By L’Anacoreta
Con grande sorpresa e sommo stupore del nostro serafico e un po’ naif Premier, il Ministro degli Esteri qualche giorno fa si è dimesso. Non era d’accordo con la decisione di rinviare in India i due marò!!!
Beh signor ambasciatore ed ex ministro della repubblica, mi sembra un po’ tardi per una decisione di questo genere, anzi, mi sembra la solita moda italiana di fare il danno e poi di tirarsi indietro, lasciando che qualche altro risolva il problema e si addossi la responsabilità.
Magari andava gestita un po’ meglio sin dall’inizio la penosa storia dei due militari italiani consegnati a un paese straniero in barba a qualsiasi considerazione di tutela dell’immagine e degli interessi nazionali (che sono anche quelli di garantire che lo stesso stato, che ti ha ordinato di salire su quella nave per proteggere gli interessi privati dell’armatore, sia poi quello che giudichi le tue azioni nel bene e nel male).
Magari ci potevano anche stare delle dimissioni, ma quelle del Ministro della Difesa, e al momento iniziale della vergognosa abiura delle prerogative nazionali sul diritto di giudicare dei propri militari a cui era stato ordinato di svolgere un compito proprio dal nostro Ministero della Difesa!
Ma invece no! Il ministro della difesa non si è dimesso né allora né adesso.
Il riferimento, da questi fatto durante il suo intervento alle camere, all’ammiraglio Bergamini e alla sfortunata fine della corazzata Roma non poteva essere più calzante.
Infatti la vicenda della nostra nave da battaglia, affondata insieme ad altre navi al largo delle coste della Sardegna all’indomani dell’armistizio durante la seconda guerra mondiale, è sintomatico del nostro modo di agire quando c’è una situazione di crisi.
La sorte delle nostre unità, anche in quella occasione, è stato il frutto del solito insieme e miscuglio di italiche caratteristiche: ordini, contrordini, disposizioni poco chiare e contraddittorie, mancanza di assunzione di responsabilità, scarsa iniziativa nell’affrontare la situazione in atto, non rispetto e non condivisione delle regole. Allora c’era il grande alibi “della tragedia dell’otto settembre” che è servito come un efficace paravento, utilissimo a mascherare i difetti e le mancanze croniche di un’intera classe dirigente militare soprattutto, e politica; ma adesso?
Adesso l’attuale classe dirigente militare e politica dietro cosa può nascondersi per mascherare la sua incapacità e la sua inettitudine nell’aver gestito in questa maniera indegna la vicenda?
Come privato cittadino che legge i giornali e che si affida alla informazione proposta dal sistema mediatico (il nuovo Presidente del Senato ha recentemente indicato la pubblica informazione come uno dei garanti della libertà e correttezza democratica nel nostro paese – quindi non posso dubitare di quello che viene detto) mi interrogo per comprendere cosa potrebbe aver giustificato questa volta il comportamento della nostra classe dirigente.
La sindrome da “tragedia dell’otto settembre” mi sembra non reggere più (la nostra è una repubblica nata sulla resistenza che ha cancellato ed eliminato ogni rigurgito di mussoliniana e di regia memoria) e quindi devo pensare a qualche cosa d’altro.
Forse potrebbe essere la ragione economica, legata ad alcuni contratti di forniture di materiale e assistenza tecnica, non solo legato ai famosi elicotteri dell’Agusta, per cui, oltre all’imbarazzo sulle tangenti, un comportamento deciso del nostro paese sulle questione marò avrebbero reso le commesse e la collaborazione traballanti con il conseguente rischio di cancellazione degli accordi? Senza pensare alla pletora di ingegneri indiani presenti, a nostre spese, come consulenti presso le nostre aziende che non avremmo saputo dove mettere!!!!
O forse potrebbe essere la necessità di non alzare un polverone prendendo posizioni scomode che potrebbero pregiudicare un futuro incarico o posizione di prestigio di alcuni dei nostri rappresentanti politici in una prospettiva futura? Sai tu, questo governo tecnico è nato con un termine a scadenza, ma poi ne deve essere fatto un altro, quello politico, e poi fatto il governo inizia il valzer (dire meglio il can-can) delle poltrone delle aziende e degli enti pubblici.
Magari anche è stato il fatto che coinvolti nella faccenda vi erano due militari, che non essendo né operatori di pace né tutori dell’informazione libera, e quindi servitori di seconda categoria di uno stato ingrato, non hanno destato nessun interesse nella coscienza catto-comunista imperversante nel nostro paese. Quella coscienza che con fiaccolate, girotondi e pressioni politiche ha imposto azioni decise, per risolvere subito e immediatamente delicati casi analoghi del passato (mi riferisco alla vicenda delle due operatrici di pace sequestrate e della signora Sgrena, tanto per citarne alcuni).
Ma sicuramente non è nulla di tutto ciò. La causa di tutto è stata proprio la dilettantistica opera di tecnici che si sono improvvisati statisti senza averne né le capacità né la stoffa, cosa che ha determinato questo ennesimo pasticcio tutto italico.
Della nostra vicenda a livello internazionale non importa niente a nessuno, ma il risultato si riflette ancora una volta sulla nostra credibilità a poter interpretare con serietà e con affidabilità non solo qualsiasi ruolo in un consesso internazionale, ma anche a rappresentare una garanzia e una forma di tutela per gli stessi cittadini al servizio dello stato.
Il riflesso sulla nostra posizione in un contesto internazionale deriva dalla considerazione che, se non siamo capaci di tutelare i diritti dei rappresentanti del nostro stato all’estero, come possiamo essere credibili se dovessimo tutelare gli interessi di una coalizione o di un consesso di altri stati?
Concludo che, come cittadino comune, la mia impressione è che non ci sia stato un atteggiamento deciso e inequivocabile da parte non solo del nostro governo ma, soprattutto, da parte dei vertici militari.
Questi infatti, a parte una timida, e anche qui molto molto tardiva, affermazione del capo di stato maggiore della Difesa che ha parlato di “farsa”, hanno al solito seguito un profilo mediatico non basso ma inesistente, non prendendo alcuna posizione ufficiale. Magari il compito del rappresentante delle nostre forze armate è anche quello di prendere posizione e far sentire la propria voce, soprattutto quando si è in disaccordo su quello che viene adottato sulla pelle del personale che a lui è affidato e da lui dovrebbe essere tutelato. Esprimere il proprio disappunto e difendere il proprio personale per garantirne i diritti è anche questo un modo di servire quello stato che si è giurato di difendere!
L’Anacoreta
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