Ott 20, 2009
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Al Qaeda franchise

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natalia springerAl Qaeda è come un franchising: cede il marchio e poi ciascuno si costruisce la propria cellula, spiega il ministro dell’Interno Roberto Maroni. E lo stanno ripetendo con lui già da qualche giorno non solo gli analisti e i politici, ma anche i media italiani improvvisamente illuminati e conquistati da questa definizione.

Eppure cinque anni fa, anzi, cinque anni e tre mesi fa, lo aveva detto anche una negoziatrice dell’Unhcr, Natalia Springer (foto), nel corso di un ciclo di conferenze sulla comunicazione in ambito militare all’Università dell’Insubria di Varese.

Il concetto espresso da Springer il 12 luglio 2004 era chiaro: l’assenza di un bipolarismo stile Guerra Fredda  ha consentito lo sviluppo di gruppi armati localizzati ma globali, ravvicinati da un disinvolto utilizzo di internet per la chiamata a raccolta.

Nel corso dell’intervento erano emerse la particolare caratterizzazione dei nuovi conflitti, operati da mercenari, e la pericolosità dell’istituzionalizzazione di conflitti latenti.

Tutti concetti ugualmente applicabili in teatro operativo così come entro i confini del nostro stato, ugualmente declinabili in linguaggio militare tanto quanto in quello civile.

Per chi fosse interessato all’argomento, sulla stampa estera c’è materiale anche datato (un esempio del 2005: Battling the al-Qaeda franchise, di John Simpson su BBC).

L’articolo Al Qaeda è un franchising a firma Paola Casoli era stato pubblicato su Pagine di Difesa il 14 luglio 2004 e ripubblicato in questo blog.

Articolo correlato: Al Qaeda è un franchising (14 luglio 2004)

Foto: eltiempo.com

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