pubblicato da Pagine di Difesa il 22 dicembre 2005
“L’attacco suicida contro un convoglio italiano a Herat si inserisce nell’ambito di una serie di attacchi simili che da un paio di mesi sono apparsi con maggiore frequenza sulla scena afgana e che hanno coinvolto anche le forze di Isaf”. Chi fa questa affermazione è il generale di corpo d’armata Mauro Del Vecchio, da agosto 2005 comandante della International Security Assistance Force (Isaf), dal suo quartier generale a Kabul. Il generale aggiunge: “Questo tipo di attacchi non è comune in Afghanistan e non rientrava nelle tecniche adottate finora dai talebani. Non è chiaro al momento, ed è quello che l’intelligence sta verificando, se queste tecniche siano state copiate o importate da altri teatri, come quello iracheno”.
“Le forze di Isaf – precisa Del Vecchio – visti i recenti attacchi contro i nostri mezzi e pattuglie e considerando anche il grande evento dell’inaugurazione parlamentare, hanno elevato lo stato di attenzione; sono state date direttive specifiche per fronteggiare tali rischi. Sono state riviste le modalità di pattugliamento e di comportamento ed è stata intensificata l’attività di intelligence svolta in collaborazione con le forze di sicurezza afgane. L’adozione di queste direttive e l’addestramento dei nostri militari ha permesso di prevenire l’attentato del 20 dicembre e di limitare i danni”.
Il generale Del Vecchio aggiunge: “Il conduttore del mezzo che è stato coinvolto ha notato il mezzo civile che si stava avvicinando in modo anomalo e gli ha impedito di inserisi all’interno del convoglio, obbligandolo a sorpassare sulla destra e poi a finire fuori strada. A questo punto il kamikaze si è fatto esplodere. Ma anche l’attacco di pochi giorni fa contro una pattuglia norvegese è stato prevenuto grazie all’adozione di misure e tecniche che hanno fatto sì che l’attacco fallisse”.
Del Vecchio conclude: “La mia lettura della situazione è che c’è un tentativo disperato da parte di queste organizzazioni ed elementi per riafferamare la loro vitalità ed esistenza con attacchi di grande effetto dal punto di vista mediatico in concomitanza di un evento di grande rilevanza per la vita del paese come l’apertura del Parlamento. Una recrudescenza prima del periodo invernale, che statisticamente ha visto sempre una diminuzione degli attacchi”.
Dunque, sono state messe in atto le procedure previste per evitare che l’attacco al convoglio andasse a segno. L’autista che la mattina del 20 dicembre a Herat, città dell’Afghanistan occidentale sede del Provincial Reconstruction Team italiano, chiudeva il convoglio formato da un fuoristrada Defender, un autocarro portacontainer e un Toyota Prado (tutti mezzi in organico al comando del Prt) aveva notato chiaramente l’auto che seguiva a velocità sostenuta.
Uno spostamento a sinistra per evitare il sorpasso e poi la chiusura dell’auto dell’attentatore che tentava a quel punto il sorpasso sulla destra. In questo modo la vettura carica di esplosivo è finita fuori strada esplodendo lontano dal convoglio. Al maresciallo capo Carmine Di Motta, al caporalmaggiore volontario in ferma breve Tommaso De Sio e al caporale volontario in ferma breve Alessandro Nonis, che stavano rientrando a Herat dopo un servizio esterno alla Forward Support Base, l’aeroporto di Herat, i sanitari hanno riscontrato ferite leggere causate dalla frantumazione dei vetri per lo scoppio dell’esplosivo.
Sul posto è subito intervenuta la Quick Reaction Force, la forza di impiego rapida, che con la polizia locale ha messo in sicurezza la zona. I militari feriti sono stati ricoverati all’ospedale militare spagnolo-bulgaro della Forward Support Base. I sanitari hanno confermato che le loro condizioni erano buone e non destavano preoccupazioni. Sembra che tali attentati, stando a rivendicazioni di cui non è verificabile l’autenticità, siano da ricollegarsi a gruppi di talebani. Va però tenuto presente – come ha detto anche l’ambasciatore a Kabul Ettore Francesco Sequi nel corso di un incontro di approfondimento sull’Afghanistan dopo le elezioni, organizzato a Milano dall’Istituto per gli studi di politica internazionale lo scorso 18 novembre – che “la cultura del kamikaze non fa parte dell’Afghanistan”.
A questo punto si riapre la discussione su una situazione frammentata del potere in Afghanistan. La vittoria di molti signori della guerra alle recenti elezioni parlamentari potrebbe minare la forza del potere centrale di Kabul e permettere infiltrazioni di terroristi, coltivazioni di oppio e traffici illegali. La questione della porosità dei confini con il Pakistan ha spinto il presidente Hamid Karzai a chiedere l’aiuto dei governi confinanti e la collaborazione delle organizzazioni internazionali per evitare il progressivo rinforzo della illegalità.
In questo clima lunedì 19 dicembre si è inaugurato il nuovo Parlamento afgano: 351 membri, di cui 249 della Wolesi Jirga, l’assemblea nazionale, e 102 della Meshrano Jirga, il senato. Il presidente Karzai ha dichiarato: “Questa riunione dimostra che tutto il popolo dell’Afghanistan è unito ed è un passo importante verso la democrazia”. Il 91enne Zahir Shah, ex monarca afgano rovesciato nel 1973 con un colpo di stato ed esule a Roma, era presente alla cerimonia. “Ringrazio Dio perché oggi mi trovo a partecipare a una cerimonia che rappresenta un passo verso la ricostruzione dell’Afghanistan dopo decenni di combattimenti. Il popolo afgano vincerà” sono state le sue parole.
Un quarto dei seggi della Wolesi Jirga e un sesto della Meshrano Jirga sono occupati da donne. Nel Parlamento siedono anche signori della guerra che combatterono contro l’occupazione sovietica, ex comunisti e talebani che si sono dissociati dal “regime medioevale”, come lo aveva definito il ministro degli Esteri Gianfranco Fini lo scorso agosto a Camp Invictia. In Parlamento si è presentata anche Malalai Joya, la parlamentare 27enne eletta nel collegio di Herat e conosciuta per aver attaccato pubblicamente i signori della guerra. Lunedì ha dichiarato ai giornalisti che gli uomini e le donne dell’Afghanistan “sono come piccioni che sono stati liberati dalle gabbie dei talebani, ma ai quali sono state mozzate le ali e che sono finiti nelle grinfie di vampiri che succhiano loro il sangue”.
A fianco dell’apparato di sicurezza nell’ambito di Isaf esistono anche momenti dedicati agli aiuti umanitari, destinati alla crescita del paese. A Kabul i militari del Cimic della brigata alpina Taurinense, che opera nell’ambito della missione Isaf e costituisce la Kabul Multinational Brigade (Kmnb) comandata dal generale di brigata Claudio Graziano, hanno consegnato 250 paia di scarpe al centro ortopedico Ali-Abad. Il centro è una struttura della Croce Rossa Internazionale ed è gestito dal medico italiano Alberto Cairo che opera a favore delle vittime delle mine. La raccolta delle scarpe, effettuata in Italia dalla sezione di Biella della Associazione nazionale alpini, rientra nel progetto Torino-Kabul 2005 elaborato dal comando Reclutamento forze di completamento interregionale nord e il comune di Torino.
Il progetto è finalizzato al sostegno dell’infanzia e della educazione scolastica. Il generale Graziano, sottolineando la vicinanza dei militari italiani al popolo afgano, ha affermato: “La brigata multinazionale fornisce sicurezza alla provincia di Kabul e la sicurezza si crea anche realizzando un rapporto di fiducia con la popolazione. In sinergia con l’ambasciata i militari italiani stanno sviluppando alcuni progetti per aumentare il rapporto di fiducia già esistente, concentrandosi principalmente nei settori dell’educazione e istruzione. Far conoscere meglio l’Italia e conoscere meglio questo paese è un chiaro segno di una comunità d’intenti”.
Oltre alla ristrutturazione di un asilo e di una scuola media del Distretto 5 di Kabul il progetto Torino-Kabul 2005 ha pensato anche all’università, grazie ai circa ottomila euro messi a disposizione dal Rotary club Polaris di Torino. L’ambasciata d’Italia a Kabul ha reso disponibili 20 borse di studio per gli studenti del corso di italiano, la cui insegnante è Chiara Ciminello, affinché possano approfondire lo studio della lingua direttamente in Italia dal 1° febbraio al 31 marzo 2006. L’ambasciatore Francesco Sequi ha dichiarato agli studenti al momento della consegna delle borse di studio che è loro compito “fare da ponte alle due culture”.