Un dramma che si protrae almeno da tre mesi nel Sinai, fa sapere don Mussie Zerai, direttore dell’Agenzia Habeshia per la cooperazione e lo sviluppo (AHCS) di Roma, che riferisce di circa duecento persone rapite nel Sinai da tribù locali e tenute in condizioni di detenzione all’interno di container da novembre 2010.
Ora che il numero degli ostaggi dei trafficanti di uomini è aumentato, anche con la presenza di bambini ammalati e donne incinte, le parole di Zerai sono un grido disperato: “L’Europa e l’Italia, che discutono di emergenza sbarchi, non hanno intenzione di tentare di liberare, di restituire la dignità a queste persone”.
E’ rimasto, infatti, senza ascolto il primo appello del sacerdote, che il 24 novembre scorso aveva denunciato il dramma dei profughi eritrei in Sinai: dopo l’appello del Papa del 5 dicembre e una lettera dei parlamentari italiani al ministro degli Esteri Franco Frattini, riferisce Zerai, “oggi, 14 febbraio 2010, siamo ancora al punto di partenza”.
Il sacerdote aveva riferito qualche giorno fa, nel corso di una intervista all’agenzia Asca pubblicata l’11 febbraio, che alle duecento persone nelle mani dei trafficanti se ne sono aggiunte altre, “tra cui anche tre bambini, uno di undici anni e due di quattordici, rapiti in Sudan e venduti nel Sinai”.
I particolari che denunciano una schiavitù contemporanea dalle caratteristiche arcaiche non mancano: “al bambino di 11 anni e’ stato rotto un braccio a causa delle botte ricevute. Il dramma e’ che nessuno lo può aiutare perché tutti i compagni sono incatenati”.
E ancora: “mi giunge notizia di un ragazzo di sedici anni che soffre di epilessia, cade quattro/cinque volte al giorno, con le catene tra le mani e ai piedi”.
I compagni di detenzione, fa sapere Zerai, sono in pena per la sua doppia sofferenza “in quella situazione di segregati in quaranta persone ammassate dentro un container, dove si fatica a respirare per una persona sana, figuriamoci per chi sta male”.
La disperazione di Zerai è un grido d’accusa contro l’indifferenza della comunità internazionale, sorda alle richieste d’aiuto, e contro gli osservatori Onu, ciechi di fronte al traffico che avviene sotto i loro occhi.
Dice Zerai: “Assurdo sapere che a due passi dal contingente Onu c’è stato per settimane un gruppo di cinquantaquattro profughi tenuti in ostaggio senza che i militari Onu alzassero gli occhi per vedere cosa stesse succedendo sotto il loro naso. Ci dicono che il confine tra Egitto e Israele è sorvegliato, ogni 500 metri ci sono soldati, ma è peggio di un colabrodo dove passa di tutto”.
Fonte: Agenzia Habeshia, Asca
Foto: Agenzia Habeshia