Mar 11, 2011
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Sudan, Abyei: popolazione in fuga. Preoccupazione dell’Unione Africana

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Le recenti violenze nella regione ricca di petrolio dell’Abyei, che dopo la scelta di indipendenza del sud del Sudan si trova al centro di una disputa territoriale, hanno determinato l’esodo di circa 20mila persone verso sud.

E’ l’Ufficio per il coordinamento umanitario dell’Onu in Sudan a renderlo noto attraverso radio Miraya, un network gestito in loco dalle Nazioni Unite e dall’organizzazione non-governativa svizzera Fondation Hirondelle.

I disordini in Abyei tra i nomadi arabi della tribù Misseriya, che transitano con le loro greggi nell’area per circa nove volte l’anno, e la tribù stanziale Dinka Ngok si sono intensificati nelle ultime settimane provocando la fuga di migliaia di abitanti dell’area.

Le violenze tra i due gruppi, supportati il primo dal nord del Sudan e il secondo dal sud, sono favorite dalla situazione di indeterminatezza che si è venuta a creare dopo il referendum di gennaio che conduce alla dichiarazione di indipendenza del sud del Sudan il prossimo 9 luglio.

Entro quella data, tuttavia, è necessario secondo quanto già stabilito dagli accordi che posero fine alla guerra civile del 2005 che anche l’Abyei esprima in un referendum se preferisce essere annesso al nord o al sud, trovandosi infatti proprio in posizione centrale rispetto alle due parti opposte.

Il motivo del contendere, che ritarda tale espressione popolare, sta nella legittimazione degli aventi diritto al voto: se i nomadi Misseriya, come vorrebbe il governo del Sudan del nord, o i Dinka Ngok, come preferirebbe Juba.

Il presidente della Commissione dell’Unione Africana Jean Ping non nasconde la preoccupazione per il degenerare della situazione. Un articolo di ieri 10 marzo del Sudan Tribune ne riporta l’invito rivolto alle parti per una soluzione da adottare in conformità non solo al trattato di pace, ma anche e soprattutto agli accordi stretti tra le due tribù dell’Abyei lo scorso mese di gennaio.

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Fonte: Miraya, Sudan Tribune

Foto: Mohamed Nureldin Abdallah/Reuters da Christian Science Monitor

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Forze Armate · Sicurezza