By Vincenzo Ciaraffa
Il 15 settembre del 1947, la sera prima che entrassero in vigore le dure clausole del trattato di pace seguito alla fine della II Guerra Mondiale, gli italiani poterono ascoltare alla radio le sofferte parole del Capo del Governo, Alcide De Gasperi: “Scende in quest’ora la notte su una delle più tristi giornate della nostra storia”.
Effettivamente, la notte del nostro Paese sconfitto, umiliato, moralmente e materialmente a pezzi, sembrava davvero non dovesse mai finire, perché la miseria era generale, le industrie e le città bombardate ancora da ricostruire, un nuovo sistema di sviluppo da ideare.
A questo quadro bisogna aggiungere una classe dirigente la cui caratteristica dominante – stando alle parole del fondatore del Partito Radicale, Leopoldo Piccardi – era la seguente: “Proveniente in gran parte dalle file dell’antifascismo portava in sé tutte le deficienze inseparabili di un onorevole Passato”. Ebbene, nonostante tali desolanti premesse, nel nostro Paese nel giro di qualche anno si ebbe il cosiddetto ‘miracolo economico’, sui cui meccanismi e regole ancora oggi le valutazioni sono discordi.
Comunque sia, per portare il nostro Paese fuori dal dopoguerra, il povero De Gasperi ebbe quale inusitato alleato un mezzo che, con il motore grande appena quanto quello di una motosega, avrebbe contribuito a imprimere alla società italiana quel dinamismo che ancora le mancava: la Vespa. Nel 1945 l’imprenditore Enrico Piaggio concepì l’idea di un mezzo di locomozione che consentisse agli italiani di spostarsi autonomamente e che, soprattutto, fosse alla portata delle tasche di tutti, anche di quelli che all’epoca riuscivano a stento a mettere insieme pranzo e cena.
Da quell’idea i progettisti ricavarono uno scooter piuttosto tozzo, il Paperino, che non fu mai commercializzato perché non aveva entusiasmato Enrico Piaggio il quale, però, non demorse e mise la sua idea in mano all’ingegnere aereonautico Corradino D’Ascanio e fu così che dal Paperino nacque la Vespa. Presentata la prima volta alla Fiera di Milano del 1946, essa aveva delle caratteristiche tecniche semplici e, tuttavia, innovatrici, che proviamo a sintetizzare alla meglio:
- carrozzeria portante a guscio che assicurava al guidatore una protezione molto più elevata di quella offerta dai motocicli di allora;
- cilindrata di 98 cc.;
- motore a due tempi di 3,2 cavalli;
- cambio manuale a tre marce;
- velocità massima 60 kilometri all’ora;
- un litro di miscela ogni 50 kilometri.
Il fatto, poi, che il progettista fosse un ingegnere aeronautico si capiva dalla linea del parafango anteriore della Vespa, che era uguale a quelli delle ruote dei principali aerei militari italiani della II Guerra Mondiale. In verità, anche la primigenia ideazione di uno scooter era riconducibile a un mezzo militare pensato addirittura dieci anni prima di Piaggio e D’Ascanio.
Nel 1936, infatti, l’ingegnere Claudio Belmondo progettò un piccolo scooter aviolanciabile per i nostri paracadutisti, progetto che fu realizzato dall’Aermoto Volugrafo di Torino a partire dal 1942. Il Volugrafo, come fu battezzato il capostipite dello scooter, aveva caratteristiche tecniche che, dal punto di vista concettuale, non erano molto dissimili da quelle della Vespa:
- cilindrata di 125 cc.;
- motore monocilindrico a due tempi in blocco con il cambio e i comandi;
- scarico del motore attraverso i tubi del telaio;
- serbatoio del carburante sotto il sedile;
- manubrio pieghevole per ridurre l’ingombro;
- pneumatici accoppiati per non sprofondare nella sabbia;
- gancio di traino posteriore.
Del Volugrafo furono prodotti 2.000 esemplari che, però, non entrarono mai in linea, almeno non con i paracadutisti italiani. Infatti, sopraggiunto lo sfacelo dell’8 settembre del 1943, gli occupanti tedeschi, tra le tante cose, requisirono tutti gli scooter Volugrafo fin lì prodotti dall’Aermoto.
Questa è, suppergiù, la genesi dello scooter nostrano ma ritorniamo alla ‘Vespa’ della Piaggio per renderle l’omaggio che merita, anche se prima di noi lo fece il regista americano William Wyler che, nel 1953, la immortalò nel celeberrimo film Vacanze Romane interpretato da Gregory Peck e Audrey Hepburn. Questo motoveicolo – che gli italiani della mia generazione portano nel cuore come la prima fidanzatina – rappresentò una novità rivoluzionaria in una società in buona parte ancora rurale e che si spostava, prevalentemente, con la corriera, in calesse o a piedi.
La Vespa, infatti, innescò un profondo mutamento nel modo di viaggiare perché, essendosi messa in competizione con le allora costose autovetture, costrinse le fabbriche di automobili a sfornare delle quattroruote che fossero anch’esse economiche e alla portata di tutte le tasche facendo, così, da apripista alla motorizzazione di massa, alla rinascita industriale e, pertanto, al ‘miracolo economico’. Il successo della Vespa, però, non risiedé soltanto nei suoi costi popolari, nei ridotti consumi, in un motore poco rumoroso e di facile manutenzione e neppure nel suo adattamento alla guida sul pavé delle città e sulle malmesse strade dei centri rurali. La fortuna dello scooter di Enrico Piaggio fu attribuibile anche a motivazioni psicologiche, recondite e non sufficientemente sondate da chi ha analizzato le ragioni del suo successo.
La Vespa, infatti, non si faceva semplicemente cavalcare dal suo guidatore, come avveniva con le altre moto, ma lo avvolgeva nel suo grembo come una madre e come tale lo proteggeva. Insomma, il suo design complessivamente arrotondato (grembo), le scocche laterali bombate (mammelle), in qualche modo riportava inconsciamente alla beatitudine della vita uterina e agli aneliti dei primi mesi di vita, quando il seno materno era il centro del nostro universo: dopo vent’anni di machismo e di mistica guerriera, dopo una guerra disperata, gli italiani avevano proprio bisogno di dolcezza avviluppante e di forme materne!
Quest’assunto è dimostrato dal fatto che la Vespa piacque a tutti, maschi e femmine, tant’è che la Piaggio pensò di utilizzare figure femminili in veste di guidatori (e non come semplici testimonial) per reclamizzarla, riuscendo a realizzare la parità dei sessi sessant’anni prima delle famigerate ‘quote rosa’.
In tale lasso di tempo la Piaggio ha prodotto svariati modelli di Vespa e suoi derivati, modelli che vanno dal motofurgone APEC al tuk – tuk (o moto risciò) ancora usato nei Paesi del Sud Est Asiatico, dal side car allo scooter militare equipaggiato con un cannone da 106 senza rinculo.
Ormai della linea originale dello scooter di Corradino D’Ascanio rimane ben poco e già si parla di una futura Vespa alimentata e GPL o col motore diesel. Mah! Sarà pure un’esigenza dettata dal progresso tecnologico, dall’economia e dal rincaro della benzina, però noi rimaniamo fedeli alla memoria di quella Vespa a miscela con la ‘marmitta truccata’ che guidavamo senza casco (all’epoca non usava), con un giornale infilato sotto il maglione per proteggerci dal freddo.
Furono quelli anni venati di giovanile incoscienza? Può darsi, ma furono gli anni più belli della nostra vita, perché eravamo ragazzi, innamoraticci e perché credevamo di stare a edificare un mondo migliore di quello che avevamo trovato. Purtroppo gli anni sono volati e con essi le nostre illusioni ma il ricordo della Vespa no, perché essa è ancora nel cuore di chi trascorse la propria adolescenza sul suo sellino.
La creatura di Enrico Piaggio e Corradino D’Ascanio ha, ormai, gli stessi anni della nostra Repubblica e perciò ci è parso giusto ricordarla insieme all’approssimarsi delle celebrazioni del 2 giugno: chissà che dall’abbinamento non ne esca migliorata la nostra percezione di questa strana Repubblica Italiana che rassomiglia sempre di più a quella di Tombolo.
Vincenzo Ciaraffa