By Vincenzo Ciaraffa
Una cosa di me che sicuramente non sanno i lettori è che durante l’adolescenza – seppure per brevissimo tempo – sono stato fraticello presso il collegio dei frati minori del santuario di Sant’Antonio in Afragola, nel Napoletano. Di quel periodo ricordo l’improba fatica di un anziano e dotto frate francescano, Padre Gian Giuseppe, che tentava di insegnarci la storia con risultati non sempre all’altezza delle sue fatiche. Disperato ma indomito, il buon frate non faceva altro che ricordarci che la storia è maestra di vita e che soltanto conoscendola potevamo evitare almeno gli errori già commessi in passato e, poi, battendo leggermente la mano sulla testa del fraticello a lui più vicino soggiungeva: «Però l’avite imparà, cap’ e’ chiumm!».
Già, noi italiani siamo teste di piombo… a voler essere francescani. Le vicende del nostro Paese negli ultimi vent’anni stanno dimostrando quanto avesse ragione Padre Gian Giuseppe sul fatto che noi la storia non la studiamo. Eh sì, perché se l’avessimo fatto, avremmo scansato le malattie che hanno condotto al coma la nostra democrazia. E non è detto che il tutto non finisca con un brutto funerale della comatosa, ma veniamo alla storia.
Nel 1946, il referendum istituzionale rivelò che almeno la metà degli italiani era moderata perché aveva votato per la conservazione della monarchia che, infatti, fu sconfitta dalla scelta repubblicana di strettissima misura.
Vennero, poi, le tremende elezioni politiche del 1948 e il combattivo Fronte Popolare (l’alleanza dei comunisti con i socialisti), ma il tentativo d’arrembaggio marxista al potere fu sventato nelle urne dagli elettori moderati. Da quel momento il Partito Comunista Italiano, il più forte dell’Europa occidentale, non ebbe mai più capacità/possibilità di andare al potere perché sempre battuto alle urne da quei moderati che si riconoscevano nella Democrazia Cristiana, nel Socialismo Democratico, nei Repubblicani, nel Partito Liberale e perfino nel Movimento Sociale. Questo almeno fino a “Mani pulite”, quel ciclone mediatico-giudiziario che azzerò la prima repubblica (che, beninteso, era marcia) e, dopo mezzo secolo, spianò la strada del potere ai postcomunisti.
Almeno così la pensava l’allora segretario dei progressisti, Achille Occhetto, che si disse certo di poter vincere le elezioni del 1994 grazie alla «gioiosa macchina da guerra» che aveva messo insieme: sembrava – come ironizzò il suo compagno di partito D’Alema – Napoleone alla battaglia della Beresina! Quel proclama non portò fortuna a Occhetto perché chiamati a raccolta da uno sconosciuto outsider di nome Berlusconi, i moderati con il loro voto, ancora una volta, tennero gli eredi del PCI fuori dalle stanze del potere. A quel punto sarebbe stato saggio e opportuno incominciare a costruire una condivisa democrazia dell’alternanza, che fosse seriamente maggioritaria, partendo dalle imprescindibili modifiche della Costituzione.
E, invece, ritenendo che tutti gli elettori moderati fossero dei sottosviluppati culturali da rieducare alla democrazia e il loro leader da spedire per forza nelle patrie galere, i progressisti non pensarono ad altro che a delegittimare Berlusconi (che in verità i guai se le andava anche a cercare…) invece di proporre un chiaro programma politico e di sviluppo agli italiani. Come dire che, in modo sobrio, i progressisti in questi anni hanno fatto con il capo dei moderati del Centrodestra, né più, né meno, che quello che sta facendo ora Grillo con loro.
Ciononostante, per vent’anni – salvo le due brevi parentesi Prodi – a ogni contesa politica è intervenuta l’anima moderata degli italiani a sbarrare il passo alla Sinistra, ammesso che questo termine oggi abbia ancora un senso. Ebbene, lungi dal tentare di conquistare consenso anche in area moderata – come intendeva fare Matteo Renzi – i progressisti si sono consumati a demonizzare l’avversario politico senza, peraltro, riuscirvi.
Era ovvio che a furia di delegittimare (in patria e all’estero) il capo del governo in carica, i suoi ministri e i suoi funzionari si finisse col delegittimare anche il “sistema Italia” che – per alcune tare ereditarie – già non aveva buona salute: è stato per quella “porta” che Beppe Grillo ha fatto irruzione sulla scena politica!
Poi è scoppiata la crisi economica e finanziaria planetaria per risolvere la quale il Presidente della Repubblica, debordando dalle sue facoltà, ha nominato un signor nessuno, e da nessuno eletto, prima senatore a vita e poi capo del governo, invece di mandarci a votare.
A tutto questo si sono aggiunti scandali di ogni tipo e natura, ruberie di pubblico denaro nei modi più inimmaginabili e fantasiosi, inconcepibili privilegi della classe politica, una pressione fiscale che rasenta la schiavitù economica per cittadini e imprese.
Ebbene, lungi dall’aver capito che il grillismo è la giusta pretesa (sebbene proposta per la via sbagliata) di quei cittadini che vogliono essere il centro del progetto politico che li riguarda, Bersani ha continuato a muoversi, a parlare e agire come un fosse un segretario di sezione comunista degli anni Settanta del secolo scorso.
Berlusconi, da parte sua invece, ha continuato a contrarre “patti con gli italiani” (ne avesse mai rispettato uno!) come se fossimo stati al tempo della sua discesa in campo, e il duo Casini-Fini si è messo in società con Monti convinto – chissà perché – che gli italiani avrebbero premiato col voto chi nel giro di quindici mesi li ha quasi ridotti alla fame. Casini e Fini cancellati, forse.
Anche gli aficionados delle manette e della dittatura dell’avviso di garanzia, come Di Pietro e Ingroia, non si erano accorti che, almeno dieci milioni d’italiani, non amano i magistrati perché tanti sono i procedimenti penali giacenti nei tribunali italiani, riguardanti cittadini che attendono giustizia da anni e che, invece, vedono tempo, risorse e magistrati impegnati a scoprire quanti escort si è portato a letto il Cavaliere.
Questi magistrati, peraltro, sono stati i più grandi procacciatori di consensi di Silvio Berlusconi: tanti avvisi di garanzia, tanti processi, nessuna condanna uguale tanti voti in più al Cavaliere con l’aureola di martire, di perseguitato. Di Pietro e Ingroia cancellati, forse.
Poi sono intervenute le elezioni del 24 – 25 febbraio che, come avevamo previsto, ci hanno consegnato un Paese ancora più ingovernabile che prima, perché, se la multiforme anima progressista e quella moderata sono riuscite a neutralizzarsi a vicenda, il movimento di Grillo ha potuto incettare il 25,55% dei voti per la Camera e il 23,79% per il Senato.
Sicché adesso siamo all’immobilismo totale perché il principe del «Vaffanculo» elevato a programma di governo ha detto che non ci sta né con Bersani, né con Berlusconi.
Facciamo un piccolo passo indietro. I lettori di una certa età ricorderanno che prima del 1989, in prossimità delle elezioni politiche, i leader dei vari partiti politici si recavano a Washington per ottenere la benedizione dall’esecutivo statunitense, mentre – segno dei nuovi tempi! – prima delle ultime elezioni politiche Monti e Bersani si sono recati a Berlino alla corte di quella culona (la definizione è di Berlusconi, non mia…) della Merkel che per salvare l’economia di un’Europa marciante col passo dell’oca è disposta a sacrificare tutto, anche il culo …. quello degli italiani, però.
Anche Napolitano ha fatto una capatina alla corte di Frau Merkel, ma evidentemente il troppo è troppo anche in Germania. Stufo di questa processione che rinforza l’immagine politica della “culona” in patria e all’estero, il suo avversario politico alle prossime elezioni, Peer Steinbrueck, si è messo di traverso offendendo gli italiani che hanno votato Berlusconi e Grillo per interrompere, in qualche maniera, l’indecorosa processione e per far capire agli italiani che essi stanno morendo di tasse e di spending review soltanto per costruire il successo politico della Merkel alle prossime elezioni in Germania.
Quale che sarà la soluzione che Napolitano tirerà fuori dal cilindro per conferire l’incarico di premier, il prossimo governo non potrà prescindere dal centrodestra, se non altro per fare la riforma elettorale e trovare un po’ di soldi per far ripartire l’economia. Dopo di che bisognerà ritornare alle urne in modo da decidere (noi, non lo spread o la Merkel) da chi essere governati in un clima che non sia di emergenza o, peggio, di redde rationem. E non bisogna avere paura più di tanto del rivoluzionario Grillo perché la storia, che tanto amava Padre Gian Giuseppe, dovrebbe aiutarci a ricordare che quelli che potremmo ritenere i primi grillini, nel 1946, crearono il movimento/partito de “L’uomo qualunque”.
Ebbene, essi durarono due anni e poi furono cancellati dalla scena politica italiana come, credo, prima o poi succederà anche a quegli altri grillini in casacca verde. Cerchiamo di convincerci che, dopo la brutta parentesi del ventennio fascista, in Italia i moderati (di entrambi gli schieramenti principali) saranno sempre la maggioranza del Paese anche perché – come sosteneva Indro Montanelli – gli italiani sono disposti a fare la rivoluzione soltanto col permesso della Questura.
Avete capito, tremuli, incapaci «cap’ e’ chiumm» di destra e di sinistra che – dopo esservi dati botte da orbi per vent’anni – ora vi guardate stralunati senza sapere che pesci pigliare per fronteggiare il ciclone Grillo? E se provaste a fare l’unica cosa che Grillo non vuole fare (e non sa fare), cioè a governare?
Vincenzo Ciaraffa
Foto: Le ali di Ermes