Il conto alla rovescia verso la smobilitazione delle truppe americane dall’Iraq entro il 31 dicembre di quest’anno è già iniziato. Ma il ritiro dei militari lascerà comunque 10mila uomini circa ancora sul terreno. A tutela dei diplomatici presenti nel paese, è la motivazione.
Al riguardo, il numero dei diplomatici e degli esperti americani in Iraq arriverà a quota 17mila, dato che è previsto l’invio di altri esperti da parte del Dipartimento di Stato americano nell’anno successivo al ritiro delle truppe, fa sapere un articolo del Kurdish Globe di Erbil del 1° agosto.
Il personale dispiegato, si legge, “darà un’occhio ai giacimenti di petrolio di Kirkuk così che i curdi non potranno nutrirvi più nessuna speranza”.
Ma l’articolo fa di più. Pur se espressione di un punto di vista netto, quello curdo, in realtà fornisce indicazioni di lettura di un disagio nel cuore del Vicino Oriente che vale la pena di prendere in considerazione in quanto strategicamente interessante.
L’articolo lega i giacimenti petroliferi e la presenza delle truppe americane ai continui disordini nell’area transfrontaliera abitata dal popolo curdo. Come? Mettendo nelle mani degli americani la gestione della sicurezza dell’area dove Iran, Iraq e Turchia si incontrano. E dove i curdi stanno tentando di ritagliarsi una nazione.
Una decina di giorni fa, ricorda l’articolo, si sono verificati gravi scontri nel sud-est della Turchia.
Lo scorso 14 luglio, infatti, a Diyarbakir i curdi hanno proclamato l’autonomia della regione con il supporto del PKK, il partito curdo internazionalmente considerato alla stregua di un’organizzazione militante di stampo terroristico. I disordini che ne sono seguiti hanno lasciato sul terreno tredici militari turchi, con il disappunto della Nato, di cui la Turchia fa parte dal 1952, e sette militanti, o secessionisti, nell’accezione turca.
Si tratta in realtà solo dei disordini più gravi tra gli ultimi registrati. Il disagio del popolo curdo, in realtà, si esprime anche in Iran e in Iraq.
E’ notizia di ieri, sempre dal Kurdish Globe, che l’Iraq abbia chiesto l’espulsione dell’ambasciatore iraniano Hassan Danaie-Far a causa dei continui disordini alla frontiera dei due paesi tra militari dell’Iran’s Revolutionary Guards e membri del Party of Free Life of Kurdistan (PEJAK), che opera in Iraq sotto l’ombrello del PKK curdo.
Sembra che il bilancio di questi scontri sia pari a oltre il doppio in termini di morti e feriti di quelli verificatisi in Turchia a metà luglio.
Secondo l’esperto di Oriente del Moscow Carnegie Centre, Alexei Malashenko, citato dal Kurdish Globe ieri, “molti esperti ritengono che il 21esimo secolo sia destinato a diventare il secolo della lotta dei curdi per l’indipendenza”. E questi scontri rappresenterebbero dunque un intensificarsi della questione, stante il disappunto che Turchia, Iraq e Iran continuano a nutrire per l’etnia curda che rivendica le aree più ricche di petrolio della regione.
Ricorda l’articolo, infatti, che la provincia irachena di Kirkuk popolata da curdi iracheni possiede “il doppio del petrolio che ha la Libia”. Una forza strategica nelle mani dei curdi, che hanno supportato la caduta di Saddam Hussein aiutando gli americani.
Le motivazioni, ufficialmente legate alla sicurezza, per giustificare ancora una presenza americana nella regione ci sono tutte.
E a questo si collega la difficoltà del SIGIR, l’ex CPA in Iraq, nell’organizzare la gestione dei contractors americani che resteranno sul terreno dopo il 31 dicembre, data ultima per l’uscita delle truppe statunitensi dall’area.
Intanto la Nato procede nel suo addestramento della polizia irachena, in particolare dell’Iraqi Oil Police, presso Camp Dublin grazie al training specialistico fornito dai Carabinieri italiani. L’obiettivo è consentire agli iracheni di gestire la sicurezza delle proprie risorse, aumentando la consapevolezza della propria responsabilità.
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Fonti: Kurdish Globe, Nato
Foto: MSNBC/Danger Room, EPA/Kurdish Globe, It Carabinieri NATO