Si pone come spifferatore del web e strumento per giornalisti, ma in realtà Wikileaks passa solo roba vecchia.
Giornalisticamente parlando, i file segreti sulla guerra in Iraq sono una accozzaglia di dati vecchi e inutilizzabili riferiti a episodi già noti (o almeno immaginabili, visto che stiamo parlando di una guerra raccontata da tempo) degli anni scorsi.
Come se fossero stati dimenticati in un cassetto dall’ultimo stagista chiamato a sostituire le ferie in agosto, questi quasi 400mila file sono stati riversati così come sono stati trovati e con tutta la loro muffa direttamente sul web.
Neppure un tentativo di metterli in ordine. Wikileaks non ha fatto neanche lo sforzo di mettere in correlazione i vari report delle unità sul terreno.
Difficile per un giornalista utilizzare Wikileaks come fonte per la guerra in Iraq. E’ stantio. I dati arrivano solo fino al gennaio 2009, quindi due anni fa.
Ma il discorso sarebbe diverso se Julian Assange, l’ex hacker editor in chief di Wikileaks, ci proponesse qualcosa di attuale e stuzzicante, magari un Diario della resistenza talebana, o un Prontuario di Hamas.
Con i dettagli delle forze ribelli dispiegate sul terreno e una mappa delle tane dei terroristi, allora sì che Wikileaks sarebbe originale e sbancherebbe il suo server incapace di sopportare i miliardi di clic contemporanei dei giornalisti di tutto il mondo.
La realtà è che il gioco mediatico nelle aree di crisi è presto fatto: le forze regolari sono trasparenti, mentre quelle irregolari non lo sono. E’ l’asimmetria del conflitto.
Sulle forze di opposizione non sono dunque disponibili dati o file segreti da spifferare, mentre in una qualsiasi operazione di peacekeeping tutto è reperibile: dal mandato, che è pubblico, alla costituzione e al dispiegamento delle forze.
Ciò che viene protetto, ça va sans dire, sono gli uomini sul terreno. E’ l’insieme delle cosiddette informazioni riservate, ovvero tutti quei dati prevalentemente relativi a spostamenti od operazioni imminenti che, se spifferati in prossimità dell’azione programmata, mettono in serio pericolo la vita degli uomini in operazioni.
Il raccontarlo qualche anno dopo non fa più notizia.
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Foto: Julian Assange in Reuters