pubblicato da Pagine di Difesa il 26 settembre 2005
“Non sarà una elezione perfetta ma confidiamo nel rispetto delle regole di base”, diceva Jean Arnault, inviato delle Nazioni Unite in Afghanistan, lo scorso 13 settembre all’agenzia Associated Press nel corso di una intervista a proposito delle elezioni afgane di domenica 18 settembre.
“Potrà essere un risultato imperfetto – era il parere del comandante di Isaf 8 generale Mauro Del Vecchio poche ore prima dell’apertura dei seggi – ma questo fa parte del cammino che ogni democrazia deve affrontare”.
E le regole di base sono state rispettate secondo quanto assicura Emma Bonino, capo della missione di osservatori europei, che ha sottolineato come le elezioni afgane sono state “in generale amministrate bene”. Anche sotto l’aspetto della sicurezza non ci sono stati problemi, dato che le minacce dei talebani nei confronti degli elettori non si sono concretizzate e il dispositivo delle forze militari internazionali a sostegno delle autorità afgane ha sorvegliato la situazione senza coinvolgimenti.
Tuttavia la complessità dell’operazione intesa da un punto di vista sociale e politico era palese. Il territorio afgano è abitato da una decina di etnie ed è controllato da una dozzina (nel 2004) di signori della guerra. Dall’allontanamento del re Zahir Shah, avvenuto nel 1973, non sono più state indette elezioni e l’Afghanistan si è trovato dapprima a fronteggiare i sovietici e poi a ubbidire ai talebani.
Deposto quel regime con l’aiuto degli statunitensi, erano gli anni Ottanta, per l’Afghanistan è cominciato il periodo delle scorrerie di al-Qaeda e degli abbondanti raccolti di oppio. Un quarto di secolo di disordini e guerra per poi finire additato dagli Usa e dal mondo come fucina degli integralisti islamici: l’Afghanistan è al centro della lotta al terrorismo con l’operazione statunitense Enduring Freedom decisa dopo l’attacco alle Torri Gemelle di New York del 11 settembre 2001.
“E’ difficile tenere elezioni in una zona post-conflitto come l’Afghanistan in queste prime fasi dello sviluppo democratico”, ha detto il capo della Commissione elettorale afghana congiunta Peter Erben. Di democratizzazione si parla dal 2001, anno in cui a Bonn si sono decise le sorti del paese centroasiatico con un accordo finalizzato al sostegno e allo sviluppo.
Quell’accordo può considerarsi soddisfatto ora che le schede elettorali sono affluite nei padiglioni preposti per il conteggio. Tanto da far pensare a una seconda fase. “Il lavoro non è ancora finito”, ha detto l’ambasciatore americano in Afghanistan Ronald Neumann riportato da una notizia Ansa del 19 settembre. Il secondo accordo potrebbe vedere coinvolti nel corso del prossimo anno la Nato, le Nazioni Unite e le agenzie affiliate, il governo afgano e gli Stati Uniti. Anche se le trattative per l’impegno statunitense sarebbero ancora in corso, a quanto sostiene l’ambasciatore.
Intanto “si pensa a un collegamento più organico tra Isaf e Enduring Freedom”, ha affermato l’ambasciatore Alessandro Minuto Rizzo, vice segretario generale dell’Alleanza Atlantica, a Roma lo scorso 19 settembre. In che modo? “Non c’è una formula definitiva: una delle opzioni, ad esempio, è che ci sia un comando unificato per regione, un’altra che ci siano comandanti con due cappelli, Nato e Coalizione. Sono formule su cui si sta lavorando”.
I primi risultati delle votazioni potrebbero essere comunicati il 10 ottobre, mentre la data ufficiale in cui verranno rese note le preferenze del popolo afgano è il 22 ottobre. Per il generale Del Vecchio a comando di Isaf 8 dallo scorso agosto si tratta di “un lungo processo che vedrà la luce solo con la promulgazione dei risultati”, nel frattempo i suoi uomini “continueranno a garantire il supporto al governo ove ci fossero problemi legati al risultato delle elezioni e all’insoddisfazione dei non eletti”.