non saperli adeguatamente tutelare nel loro lavoro e nella loro persona, quando dispiegati e quando in patria.
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Fonte: ufficio del capo di stato maggiore di ISAF
Foto: ufficio del capo di stato maggiore di ISAF