Nov 14, 2004
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Padre Ksenofont: usciamo dal monastero scortati dai militari italiani

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pubblicato da Pagine di Difesa il 14 novembre 2004

Nella mensa del monastero di Visoki Decani padre Ksenofont arriva con un grande vassoio, lasciando dietro di sé l’aroma di una colazione di metà mattina. Non porta la rakija, la grappa, perché nel gruppo di visitatori c’è una donna e – dicono i militari italiani che lo conoscono – il monaco ha un po’ di riguardo a offrire un superalcolico.

Sul lungo tavolo due splendidi libri testimoniano con foto e articoli il valore culturale e artistico, prima che religioso, di questo monastero presidiato dai militari della Kfor 24 ore su 24. Arrivare fino a qui significa passare un check-point a valle e camminare tra soldati e mezzi militari che stazionano fino davanti al portone di ingresso. Questa è una restricted area: i militari sono autorizzati a usare le armi in caso di attacco.

Padre Ksenofont, che cosa rappresenta il monastero di Visoki Decani?
E’ un punto di riferimento molto importante per il popolo serbo. Qui viene venerato il Santo re Stefano, il cui corpo mummificato è custodito all’interno della chiesa. Dal punto di vista culturale-artistico, è uno dei monasteri del XIV secolo meglio conservati di tutti i Balcani. Qui c’è una galleria della pittura a fresco di quel periodo storico.

Ci sono stati disordini qui lo scorso 17 marzo?
Sei colpi di mortaio caduti vicino al monastero, che però non ha subito danni. Non era la prima volta, già nei mesi di febbraio e luglio del 2000 c’erano stati colpi di mortaio. Comunque dopo il 17 marzo non c’è stato nient’altro. Solo qualche provocazione verbale. Però noi monaci non abbiamo la libertà di movimento: essere privati dei diritti umani fondamentali è un danno inflitto al monastero. Usciamo da qui solo scortati e da cinque anni non andiamo al paese di Decani. Se dobbiamo passarci scegliamo orari notturni e mai di giorno, dato che molte volte sono stati tirati sassi contro le nostre auto.

Chi abita a Decani?
Al paese solo albanesi. Nei villaggi intorno qualche comunità di ashkali, rom e qualche casa bosniaca.

Serbi?
No, a Decani non ci sono più serbi dal ’99 e non ci sono nemmeno rom, che fino a giugno ’99 abitavano in venti o trenta case nei dintorni. Si sono rifugiati qui al monastero alla fine di giugno, poi sono andati in Germania o in Serbia centrale, da dove si sono rifatti vivi.

Come mai questa intolleranza?
Credo che questa domanda sia da porre a loro. Io non vedo nessun motivo di intolleranza verso il monastero. Si potrebbe capire se fosse verso i serbi, a causa della guerra e dei contrasti tra le etnie, ma qui viene preso di mira il monastero che durante la guerra ha dato rifugio a più di duecento albanesi. Veramente non riesco a capire come mai in questi sei anni nessuno di questi duecento sia venuto a chiederci come stavamo.

Com’è la situazione dei monasteri in questa zona?
Sono tutti più o meno come noi: protetti dai militari, scortati quando escono. A Gracanica la situazione è meno tesa, ma si tratta di una enclave di venti o trentamila abitanti serbi perciò la situazione è più tranquilla. Comunque a Pristina parlare la lingua serba è ancora una cosa molto pericolosa.

Come vede il futuro per i monaci e i serbi?
Il futuro da monaco e cristiano lo vedo nel Regno dei Cieli, perciò non mi preoccupo molto. Non sono sicuro invece del futuro terreno. La comunità internazionale non ha ancora trovato i meccanismi giusti per risolvere il problema del Kosovo e forse questo è dovuto a cinque anni di approccio sbagliato. E’ stata fatta la guerra contro gli jugoslavi, contro il regime di Milosevic e la Nato è entrata in Kosovo per proteggere gli albanesi naturalmente. Ma una volta entrati qui si è trovata una situazione diametralmente opposta, tanto da doversi mettere davanti ai monasteri ortodossi per difenderli. I serbi sono rimasti in una situazione di grande intolleranza da parte degli albanesi. Finora non è stato fatto nulla di concreto per stabilire una società multietnica e di quello che prevede la risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza dell’Onu è stato fatto molto poco. Sono solo rientrati gli albanesi.

Cosa succederebbe se non dovesse più esserci il check-point sulla strada per il monastero?
La stessa cosa che è successa a tutti gli altri 150 monasteri e chiese: sono andati distrutti, gli ultimi trenta con i disordini dello scorso mese di marzo.

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