By L’Anacoreta
Qualche giorno fa, mentre scorrevo i quotidiani del mattino, ho letto un interessante articolo dove il Ministro della Difesa, in modo piuttosto brusco, rispediva al mittente tutte le richieste (indicate con il termine di “pizzini”), che da più parti erano già arrivate sul suo tavolo, per intercessioni a favore di questo o quell’altro ente al fine di evitare paventati tagli o riduzioni.
Il concetto ribadito dal Ministro è stato che i tagli, indispensabili visto il momento, sarebbero stati sostenuti da tutti indistintamente.
L’altro giorno, poi, nella ridda di comunicati e proclami che affollano i media nostrani sulla necessità di mettere in atto provvedimenti urgenti atti a salvare il nostro Paese, anche il nuovo Capo di stato maggiore dell’Esercito ha dichiarato che il futuro della forza armata sarà caratterizzato da un processo di riduzione.
Tutta questa sovraesposizione mediatica dei vertici della difesa, tesa a dimostrare la volontà di contribuire al risanamento dei conti pubblici mettendo in atto la collaudata formula “tagli (di bilancio) quindi riduzione (di unità) = risparmio (abbiamo fatto la nostra parte – anche se non interessa a nessuno se saremo in grado di fare ciò che ci verrà chiesto)”, mi fa temere che la soluzione individuata darà luogo, probabilmente, all’ennesimo lifting estetico estemporaneo della struttura dell’esercito con ulteriore riconfigurazione di ciò che esiste già ma con un nome diverso e sempre meno efficiente.
Dando per scontato che un’assegnazione di bilancio inferiore alla previsione effettuata implica automaticamente una diminuzione delle risorse effettive, ebbene, la reazione dovrebbe essere in primis quella di ridefinire quali siano i compiti sostenibili alla luce delle nuove (risicate) risorse disponibili prima di sbandierare riduzioni e ristrutturazioni (M. de la Palisse non avrebbe saputo dir meglio!!!!).
Quindi, pur accettando che la situazione critica in cui l’Italia (come il resto d’Europa) sta annaspando richieda l’adozione di misure di rigore dalle quali il comparto difesa non può rimanere escluso, la soluzione al problema dei tagli di bilancio effettuati dalla manovra Monti non può concretizzarsi semplicemente nell’eliminare alcuni “pezzi” della struttura militare o nel “tagliare” alcune migliaia di posizione organiche, senza variare compiti e impegni.
Ritengo che la situazione possa essere colta per “osare” qualche cosa di più della solita rimescolatina con lacrima finale per dire che addestramento delle truppe, ricerca e ammodernamento soffriranno terribilmente per i tagli di bilancio, ma continuando, comunque, a dire signorsì a ogni starnuto politico e svenandosi per partecipare da protagonisti in attività dall’alto profilo operativo quali la raccolta rifiuti, lo spalaggio neve, il pattugliamento sobborghi, il rimpatrio dei clandestini e via dicendo.
E’ vero che, mancando un obiettivo generale che definisca nel dettaglio quale struttura l’Esercito debba avere per contribuire al conseguimento dell’interesse nazionale nel XXI secolo (manca infatti qualsiasi discussione seria e produttiva in tale senso), la soluzione più semplice per assorbire una diminuzione delle risorse economiche è quella di tagliare gli enti, il personale e gli investimenti senza pretendere una preventiva riduzione dei compiti e degli impegni.
E’ anche vero, però, che esiste un’altra soluzione – più difficile certamente – che è quella di analizzare e studiare quali capacità debbano essere mantenute affinché l’Esercito possa comunque assolvere i compiti che gli sono stati assegnati, definendo chiaramente quello che in futuro potrà essere fatto e quello che invece non sarà possibile fare per le mutate disponibilità di bilancio.
Mi rendo conto che la soluzione di questo dilemma richiede il coraggio (sino a ora mai evidenziato da parte dei vertici militari) di mettere in discussione un sistema che dà per scontato l’accettazione immediata e acritica di qualsiasi riduzione di bilancio, senza che venga sollevato alcun dubbio sulla possibilità di assolvere gli stessi compiti con risorse differenti.
Intendiamoci bene: una situazione di crisi come quella che interessa il nostro Paese impone la necessità di manovre finanziarie che investano tutti i settori. E quello della Difesa non può essere escluso.
E’ naturale, quindi, che i vertici militari accettino senza critiche le riduzioni imposte dalla volontà politica; quello che però dovrebbero avere il coraggio morale di fare è di pretendere che oltre i “tagli di bilancio” l’autorità politica ridefinisca anche le funzioni che le Forze armate devono assolvere riducendone i compiti in relazione alle risorse disponibili.
L’adozione di questo comportamento e di questa correttezza morale è quello che si richiede ai vertici dell’Esercito, non la solita rassegnazione piagnucolosa da Cenerentola lasciata a casa dal ballo, ma una presa di posizione chiara e leale che imponga non solo la ridefinizione dei compiti e delle funzioni richiesti ma fissi chiaramente i limiti di impiego della Forza armata.
La nomina di un Capo di stato maggiore “giovane”, con un lungo mandato davanti a sé, ha alimentato in molti dei miei amici che vestono la divisa le speranze di un cambiamento significativo – direi epocale – nella storia militare patria.
La necessità di affrontare questa crisi offre immediatamente l’occasione di nutrire queste speranze, concretizzandole, in quanto un atteggiamento deciso darebbe il segnale che c’è la volontà di cambiare, di svoltare, di crescere in tutti i sensi, non piangendosi addosso per i fondi non assegnati, ma esponendo chiaramente quali capacità di contribuire all’interesse nazionale rimangono all’Esercito alla luce dei tagli e quali invece non possono più essere garantite.
Questa è l’occasione da non perdere per osare qualche cosa di più e di nuovo rompendo con il passato e proiettando l’Esercito verso un futuro che sembra mancargli da sempre.
L’Anacoreta
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Foto: stato maggiore Esercito