Ago 18, 2010
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soldatesse italiane_bambine afgane_herat

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Giocare anche solo con una palla, correre, saltare, ricevere l’affetto di una famiglia, in una parola desiderio di essere bimba. In Afghanistan se c’è un’infanzia violata è proprio quella delle bambine. Ad alcune viene appena dato il tempo di sbocciare, per altre le ‘esigenze’ della famiglia vengono prima e quel piccolo fiore diventa merce di scambio. Lo shelter di Herat, una casa rifugio per donne, si fa per dire, dai 10 ai 30 anni, è un libro aperto di storie di adolescenti troppo presto costrette a diventare donne prima dalle famiglie e poi da mariti-padroni.

Nafisa (nome di convenzione) ha 15 anni. Si è sposata cinque anni fa. Ne aveva solo dieci. Suo padre l’ha scambiata con delle pecore e delle mucche. Quando si è sposata aveva solo dieci anni. La sua famiglia l’ha promessa non come una sposa ma come una schiava. “Il giorno che è arrivata al rifugio di Herat – dice all’Ansa Suraya Pakzad – che ha voluto la struttura nel 2005 – nessuno riusciva a credere che quelle mani appartenessero ad una donna. Se avesse avuto in dosso un burqa e fatto vedere solo le mani, tutti avrebbero pensato a quelle di un uomo”. Le mani di Nafisa sono grosse come quelle di un muratore. Suo marito le ha fatto costruire quattro stanze. Ogni mattina quando usciva le chiedeva di preparare 100 mattoni di fango. Quando tornava a casa la sera le chiedeva, invece, di preparare la cena e poi la portava nei campi. “La portava la sera – continua la Pakzad – perche’ durante il giorno aveva vergogna di far vedere che faceva lavorare la moglie nei campi e cosi aspettava la sera. Poi lui si sdraiava sull’erba e si metteva a dormire. Solo all’alba la riportava a casa. Durante il giorno la piccola non riusciva a stare in piedi per la stanchezza ma andava avanti lo stesso terrorizzata al pensiero che se non preparava tutti i mattoni sarebbe stata picchiata”. Il suo piu’ grande desiderio

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