By Vincenzo Ciaraffa
Sulle nostre missioni di pace all’estero chi scrive ha appalesato, negli ultimi tempi, più di qualche perplessità e non perché fosse contrario a esse tout court, ma soltanto perché le nostre Forze Armate non se lo possono permettere, perché il nostro bilancio statale non lo consente, perché esse non sono supportate da un’adeguata politica estera, in uno scenario mondiale radicalmente cambiato e in vertiginosa evoluzione rispetto ad appena un decennio fa.
Un esempio di tal evoluzione è che, mentre l’Occidente annaspa in una crisi economica e industriale senza precedenti perché ha ormai saturato i propri mercati interni e trasformato l’economia in finanza, l’India, il Sudest Asiatico e la Cina procedono con un PIL stupefacente e che, nel caso della Cina, è costantemente a due cifre da alcuni anni.
Ciò consentirà a questi Paesi (dove non esistono i movimenti pacifisti …) di liberare enormi risorse per gli armamenti nei prossimi anni e, nel giro di un decennio, la Cina potrebbe diventare la maggiore potenza economica e militare del pianeta. Questa è l’evenienza che più spaventa l’amministrazione statunitense, tant’è che il Nobel per la pace Barack Obama ha chiuso un occhio sul fatto che il 13% del PIL americano sia costituito da commesse militari.
La Cina, che non ha mai fatto professione di pacifismo, ha risposto incrementando il budget per la difesa dell’11,2% e mettendo in linea la Liaoning, la prima portaerei d’attacco della sua flotta. Insomma, due parti del mondo con interessi politici, economici e militari contrastanti stanno stivando polvere da sparo nei propri arsenali e che potrebbe deflagrare alla prima scintilla. Purtroppo, la nostra minimalista politica estera (ma l’Italia l’ha ancora una politica estera autonoma?) non tiene in nessun conto questi mutati e mutevoli scenari giacché continua a operare come se fossimo ancora negli anni ’70, quando in punta di piedi ci muovevamo sul teatro della politica internazionale a traino degli USA e sotto il loro rassicurante ombrello protettivo militare: una follia di questi tempi!
Follia perché, stante i citati presupposti, dovremmo attrezzarci a fare da noi dal momento che gli americani non hanno più interesse strategico per l’Europa che, anzi, vedono come un competitore economico. Tra uno scandalo e l’altro, tra una ruberia e l’altra, forse la nostra classe politica avrebbe dovuto trovare anche il tempo per capire che con la caduta del muro di Berlino, l’implosione dell’URSS e lo scioglimento del Patto di Varsavia, l’Italia avrebbe perso il ruolo di perno della difesa del Sud Europa diventando, così, insignificante per gli interessi strategici americani che, ormai, si difendono in Asia, in Medio Oriente e nel Golfo Persico.
E, invece, il nostro Paese si è cullato nell’illusione di aver sostituito l’ombrello protettivo americano con quello dell’Unione Europea che, però, non è mai diventata una costruzione politica e militare monolitica, come dire con una sola politica estera e di difesa, senza contare i paradossi economici e finanziari di cui è espressione.
La riprova di ciò l’abbiamo avuta all’ONU proprio alcune settimane fa, in occasione del voto per l’ammissione della Palestina quale Stato osservatore delle Nazioni Unite: tra i sì, i no e gli astenuti, l’Unione Europea si è comportata né più, né meno come si comportava l’Europa negli anni ’30, al tempo della Società delle Nazioni, e cioè all’insegna di Ognuno per sé! Monti, poi, per spiegare il voto italiano favorevole ai palestinesi ha chiarito che “Non implica nessun allontanamento dalla forte e tradizionale amicizia con Israele”. Fantastico! E’ stato come dire “Ti amo” a una moglie che abbiamo appena malmenato!
Temiamo, invece, che il voto dell’ONU, lungi dal facilitarlo, aggraverà il già cruento rapporto tra palestinesi e israeliani con conseguenze sullo scacchiere mondiale difficilmente prevedibili, stante che ad armare i palestinesi e la Siria c’è l’Iran di quella mammoletta di Ahmadinejad, secondo il quale lo Stato d’Israele andrebbe cancellato dalla faccia della terra.
E, purtroppo, il voto dell’ONU (al quale Israele ha risposto riprendendo la politica dell’insediamento nei territori occupati) ha legittimato la violenza, premiando in un certo senso l’iniziativa dei palestinesi che per richiamare l’attenzione del mondo sulla loro causa, in pochi giorni hanno lanciato circa ventimila razzi su Israele che, a sua volta, ha reagito con la solita, prevedibile durezza. Che cosa succederà quando la Palestina vorrà creare un’aura internazionale favorevole per ottenere lo status di membro permanente dell’ONU?
Sul “dopo”, e alquanto disincantati, ci interrogammo anche sugli sviluppi della cosiddetta Primavera Araba libica mentre tutto il mondo vi plaudiva acriticamente e, anche in quel caso, auspicammo che il nostro Paese ne rimanesse fuori, cosa che purtroppo non fece, dilapidando, così, altre risorse preziose insensatamente. Sì, perché, poi, le commesse e il petrolio libico a buon mercato sono andati ai francesi, inglesi e americani.
Passati gli entusiasmi, abbiamo dovuto prendere inevitabilmente atto che quella primavera non è riuscita a diventare estate e che il vecchio autoritarismo è stato sostituito da un altro ancora peggiore perché tendente all’instaurazione della teocrazia, come in Egitto, dove la Sharia sarà introdotta nella Costituzione se il presidente Morsi, con l’aiuto dei militari che così ritornano in gioco, riuscirà a “sedare” le piazze che gli si sono rivoltate contro.
Sicché, proprio mentre la difesa del nostro Paese è prossima al collasso per mancanza di fondi, sinistri spettri di destabilizzazione si agitano sul mondo, in particolare sulla sponda opposta del Mediterraneo, a poche migliaia di chilometri dalle nostre coste meridionali. Ecco perché, nonostante i tempi difficili che stiamo attraversando, auspichiamo il mantenimento di un budget costante per la Difesa e una politica del “piede di casa”.
Sì, perché se alle ambasce economiche dell’Italia dovesse sommarsi anche l’incapacità dei suoi governi di difendere il Paese e i suoi interessi all’estero potrebbe andare in scena un altro 8 settembre con conseguenze, stavolta, ben più gravi di quelle del 1943 perché, in questo caso, collasserebbero definitivamente l’identità nazionale e, probabilmente, la nostra stessa Unità.
A proposito d’interessi nazionali all’estero, il 22 ottobre scorso, durante una sua visita alla base NATO di Solbiate Olona, chi scrive chiese al sottosegretario di Stato della Difesa, Gianluigi Magri, quando avremmo riportato in Italia i due marò del Reggimento San Marco illegalmente detenuti in India. La risposta consistette in nebulose dichiarazioni di ottimismo – che avrebbe potuto fare qualsiasi avventore del Bar dello Sport – e l’ostentazione del nastrino giallo sul bavero della giacca, come dire il colore-simbolo di quel Reggimento…
Andando di questo passo, l’Italia ridiventerà quella “semplice espressione geografica” tanto cara al cancelliere austroungarico Clemente Metternich. Sono di questi giorni le critiche di alcuni settori dei pacifisti per l’acquisto da parte del nostro Paese di un centinaio d’aerei da combattimento F-35, di cui un’aliquota a decollo tradizionale per l’Aviazione, l’altra a decollo verticale per la Marina.
Eppure questa decisione è stata una delle poche cose sensate fatte dallo Stato Maggiore della Difesa negli ultimi anni e dal governo che l’ha avallata. Infatti, l’Italia per la sua posizione geografica è una portaerei naturale protesa nel Mediterraneo e, pertanto, il controllo e la difesa del territorio nazionale mediante una sia pur modesta flotta aerea è sicuramente più efficace e meno costoso di quello fatto con navi e uomini a terra.
Per carità, non dobbiamo attrezzarci per fare guerra a nessuno (siamo pacifisti anche noi!!), ma è proprio per contribuire a mantenere la pace che dovremmo spendere i quattro euro a disposizione della Difesa per attrezzare in modo passabilmente credibile la protezione del territorio nazionale e non, invece, dilapidarli all’estero.
Ove non fossimo stati abbastanza convincenti a spiegare la ragione per cui non bisogna disarmare la difesa del Paese, sull’argomento cediamo volentieri la parola a una persona sicuramente al di sopra di ogni sospetto. Il comunista Raffaello Colombi, nella seduta della Costituente del 21 maggio 1947, così si espresse a proposito della difesa del Paese e della pace: “Ma per difendere la nostra neutralità e la nostra pace, è necessario che abbiamo un’armata capace di farlo, un’armata cui affidare il compito di difendere le nostre frontiere e che soprattutto sia in grado di dimostrare a qualsiasi eventuale nemico che, se intende minacciare le nostre frontiere, o tenti di occupare il nostro suolo, non potrà farlo impunemente”.
Per affermare meglio il suo concetto Colombi soggiunse: “Bisogna cioè che l’eventuale nemico sappia che troverà una forza armata capace di affrontarlo, che in ogni città, in ogni borgata, in ogni casolare troverà un centro di resistenza e che in ogni caso troverà chi gli rende la vita difficile nel nostro territorio”.
Oggi, più semplicemente, l’idea complessiva di Colombi si chiamerebbe deterrenza o, se volete, dispositivo di dissuasione minima, quella “cosa” che, dal 1945, ha consentito un accettabile equilibrio politico e militare mondiale e circa settanta anni di pace.
Vincenzo Ciaraffa
Foto di arciserviziocivile.it