Contare e ricontare. Accusarsi e mai scusarsi in un ambiente dove la sicurezza non è agli standard occidentali.
Milioni di schede elettorali e accuse di brogli, corredate da intimidazioni e amputazioni delle dita sporche di inchiostro dei votanti, avevano annebbiato il successo internazionale nel portare al voto l’Afghanistan lo scorso anno.
Oggi, un anno dopo quell’agosto 2009 caratterizzato da voti plurimi e certificati elettorali falsi, l’Afghanistan ritorna alle urne per eleggere 249 parlamentari. Un altro turno elettorale per un popolo di etnie che l’occidente vorrebbe nazione unificata sotto il governo di Kabul, la capitale del Paese delle Montagne.
Un articolo dell’Economist definisce le prossime elezioni come un incubo per gli addetti ai lavori, scrutinatori in testa. E fa sapere che per motivi di sicurezza ben 938 seggi elettorali prevalentemente nel sud non verranno aperti.
Questo significa mettere a tacere un’intera etnia – quella pasthun, che si trova appunto nel sud. Ma per mettere a posto le coscienze e far quadrare i conti verranno aperti più seggi al nord, che è relativamente più tranquillo. Così sarà più facile parlare di successo internazionale nel processo elettorale afgano.
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Fonte: The Economist, Joshua Project
Foto: Ahmad Masood/Reuters