pubblicato da Pagine di Difesa il 24 dicembre 2004
“Le Nazioni Unite devono essere state indebitamente ottimiste se hanno pensato che i colloqui sul futuro del Kosovo potessero seriamente aver luogo nel 2005. Ma se ci deve essere una possibilità di mettere insieme albanesi e serbi, sia i kosovari che le Nazioni Unite devono capire che proporre persone come Haradinaj come loro leader fa solo spostare indietro le lancette dell’orologio”. L’articolo dell’International Herald Tribune pubblicato lo scorso 20 dicembre ha messo in evidenza le scarse probabilità di intesa tra il nuovo primo ministro del Kosovo, Ramush Haradinaj – un “former guerrilla leader” con riferimento al suo passato nell’esercito di liberazione del Kosovo (Kla o Uck) – e la minoranza serba o lo stesso governo di Belgrado.
Oggi, 24 dicembre, la Opinion edition del New York Times ripubblica quasi integralmente quell’articolo sotto forma di editoriale. E’ un commento che, a pensarci sopra, diventa una riflessione su un fazzoletto di terra nel cuore dei Balcani. Undicimila chilometri quadrati in cui si concentrano le aspettative dell’Occidente e i sogni di indipendenza degli albanesi, i traffici illeciti e le inchieste del Tribunale internazionale. Qui, a migliaia di chilometri dalle redazioni delle due prestigiose testate giornalistiche, il parlamento ha scelto Haradinaj come primo ministro in vista dei prossimi colloqui sul futuro del Kosovo, la regione autonoma amministrata dalle Nazioni Unite dalla fine della guerra del 1999.
L’editoriale del New York Times rilancia la questione: “Se i kosovari vogliono mostrare che possono gestire un paese indipendente in cui la minoranza serba sia al sicuro, questo (l’elezione di Haradinaj a primo ministro, ndr) è il modo sbagliato di farlo”. L’ex leader del Kla è stato interrogato dal Tribunale internazionale due volte in Kosovo, solo un paio di settimane prima di essere eletto primo ministro. E’ accusato dai serbi di aver commesso atrocità nella regione di Decani, sia contro i serbi che contro gli albanesi sospettati di collaborare con le autorità serbe. Per questo l’articolo presenta come poco credibile una collaborazione tra Haradinaj e la parte serba.
C’è di più. “Se Haradinaj viene messo in stato di accusa, il problema diventerà peggiore: i kosovari albanesi che hanno votato per lui si irriteranno”, fa notare l’editoriale. L’alternativa, che potrebbe essere “accantonare una potenziale accusa perché l’obiettivo è il primo ministro”, finirebbe per indebolire la credibilità del Tribunale penale internazionale. Una risposta ai dubbi dovrebbe arrivare entro la fine dell’anno in corso, con la rivelazione dei nomi degli imputati da parte del giudice Carla Del Ponte.