Feb 23, 2005
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I piani di destabilizzazione islamica dei Balcani

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pubblicato da Pagine di Difesa il 23 febbraio 2005

“Sono contro l’indipendenza del Kosovo. Non accetterò mai una tale soluzione”. Per Boris Tadic, primo capo di Stato serbo a mettere piede in Kosovo dopo la guerra del 1999 per una visita di due giorni, l’indipendenza della regione serba amministrata dalle Nazioni Unite è “inaccettabile”.

“Volevo parlare qui in Kosovo con i rappresentanti della comunità internazionale a proposito di Kosovo-Metohija e della situazione dei serbi e di tutti quei cittadini che vivono qui”. Tadic spiega così il motivo della sua visita del 13 e 14 febbraio, a cui non conferisce un particolare significato, dato cha la considera una normale visita del presidente della Serbia a una parte del suo territorio e della sua gente.

A Silovo, villaggio in cui ha avuto inizio il tour, il presidente serbo si è rivolto ai cittadini che lo attendevano: “Kosovo-Metohija è parte della Serbia non solo secondo la legge internazionale, ma anche secondo la nostra legge. Questa è la mia posizione personale e quella di Belgrado a Belgrado, in Kosovo, a Pristina e a Silovo”.

A proposito dei diritti delle minoranze, per cui la risoluzione Onu 1244 investe di responsabilità la comunità internazionale, Tadic si esprime così: “Non sono venuto qui con la bacchetta magica, quella esiste solo nelle favole, ma prometto che combatterò con tutto il mio potere per i diritti dei serbi e di ogni cittadino di Serbia che vive in Kosovo”.

La visita di Tadic nella regione autonoma arriva in un momento in cui dalla comunità internazionale cominciavano a levarsi sempre più frequenti i moniti per un veloce riconoscimento di indipendenza del Kosovo, pena un rigurgito di violenza da parte degli albanesi delusi e stanchi di aspettare l’avverarsi del sogno. Le sue dichiarazioni, proprio perché rilasciate in una terra costellata dalle vestigia serbo-ortodosse e considerata dai serbi di tutto il mondo come culla della loro identità, risuonano con particolare fermezza.

In totale contrasto rispetto agli obiettivi dell’Albanian National Army (Ana o Aksh in albanese), il gruppo armato che gli Stati Uniti hanno inserito nella blacklist delle organizzazioni terroristiche nel 2003, orientato all’unificazione dei territori abitati dagli albanesi nei Balcani. E’ l’idea della “grande Albania”, un sentimento nazionalista fomentato più dalla diaspora che da Tirana.

A capo dell’Ana c’è Idajet Beqiri, arrestato il 15 dicembre 2003 da Interpol-Tirana in Germania mentre cercava di entrare in Svizzera e subito estradato nella capitale albanese. Era accusato di “incitamento all’odio etnico” in Macedonia anche tramite internet. Ha scontato la pena di un anno e mezzo e il 16 agosto 2004 è stato rilasciato. Beqiri è blacklisted dagli Stati Uniti e recentemente anche dall’Unione Europea, che lo ha inserito nella lista nera con la motivazione di ostacolare l’attuazione dell’Accordo di Ohrid (Macedonia) siglato nel 2001 per porre fine all’insurrezione armata della minoranza albanese.

“Con quell’accordo – ha commentato all’emittente di Tirana News24 – non riusciamo a integrarci né in Europa né alla Nato. Ma con questo non vuol dire che siamo contrari all’accordo”. Il provvedimento preso da Bruxelles gli vieta l’ingresso e la circolazione nei paesi dell’Unione per un anno a partire dal 31 dicembre 2005, ma Beqiri – in virtù della possibilità della doppia cittadinanza concessa in Albania – ha anche passaporto belga.

Mentre Beqiri si adopera in via ufficiale per raccogliere le 50mila firme necessarie alla richiesta di un referendum sulla unificazione delle terre albanesi, Ana starebbe per mettere in atto un piano di destabilizzazione dei Balcani a partire dalla Macedonia, con l’obiettivo dell’indipendenza per il Kosovo, dell’autonomia o del controllo internazionale nella Presevo Valley (zona al confine con la Serbia già teatro di scontri nel 2001), della trasformazione della Macedonia in federazione e dell’autonomia per la regione albanese in Montenegro. Il tutto previsto nella primavera di quest’anno, secondo quanto rivelato da fonti di intelligence occidentali e albanesi, forse a partire dall’inizio di aprile.

L’azione, a quanto appreso, dovrebbe svolgersi in quattro atti. Il primo prevede la destabilizzazione della Macedonia nella sua zona occidentale e poi nelle aree di confine, prima dell’ingresso in Kosovo-Metohija e nel sud della Serbia. Il secondo atto consiste nell’attivare ogni forma di violenza politica: per questo dovrebbero venire coinvolti gruppi da assalto da 3 o 5 combattenti Ana fino a squadre di azione di 15 o 30 unità, configurate per controllare i corridoi del traffico in particolare verso i villaggi serbi. Il terzo atto si espande in due scenari: una domanda politica di demilitarizzazione della Serbia in favore di un controllo europeo o Nato tramite la polizia locale e la conduzione di operazioni da parte di Ana. Ultimo atto: insistere per l’autonomia albanese in Montenegro e supportare i piani per l’indipendenza del Montenegro, con la possibilità di praticare violenza in modo selettivo anche tramite il cartello dei narcotici albanese che opera in quella regione.

Il progetto sembra verosimile, se messo in collegamento con i fatti più recenti verificatisi nell’area compresa tra Montenegro, Albania e Macedonia. Ai primi di novembre 2004 un gruppo di uomini armati di kalashnikov e vestiti con uniformi nere ha cominciato a pattugliare le strade di Kondovo, un sobborgo di Skopje in Macedonia, bloccando ogni ingresso. Leader del gruppo di Kondovo sarebbero Lirim Jakupi e Agim Krasniqi, cittadini macedoni di nazionalità albanese blacklisted a fine gennaio dall’Unione Europea.

Secondo la ricostruzione dell’accaduto, il gruppo era composto da un massimo di 50 membri e in seguito alla resa, avvenuta dopo più di 60 giorni di blocco con divieto di accesso a polizia e giornalisti, i componenti sarebbero rientrati in Kosovo. Jakupi è stato arrestato a Pristina in circostanze che lo davano per ferito nel corso di una sparatoria. Nell’occasione era stata diffusa la notizia – non confermata – di un suo ricovero presso la struttura sanitaria di Camp Bondsteel, la base americana nei pressi di Urosevac in Kosovo.

L’incidente di Kondovo potrebbe trovare spiegazione nella richiesta di libertà di movimento per i veterani del disciolto Uck (o Kla, esercito di liberazione del Kosovo) e di una estensione dell’amnistia del 2001, quando una insurrezione della guerriglia albanese minacciò i Balcani per sette mesi con la guerra civile. Oppure il gruppo potrebbe essere nato in occasione del referendum del 7 novembre 2004 nel timore di una minaccia dei provvedimenti di pace. Una spiegazione che troverebbe spazio nei fatti di politica interna, dato che l’accordo della resa è giunto all’elezione a primo ministro della Macedonia di Vlado Buckovski, ex ministro della Difesa, che in quell’occasione ha dichiarato: “Non ho intenzione di permettere a nessuno di destabilizzare la situazione della sicurezza”.

Ma c’è anche un’altra interpretazione, favorita dalle dichiarazioni di Claude Moniquet, dello European Strategic Intelligence and Security Center di Bruxelles, in merito alla scuola islamica di Kondovo: “Questo tipo di scuole attrae persone che pensano che la società debba venire cambiata con la violenza. Dunque le forze di sicurezza macedoni dovrebbero prestare attenzione a questo come all’inizio di qualcosa di pericoloso”. L’istituto con sede a Bruxelles ritiene che questa scuola sia finanziata da fondamentalisti islamici dell’Arabia Saudita.

Quanto accaduto a Kondovo potrebbe allora essere collegato alla presenza islamica nei Balcani già documentata dai servizi segreti britannici e russi nel corso delle guerre a seguito del disgregamento della Yugoslavia. Nei giorni del blocco erano transitati dall’aeroporto di Skopje alcuni mujahedin dal Pakistan e dall’Arabia Saudita. All’apparenza Ana è costituita da membri del Kosovo Protection Corps (Kpc), del National Liberation Army e da albanesi reclutati dalla diaspora, ma non è da escludere, secondo fonti locali, che gruppi di terroristi islamici che intendono infiltrarsi nei Balcani siano collegati ad Ana.

“Ci sono arabi in Macedonia – ha chiarito il ministro degli Interni macedone Ljubco Mihajlovski ai primi di dicembre 2004 – ma il loro numero non è aumentato ultimamente. Alcuni di loro stanno studiando nel nostro paese”. Due leader radicali islamici stranieri, sotto le vesti di religiosi eruditi attivi in Kosovo e Macedonia, costituiscono la corrente islamica di Ana. Fonti occidentali hanno scoperto un centro islamico a Kosovska Mitrovica diretto da Rexhep Lushta, che avrebbe ultimato i suoi studi nella facoltà di teologia di Medina con Enis Rama, ex combattente in un gruppo di mujahedin ai tempi della crisi del Kosovo.

Il 19 gennaio scorso Gregory Copley, presidente della americana International Strategic Studies Association, ha messo in guardia da un movimento islamico che potrebbe diventare attivo in Montenegro, se questo paese persiste nelle sue aspirazioni di indipendenza. Secondo Copley, l’obiettivo del movimento sarebbe un porto sul mare e la sicurezza di una via diretta per droga, armi e operazioni dal mare Adriatico verso Bosnia-Erzegovina e Kosovo-Metohija. Nell’occasione Copley ha segnalato l’esistenza in Bosnia-Erzegovina di addestramenti di massa di terroristi, che vengono immessi in Iraq attraverso la Siria e in Cecenia attraverso la Turchia. Queste stesse persone, secondo Copley, ritornerebbero in Bosnia-Erzegovina dal nord di Cipro, assistite totalmente da gruppi di terroristi presenti in loco che cooperano con l’intelligence iraniana e il governo saudita: “I sauditi in Bosnia-Erzegovina stanno organizzando dei cosiddetti gruppi filantropici”.

Questa interpretazione dei fatti di Kondovo come di una rivelazione della islamizzazione latente dei Balcani poggia sulla situazione attuale dell’area, dove crimine organizzato, mafie e traffici di ogni genere si sviluppano grazie all’assenza del rispetto della legge. E i paesi che si trovano sulle rotte del traffico di armi e droga si arricchiscono improvvisamente, cambiando addirittura fisionomia. E’ il caso di Junik, per esempio, uno degli ultimi paesi nel Kosovo occidentale prima del valico di Morina verso l’Albania: qui sta sorgendo un grande centro islamico il cui cantiere è protetto dalle alte mura di una fattoria fortificata.

Oltre al caso di Kondovo, il 13 dicembre 2004 è stata diffusa la notizia del sequestro da parte della polizia albanese di tre missili Strela di fabbricazione yugoslava. I missili spalleggiabili, che di recente sono stati considerati una seria minaccia all’aviazione civile da parte di 31 paesi oltre a Stati Uniti e Russia, sono stati rinvenuti a bordo di due furgoni e di un’auto a circa 15 chilometri a nord di Tirana. Le armi provenivano con molta probabilità dalla Bosnia-Erzegovina ed erano passate attraverso il Montenegro e l’Albania per arrivare – secondo fonti ministeriali albanesi – in Macedonia. Erano forse destinate al gruppo di Kondovo? Oppure “dovevano essere portate in un museo” come ha chiesto con ironia un ufficiale della difesa macedone?

Lo stesso interrogativo si pone per il recente sequestro di 310 kalashnikov da parte dell’unità multinazionale di polizia a guida italiana costituita nell’ambito della missione dell’unione Europea in Bosnia. Le armi erano custodite in una abitazione alla periferia di Sarajevo di proprietà del bosniaco Hodzic Sulejman ed erano pronte per essere spedite.

Analisti militari calcolano che nel sud della Serbia siano presenti da 600 a 900 mila armi detenute da gruppi di etnia albanese, oltre a quantità di esplosivo ed equipaggiamenti militari per un valore di circa 300 milioni di dollari. Più fonti segnalano campi di addestramento di combattenti di Ana e del Kosovo Protection Corps (Kpc) nelle regioni di Drenica, Kamenica, Podujevo e Bajgora Mountains. I quartieri generali di Ana in Kosovo sembrano essere proprio Bajgora Mountains – un centro a est di Kosovska Mitrovica comandato dal generale Rahman Rama del Kpc – e i sobborghi di Pec e Djakovica, città nella regione del Kosovo-Metohija.

Secondo fonti di intelligence occidentali il Kosovo è diviso in sette zone operative, il Montenegro in tre, la Macedonia in cinque e la Grecia in due. In ogni zona sono operativi dai 200 ai 700 membri che formano il nucleo di Ana, con centri di comando nelle vicinanze di Tetovo, a ovest di Skopje in Macedonia, e Mount Sarplanina, a est di Prizren in Kosovo. Il costo di un combattente Ana si aggira sui 150 euro al giorno.

Riguardo al caso di Kondovo, Timothy der Veduven – portavoce della missione di polizia dell’Unione Europea in Macedonia Proxima – ha dichiarato alla vigilia di Natale 2004: “Il futuro ci mostrerà se questo caso è stato risolto, perché c’è la possibilità del deterioramento di certe situazioni”. A distanza di meno di due mesi rappresentanti stranieri a Skopje avvertono che la situazione attuale assomiglia a quella di novembre dello scorso anno: la polizia ha comunicato che Agim Krasniqi è di nuovo nel villaggio mentre quattro ex comandanti del Uck, operanti di solito in Kosovo e Macedonia, sono giunti a Kondovo qualche giorno fa.

Se tutti gli allarmi dell’intelligence sono reali, ai separatisti albanesi nei Balcani non mancano né le armi né i soldi per mettere in atto i loro piani nei tempi stabiliti. E dal 13 febbraio, con la visita e le dichiarazioni rilasciate dal presidente Boris Tadic in Kosovo, non manca neppure lo stimolo per agire con maggior determinazione.

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