pubblicato da Pagine di Difesa il 18 dicembre 2004
Ramush Haradinaj ha concesso la sua prima intervista da primo ministro del Kosovo. Dopo aver affermato alla Reuters a cinque giorni dalla sua elezione che le prove contro di lui erano “invenzioni di Belgrado”, il 13 dicembre assicura alla United Press International di essere aperto al dialogo con il governo serbo. E parla di Kosova, secondo la dizione esclusivamente albanese.
Haradinaj venne eletto primo ministro lo scorso 3 dicembre dal Parlamento di Pristina, capitale della regione autonoma del Kosovo amministrata dal 1999 dalle Nazioni Unite. La nomina giunse dopo una coalizione con la maggioranza di Ibrahim Rugova, rieletto presidente a seguito delle votazioni del 23 ottobre 2004 boicottate in massa dalla minoranza serba.
Ai leader serbi questa nomina è apparsa come un fallimento della missione delle Nazioni Unite in Kosovo, ritenute incapaci di tutelare le libertà fondamentali delle minoranze, prima di tutte quella serba. Il nuovo primo ministro è accusato dai suoi avversari di essere un criminale per aver agito contro civili serbi di ogni età e lo scorso mese di novembre Haradinaj è stato interrogato un paio di volte dal Tribunale penale internazionale. La Nato e l’Occidente temono lo scoppio di nuovi disordini nel caso in cui il primo ministro venga convocato all’Aja nel corso del suo mandato.
“Non permetterò – assicura Haradinaj facendo tirare un sospiro di sollievo – che questo mi distragga dai miei impegni. Accetterò di collaborare con la giustizia”. Ma allo stesso tempo considera gli albanesi come vittime di una propaganda condotta contro di loro dai serbi e si dichiara pronto a perdonare nella speranza che i serbi colgano l’occasione per “smettere di portare tragedie”.
I suoi progetti da primo ministro sono orientati a garantire la libertà di movimento a tutta la popolazione del Kosovo nella prospettiva di una ampia apertura al dialogo, sia sul fronte interno con serbi e Belgrado sia con le Nazioni Unite. Entro 12 mesi vuole portare alla ribalta dell’Europa un Kosovo indipendente, modello di integrazione religiosa e sociale.
Accanto al dissenso dei serbi in merito alla sua nomina e all’impossibilità di bloccarla da parte del governatore Jessen-Petersen in nome della democrazia, contro Haradinaj si è diffusa in Fyrom (ex repubblica yugoslava di Macedonia) la notizia della sua vicinanza ai leader del gruppo armato che sta terrorizzando il paese di Kondovo. Il sobborgo di Skopje (Fyrom) da circa un mese registra la presenza di individui armati con uniformi non riconducibili ad altre viste prima.
Contro il primo ministro anche la dichiarazione del vice-presidente del Serbian national council per il nord del Kosovo, Rada Trajkovic, che in uno studio televisivo mercoledì ha detto: “La sua nomina è offensiva così come avrebbe potuto essere per la gente di New York l’elezione di Bin Laden a sindaco”. Oltre alle dichiarazioni di dissenso, a concreto svantaggio di Haradinaj va il black-out durato 13 giorni nel villaggio serbo di Priluzje, un elemento che offre fondati motivi di discussione ai serbi.
Tra i primi impegni ufficiali imposti dalla nuova carica, Haradinaj ha presenziato al rientro dalla Serbia dei resti di 44 salme di albanesi – bambini, uomini e donne – scomparsi nella guerra del 1999 e ritrovati in una fossa comune fuori Belgrado. Sarebbero stati uccisi in Kosovo e trasportati in segreto per 350 chilometri verso nord. Il 65% di loro morì per ferite di arma da fuoco, secondo le perizie effettuate da esperti delle Nazioni Unite.
La presenza di Haradinaj arricchisce il momento del rientro delle salme di ulteriore forza: il dolore viene ravvivato nel ricordo. Se il primo ministro non trascura questo argomento, allora può contare su una opinione pubblica occidentale già sensibilizzata agli orrori del genocidio. In particolare ora che la Corte internazionale di giustizia sostiene di non avere giurisdizione a pronunciarsi sulla legalità dell’intervento della Nato in Kosovo nel 1999.
Se poi riesce a dimostrare una serena apertura al dialogo con Belgrado, ecco allora che l’indipendenza si avvicina confortando la speranza degli albanesi del Kosovo di cui Haradinaj è diventato portavoce: “Confidiamo nell’indipendenza del Kosova entro la fine dell’anno prossimo”.