Apr 25, 2012
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Il 25 aprile si può anche ricordare Coltano

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By Cybergeppetto

La “fossa del fachiro” era un particolare modo di punire gli internati dei campi di concentramento alleati in Italia, la maggior parte dei quali in Toscana, il meno ignoto a Coltano, nel Comune di Pisa.

Era una fossa in cui venivano poste delle pietre aguzze e molto fitte, ci voleva assai poco ai prigionieri per finirci dentro, stipati come sardine affinchè si dovessero per forza ferire i piedi, bastava non salutare il personale militare americano o amenità del genere. Non parliamo solo di Ezra Pound, ma di trentacinquemila internati, qualche tedesco e molti italiani, fascisti o ex repubblichini, molti di essi morirono di stenti o per malattie non curate.

In quel periodo buio della storia italiana, in cui ognuno ebbe timore di temere per la propria vita anche se non aveva partecipato ad azioni militari da una parte o dall’altra; la vita di chi era fascista fu particolarmente dura, molti furono fucilati dopo la resa, torturati o seviziati da bande di partigiani che operavano al di fuori di ogni controllo.

Molti morirono nei campi di concentramento, quelli che si salvarono, e che non avevano voltato gabbana, espatriarono o furono condannati a una vita da reietti, sempre attenti a non finire nelle mani della “volante rossa” o dei fanatici residuati dalla guerra civile, comunisti pronti a tornare a uccidere, nell’attesa che arrivasse “baffone”.

Queste storie, con gran dovizia di particolari, furono scritte in una monumentale opera di Giorgio Pisanò, Storia della Guerra Civile in Italia, poi furono ripetute e integrate, in tempi più recenti, da Giampaolo Pansa in una serie di volumi di cui Il sangue dei vinti è forse quello più noto. E’ una storia, quella di Coltano, che si aggiunge alle foibe, al triangolo dell’Emilia, alle vendette consumate ovunque e a tanti altri crimini che non era politicamente corretto raccontare nell’Italietta che faceva, e fa tutt’ora, finta di non sapere che l’Italia l’hanno liberata gli angloamericani.

La retorica riempirà questa giornata di celebrazioni della Resistenza,  ma gli strascichi delle violenze commesse da entrambe le parti non possono essere cemento di una nazione, continueranno a essere sale sulle ferite, odio che rinasce, desiderio di rivalsa che cova sotto la cenere.

Un morto è un morto a prescindere dall’ideologia che ha avuto in vita, un assassino è un assassino anche se sta “dalla parte giusta” della Storia.

Cybergeppetto

p.s. “Papà, che vuol dire ‘Vae Victis’?”. “Vuol dire ‘guai ai vinti’, dall’antica  Roma ai giorni nostri è un motto sempre valido. Il vinto muore barbaramente trucidato e, agli occhi della Storia, è lui il colpevole…”.

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La foto è dell’Antologia e documentazione in rete sulla Repubblica Sociale Italiana (RSI)

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Inchiostro antipatico