By Vincenzo Ciaraffa
Per ragioni professionali ho avuto la possibilità d’incontrare tre volte il cardinale Martini e ricordo che in uno di quegli incontri, con filiale impertinenza, gli chiesi come si poneva nei confronti dello Stato laico il rappresentante di una potenza ultraterrena.
La sua serena risposta, poi concettualmente ripresa nel libro Conversazioni notturne a Gerusalemme da lui scritto assieme all’altro gesuita Georg Sporschill, ancora oggi mi fa vergognare quando assisto agli esercizi spirituali di tanti finti credenti e finti patrioti: “L’Italia è parte dell’Europa cristiana ma è la mia patria”.
Non ingannino i toni soffusi dell’indimenticato arcivescovo di Milano (in verità piuttosto insoliti per un gesuita…) perché ogni suo pensiero, ogni sua parola, ogni suo gesto fu, nella sostanza, un atto d’accusa alla società che si andava strutturando durante il suo apostolato, come quella “Milano da bere” di cui tanto andammo fieri trent’anni fa. Dallo scranno che fu di Sant’Ambrogio, Carlo Maria Martini – come tutti gli autentici pastori di anime – non era solito assumere atteggiamenti di rottura e, tuttavia, meditando sulle sue parole ci si accorgeva che esse erano più assordanti di una cannonata.
Infatti, non gli furono risparmiate critiche sotterranee da quel mondo finanziario e imprenditoriale che ruotava intorno ai “creativi” della Bocconi, oggi al governo, quando sostenne che il profitto non è tutto e che la costruzione di una certa modernità era più perniciosa della peste.
Martini fu il primo a puntare il dito contro la corruzione del “sistema milanese” (che poi era il “sistema italiano”), a parlare di globalizzazione e a indicare tutte le incognite che questa recava in seno. Insomma, come i suoi due illustri predecessori, Ambrogio e Carlo, egli divenne un pastore scomodo per l’establishment da cui fu rispettato ma non amato, ascoltato, ma non seguito.
In verità neppure negli alti gradi della Chiesa egli ebbe molti estimatori perché, come quella rinascimentale, la Chiesa politica del secondo millennio non ama avere “gli spirituali” in casa e, dato che non li può più affidare al braccio secolare dell’Inquisizione o alla scomunica, preferisce toglierseli di torno assegnando loro una diocesi o un incarico all’estero.
Ma i cristiani come il cardinale Martini sono soliti vivere come predicano sicché quando egli lasciò la diocesi di Milano, alla veneranda età di settantacinque anni, si ritirò in meditazione a Gerusalemme, in una stanzuccia della locale Casa dei Gesuiti.
Questo prete, in anticipo o in ritardo sui tempi della Chiesa (di quanto lo capiremo nei prossimi anni), si è ricongiunto a Colui che era solito definire “il primo amore”, in una giornata piovosa e tetra. Come l’animo di chi, credente o meno, ha visto partire un amico della cui presenza sente ancora l’intimo bisogno.
Vincenzo Ciaraffa
Foto: rainews24.it