Lug 25, 2011
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Iraq, via i militari americani che ne sarà dell’esercito dei 5.500 contractors sul terreno?

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Che ne sarà dei 5.500 contractors americani presenti in Iraq una volta che i militari US se ne saranno andati completamente?

Diventeranno una brigata combat? Chi li comanderà dal prossimo gennaio 2012 e, soprattutto, quali saranno le loro regole di ingaggio nel gestire la sicurezza dei diplomatici americani presenti nel paese?

In un articolo esclusivo di Danger Room del 22 luglio, rilanciato lo stesso giorno da ProPublica, questi quesiti sollevano pesanti interrogativi sul futuro di un paese ancora instabile dopo una guerra ufficialmente conclusa il 1° maggio 2003.

L’incertezza sul domani e l’impossibilità di accedere ai progetti futuri del Dipartimento di Stato mettono in difficoltà Stuart Bowen, lo Special Inspector General for Iraq Reconstruction (SIGIR), praticamente il successore di quello che è stato il Coalition Provisional Authority (CPA) iracheno di Paul Bremer.

Il SIGIR ha infatti confermato a Danger Room di non essere riuscito ad avere le informazioni necessarie dal Dipartimento di Stato nonostante negli ultimi mesi si sia espressamente dedicato con il suo team a ottenere indicazioni su come verranno gestiti questi contractors.

In particolare, quali saranno le regole di ingaggio? E quale sarà il canale attraverso cui i contractors riporteranno eventuali problemi connessi alla sicurezza a cui poi si dovrà dare adeguata risposta per la giusta reazione sul terreno?

Il Dipartimento di Stato, da parte sua, sembra aver fornito sempre la stessa risposta a Bowen: lei si occupi di ricostruzione, che al resto ci pensiamo noi.

Ma secondo Ramzy Mardini, un analista dell’Institute for the Study of War appena rientrato da un periodo trascorso in Iraq, “il Dipartimento di Stato non ha la percezione dell’impegno che sta per assumersi”. E in più “non ha nessuna esperienza nel gestire un esercito privato”.

E’ infatti ancora vivo il ricordo dell’incidente di Nisour Square a Baghdad nel settembre 2007, quando contractors della Blackwater uccisero diciassette civili iracheni. Allora, ricorda l’articolo, la strage aveva rappresentato il risultato di uno scarso controllo sul crescente numero di contractors assunti per la sicurezza dei diplomatici nelle zone di guerra.

E oggi?

Secondo la testimonianza di Ramdi, l’Iraq viene ancora considerata una zona di guerra dai  contractors, dato che l’atteggiamento con cui proteggono i diplomatici è uguale a quello di sempre a bordo di “macchine blindate, armati fino ai denti e con occhiali da sole scuri”.

Di più, sembra che a garantire spostamenti sicuri verrà addirittura impiegata anche una flotta di elicotteri del Dipartimento di Stato. Sarebbe la prima volta che succede, sottolinea l’articolo.

Il problema principale, fa notare Danger Room, sembra essere una “mancanza di coinvolgimento ai piani alti”, che sfocia nell’inefficienza e nell’incapacità di concludere una questione aperta, “abbozzando l’idea che i militari americani lasceranno l’Iraq nel medesimo modo in cui ci sono entrati: senza un piano degno del nome”.

Articolo correlato:

The Private Security Firms and their current role – By Jethro S. (1° luglio 2011)

Fonte: Danger Room/ProPublica

Foto: Danger Room

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Forze Armate · Iraq · Sicurezza