pubblicato da Pagine di Difesa il 10 ottobre 2005
“Le mie priorità quando andrò al parlamento saranno pace, sicurezza e stabilità e la raccolta di tutte le armi dei signori della guerra”. Le prime parole della prima donna eletta per il parlamento di Kabul nelle prime elezioni libere dell’Afghanistan sembrano delineare un nuovo e vigoroso corso per la giovane repubblica islamica.
Malalai Joya, la 27enne neoeletta che siederà nella Wolesi Jirga o Camera bassa del parlamento di Kabul assieme ad altri 248 deputati, aveva dato un primo assaggio della sua tempra due anni fa con la denuncia dello strapotere dei signori della guerra pronunciata nel corso di un incontro pubblico.
Da allora la sua notorietà si diffuse sull’intero territorio afgano che, dopo avere costituito un obiettivo per le mire espansionistiche sovietiche e dopo avere sperimentato il regime talebano, nel 2003 risultava suddiviso in regioni determinate sulla base delle influenze dei signori della guerra.
Malalai si è aggiudicata uno dei cinque seggi destinati dal parlamento alla sua provincia e si è classificata seconda in ordine al numero delle preferenze espresse. “Sono molto contenta e riconoscente verso gli uomini e le donne afgani che hanno votato per me”, ha dichiarato non appena Peter Erben, capo della Commissione elettorale afgana congiunta (Jemb), ha reso noto il risultato della provincia.
La neoeletta è una giovane donna. Opera nell’ambito della tutela per i diritti delle donne e proviene dalla provincia occidentale di Farah. Elementi che portano a riflettere sul valore che i suoi conterranei hanno inteso dare al loro voto: scegliere una donna che si attiva a favore della condizione femminile, mai agevolata dall’applicazione restrittiva dei precetti islamici, è optare per un cambiamento.
Che il primo seggio orientato al progresso sia arrivato dalle urne occidentali non dovrebbe stupire. La popolazione dell’ovest era già stata educata dal livello di benessere e sviluppo voluto da Ismail Khan nella zona di Herat e delle province occidentali. Nel 1992 Khan, il signore della guerra che si oppose prima ai sovietici e poi ai talebani, aveva creato un sistema sanitario e un sistema scolastico in tre province occidentali.
Un leader che non è mai stato coinvolto nella produzione e nel traffico dell’oppio. Questo aspetto e la lontananza dalle atrocità proprie dei condottieri efferati lo differenziano dagli altri signori della guerra. Ismail Khan ha comunque una accusa da parte di Human Rights Watch in merito ad arresti arbitrari e detenzioni in stile talebano nei confronti di individui non conformi al rigido comportamento islamico.
Khan ha rafforzato il suo status di leader nel corso degli anni. Ha accettato l’ospitalità e gli aiuti dall’Iran, ma ha difeso l’autonomia per sé e il suo popolo nella consapevolezza della necessità della ricostruzione. Ha mantenuto l’indipendenza dal governo centrale di Kabul pur divenendo ministro dell’Energia, ma ha trattenuto nella provincia di Herat i soldi dei dazi delle frontiere con l’Iran.
La popolazione delle province occidentali riconosce il carisma e il pragmatismo di Ismail Khan che ha accolto favorevolmente la presenza degli italiani nella provincia. Questo atteggiamento va a vantaggio dell’opera di ricostruzione del Provincial Reconstruction Team italiano (Prt) di Herat nell’ambito dell’operazione Isaf 8, comandata dal generale di corpo d’armata Mauro Del Vecchio.
La soddisfazione per l’operato degli italiani è stata l’argomento principale dell’incontro avvenuto sabato 1° ottobre tra il governatore della provincia di Herat, Sayed Hussein Anwari, il vice comandante della polizia della città, colonnello Gulam Sarwar, e i vertici di Isaf: il maggiore generale Jaap Willemnse, vice comandante delle truppe di Isaf, e il generale di brigata aerea Umberto Rossi, Regional Area Coordinator West (Rac-W).
Durante il periodo elettorale il Prt di Herat ha supportato il Joint Coordination Center (Jcc), creato per rispondere alle esigenze delle autorità afgane nel gestire le diverse forze nel periodo di voto. Un esperimento che ha dato risultati positivi al punto che Prt e governatore hanno deciso di rendere definitiva l’attività del centro di coordinamento mantenendolo funzionale 24 ore su 24.
Nel Jcc – arredato e allestito dagli italiani con computer, periferiche, telefoni cellulari e satellitari, impianti radio, macchine fotografiche, videocamere e dotato di quattro automezzi pick-up, cinque moto enduro e dieci biciclette – opereranno sette giorni su sette ufficiali appartenenti al Border Police, Traffic Police, Afghan National Police, Security Police, National Defence Security e all’Afghan National Army.
“Si tratta di un significativo passo verso l’integrazione delle attività delle forze di sicurezza afgane, in un’ottica di sinergia per raggiungere risultati di maggior efficienza ed efficacia per affrontare al meglio le attività relative alla sicurezza della provincia di Herat” spiega il colonnello Amedeo Sperotto comandante del Prt di Herat. “Questo è un progetto al quale vi è l’intenzione di dare continuità, e in tal senso stiamo lavorando per organizzare un corso di informatica rivolto al personale che presterà servizio al Jcc, mentre è in fase di avvio uno studio di fattibilità per assicurare la copertura radio all’intera provincia”.
Dopo aver gestito il controllo sul processo elettorale nella provincia il Jcc sarà al servizio delle emergenze del periodo invernale, come ha evidenziato il generale Rossi: “Con l’approssimarsi della stagione invernale e delle problematiche ad essa connesse è prevedibile un intensificarsi della cooperazione tra forze di polizia e dell’esercito afgani e le truppe del contingente Isaf per fronteggiare emergenze di vario tipo”.
Sempre a Herat lo scorso 5 ottobre è giunta nella Forward Support Base (Fsb) una delegazione del North Atlantic Council (Nac) per visitare l’attività dei contingenti che operano sotto il coordinamento del Rac-W, generale Umberto Rossi. Il gruppo era condotto dal segretario generale della Nato Jaap de Hoop Scheffer ed era accompagnato dal comandante di Isaf 8 generale Mauro Del Vecchio.
Dalla Fsb la delegazione divisa in gruppi ha visitato i Prt di Herat, Qal-e-Now e Chaghcharan dove ha constatato l’impegno dei militari del Patto Atlantico nell’attività di supporto alle autorità afgane nel processo di ricostruzione e di democratizzazione dell’Afghanistan.
A Camp Vianini sede del Prt di Herat e del comando Rac-W, il gruppo del Nac ha preso visione dei progetti che il ministero della Difesa italiano e quello degli Esteri stanno portando avanti nella provincia di Herat con varie opere tra cui la costruzione di scuole, l’ampliamento dell’acquedotto, l’installazione di pozzi e altri impianti idrici, il Joint Coordination Center e lo sviluppo di servizi di pubblica utilità.
L’attività degli italiani non è confinata alle province occidentali. A Kabul, mentre gli uomini del Multinational Engineer Group (Mneg, una unità del genio inquadrata nella Kabul Multinational Brigade, Kmnb 8 ) hanno reso praticabile la via principale della frazione di Alo Kali, le sorelle del comitato provinciale di Torino della Croce Rossa Italiana hanno iniziato un corso per la formazione e specializzazione degli infermieri che dovranno operare negli ospedali della capitale afgana.
Il progetto è nato grazie all’iniziativa presa dall’ambasciata italiana e dalla brigata multinazionale, comandata dal generale di brigata Claudio Graziano. Le due crocerossine che istruiranno un gruppo di 176 infermieri sono impegnate nel nucleo sanità della brigata alpina Taurinense; metteranno a confronto due scuole diverse: quella italiana, basata su protocolli riconosciuti a livello internazionale, e quella afgana, fondata sull’esperienza diretta.
“Grazie a questo progetto che testimonia più di ogni discorso lo spirito che anima la componente militare italiana – ha affermato l’ambasciatore italiano Ettore Francesco Sequi – viene esaltata l’elevata valenza sociale della nostra presenza militare. Le nostre forze armate sono – e lo sono soprattutto in Afghanistan – parte integrante del sistema Italia, in strettissimo raccordo con l’ambasciata, come portatrici instancabili dei valori di grande personale disponibilità, di solidarietà e di umanità a vantaggio del nostro paese che qui vuole essere forte del diritto, della civiltà, dei valori dell’uomo”.
Un’opera di ricostruzione che mette al centro l’individuo e il suo benessere. E in Afghanistan non mancano le occasioni per dimostrare la disponibilità ad aiutare. La notte del 4 ottobre una maestra afgana è stata salvata dal veleno di uno scorpione dal personale medico di Italfor 11 a Camp Invictia. L’attività medica degli italiani è conosciuta a Kabul per l’attività umanitaria e soprattutto perché è l’unica che affronta quotidianamente la lotta alla leishmaniosi con cure effettuate solo dal contingente italiano.
Pace, sicurezza e stabilità. Tutto quello che Malalai, giovane neoparlamentare proveniente dall’ovest, vuole promuovere per gli afgani nella convinzione che le armi dei signori della guerra non servano più.